【Gianni Spagnolo © 21I25】
Naltri bociasse eravamo sempre alla ricerca di spunti di novità nel quadro piuttosto statico e prevedibile del paesello, pur alle prese con le epocali trasformazioni degli anni Sessanta. L’occasione più ghiotta era data dall’asfaltatura delle strade, che veniva operata con due ingombranti macchinari che accendevano la nostra immaginazione: il rulo e la pàcara, o anche pàchera, la pronuncia non era indiscussa.
Erano lavori che facevano d’estate, così il godròn restava liquido e si sparpanava mejo, inbosemando tuto ed emanando quell’acre e caratteristico odore. Il rulo fava impression per la sua costituzione massiccia, nonché per quel misterioso argagno che lo faceva vibrare rumorosamente e che, nonostante le ripetute e furtive ispezioni a cantiere chiuso, non abbiamo mai capito come funzionasse. Il massimo della libidine col rulo era di convincere l’operatore a farci montar su, per provare un momento d’ebbrezza vibratoria a bordo di quella macchina inarrestabile che faceva tabaco di tutto ciò che incontrava. Sorgevano infatti discussioni acerrime se fosse più forte el rulo o la pàcara. La pàcara però era molto più alla nostra portata perché la usavamo anche noi quando ca dugàvino cola tera, perché erano già cominciate ad apparire come giocattoli di plastica.
Regalarci camion e pàcara era la combinata più azzeccata per far contenti noi sterratori in erba. Mio padre mi aveva portato dalla Svizzera un camion bianco di plastica che era grande come me, ma senza pàcara. Il mezzo si prestava benissimo a sostituire il caretèlo montandoci sopra nelle gare di discesa, ma era troppo grande per essere caricato dalle pàchere dei miei amici, per cui dovetti adibirlo principalmente al primo servizio.
Questo mio camiòn elvetico, del quale andavo fierissimo ed ero invidiatissimo, aveva purtroppo le ruote di plastica rigida che non potevano competere con quelle dei caretèi. Queste erano fatte con le ruéle riciclate dalle carozzine desfà dai troppi pargoli che avevano scarozzato, quando non con gli emergenti e rumorosissimi cuscinetti a sfera che equipaggiavano i caretèi dei più grandi. Vero è che il giocattolo non era stato progettato a questo scopo e soprattutto per uno sbregamandati come me, ma qui non eravamo in Svizzera e dovevamo ràbatarse con cuél ca ghìvinu.
Mi è sempre rimasto perciò il rimpianto di non aver avuto una pàcara adeguata alle dimensioni del camio, con la quale avrei potuto fare sicuramente faville.
Ma da dove arriva questo nome: pàcara?
Non è accolto nel dizionario veneto, pur essendo diffuso nell’area, forse perché si tratta d'un mezzo moderno che non ha riscontri con attrezzature del passato. Perciò fa un po’ strano che abbia preso questo nome piuttosto originale.
L’ipotesi più probabile è che derivi dal tedesco: Bagger (pr. Baggher), che significa appunto: escavatore. Bagger >Pagher >Pacher >Pàcara, infatti ci sta, con la trasformazione della labiale B in P che è ricorrente anche nel cimbro. I cimbri però non dovrebbero c'entrare niente con la pàcara, perché loro non ce l’avevano mica la pàcara. Íli spessegava ancora a pico&baìle. Ops, ..volevo dire a Spitzala&Saufala!
bagger in germanico antico: melma, fango, limo
RispondiEliminabaggaren: rimuovere il fango