【Gianni Spagnolo © 21II8】
Quel giovedì dell’anno del Signore MCCIV, nell'ultimo giorno del mese di settembre, convenuti solennemente al Pra' della Varda di Cogollo, i rappresentanti delle comunità dell'antica Corte di Valle e dell’Altopiano stabilirono pacificamente i confini dei loro territori elencandoli uno ad uno lungo i limiti orografici naturali.
Descrizione dei confini della Corte dell'Altopiano - 30/09/1204 |
Il documento è arcinoto, per cui non mi dilungo, soffermandomi solo su un passo che ci riguarda: .. usque ad vallem rotundam et venit in gaybo Astici.. ossia fino alla Valle Rotonda e al greto dell'Astico. Così è denominata infatti la nostra valle della Torra nel novero dei confini. Questo è fra gli atti più antichi che la menziona, ma il termine ricorre anche in epoche successive, almeno fino al XVII secolo.
Quale sarà la sua origine etimologica?
Non sfugge il fatto che nel solco vallivo parallelo più a monte scorra il Riotorto, o Rotòrto, dal suono assai simile e probabilmente della medesima radice. Per risalire alla paternità etimologica della Torra si sono scomodate varie ipotesi, di romanza o cimbrica radice. Addirittura una divinità: quel Thor dagli affascinanti risvolti niblelungici e cinematografici. Dio del tuono e della tempesta, dal martello come boomerang inesorabile, figlio di Odino e marito della biondona Sif. Il prode si muoveva su di un carro trainato da due capre, e sappiamo che quegli animali s'arrampicano dappertutto. Probabilmente chi abitava dalle parti nostre non faceva tanto caso a un savajo co la barba rossa chel nava in volta a lolòn su par la Tora sun birosso tirà da do cavre e parando torno un martelo. Figurarsi se chi credeva ad orchi, anguane, salvanéi e personaggi simili, poteva stupirsi di un tipo originale come Thor.
“Co la jén da sora, no la passa la Tora”. Recita un vecchio adagio nostrano, a significare che le nubi incombenti dal Cròjere al Bìsele, si scaricavano spesso in quell'ambito senza oltrepassare la valle. Dunque è assodato che Thor giocherellasse da quelle parti con tuoni e fulmini e avesse di buon occhio gli abitanti di San Pietro.
Tondo e Torto sono suoni romanzi, ma forse non hanno granché da spartire con quell'origine essendo omofonie di termini che non si comprendevano più. Non si capisce infatti cosa si possa riconoscere di rotondo nella Torra, o di tortuoso nel Rio Torto, che scorre nella valle più diritta del circondario. Quindi è probabile che siano adattamenti fonetici latini di toponimi dalle radici germaniche o addirittura pre-romane.
Può essere che che abbiano stipite comune in Tor o Tüar, che in cimbro significa: portone, porta. O magari in: dor/dort: attraverso. Le due valli erano appunto varchi di passaggio da e per la montagna sulla strada di Germania che passava per la valle dell'Astico. Entrambe facevano capo ai due Ospizi e confluivano a monte all'incrocio di Monterovere, dove saliva da Santa Giuliana il sentiero del Menadór di Levico. Rappresentavano, in sostanza, uno scùrtolo della Via dell'Anzin che risaliva la Val del Centa per poi divallare da Lavarone attraverso i Sassi Donati.
Però l'idea del Thor che si balocca con tuoni e fulmini, che erano il segno evidente del suo fragoroso passaggio, è decisamente più intrigante. Thor è appunto la divinità del tuono, e in molte lingue germaniche è radice anche del giorno di giovedì: Thursday in inglese, Donnerstag in tedesco, Donderdag in olandese e Torsdag nelle lingue scandinave. Donner è il termine per tuono del tedesco moderno, che in cimbro fa: Tóndar. Da Rio Tóndar a Rio Tondo, Torto o Rotonda o infine Torra il passo è breve. Non dimentichiamo poi che i nostri cavalari osservavano proprio il giovedì come giornata di riposo, in cui far riprendere i muli, astenendosi dal salire la Singéla. Non vorrei che questa strana scelta sia stata fatta proprio in ossequio a quella remota divinità pagana, dato che la sapevano più lunga di noi in fatto di spiriti e demoni. Tóndar dovrebbe essere anche l'etimo di Tonezza, nei cui pressi s'è incagliato il portentoso martello Mjöllnir, scagliato lassù da Thor in un impeto di rabbia e fossilizzatosi nello Spitz. Quel magico oggetto, una volta lanciato, era infatti capace di tornare dal suo proprietario indipendentemente dalla distanza e dagli ostacoli frapposti. Quando sono arrivati i monaci degli Ospizi a seppellire le credenze antiche, è probabile che il nostro eroe, che era piuttosto permaloso, si sia incavolato di brutto e abbia scagliato lontano il suo strumento andando ad autoesiliarsi nel Cógolo dele Anguane, dove trovò ospitalità e comprensione da parte di quelle figure eteree, ma a lui più affini e altrettanto reiette. Prima di gettarlo via e ritirarsi, però, si sfogò come un pazzo facendo dei dintorni una marogna a colpi di martello. Mi sa tanto che le capre e il birosso le recuperarono i sanpieroti, che sapevano come utilizzarle. Le capre di Thor avevano dei nomi slapari come Tanngnjóstr e Tanngrisnir, ma erano dotate di qualità portentose: Thor, durante i suoi viaggi, poteva anche cibarsene perché poi, se ne conservava le pelli e le ossa intatte, il mattino seguente sarebbero rinate. Sai che pacchia per i sanpieroti sempre affamati.
A leggere si viaggia nel tempo e il passato remoto si incontra con il passato prossimo
RispondiElimina