sabato 13 febbraio 2021

Racconti



LE TUE ROSE DEL MIO GIARDINO

Era il pettirosso il guardiano antico del giardino del grande mandorlo che arriva a fino al cielo e che in estate raccoglieva una dopo l'altra le stelle e le metteva nei nidi morbidi, come fossero delle ceste di vimini. Quei rami pieni di fiori profumati e di verdissima foglie si allungavano fino all'impossibile e prendevano quei lucini luminosi nel cielo chiaro e nella fronda piena c'era una luce che sapeva di magia. Il pettirosso in tutte le stagioni era sui rami del mandorlo, quando i grilli cantavano tutta la notte per far addormentare la luna, nascosti tra le foglie grandi delle piante dell'orto che circondava il giardino e quando la notte fredda lanciava la brina dal cesto e la faceva cadere nelle strade, sui tetti, nei campi. Era il guardiano di una magia che tutti nel piccolo borgo conoscevano, e si dice che fosse sempre quel pettirosso il piccolo animale, forse un tempo un uomo, che si prendeva cura del giardino, che faceva la guardia all'orto ed alla casa abbandonata ed insieme alla sua presenza c'era un altro piccolo miracolo, legato ad un amore lontano, vissuto nelle strade estive del borgo di pietra. Per tutte le stagioni che facevano cambiare al mondo il suo volto infatti, restavano solo delle rose in quel giardino,delle rose leggere, delicate, su cui in inverno si posava la neve e le avvolgeva come si fa con ciò che è fragile ricoprendolo con l'ovatta. In autunno le rose profumavano ancora : in mezzo all'arancio delle zucche ed al rosso delle foglie spuntavano ancora, aperte, con l'ultimo glicine a far da cornice, accarezzate dal sole che la mattina si alzava tra la nebbia e l'odore di vino. In primavera le farfalle volavano in cerchio, come una corona mariana su quei boccioli teneri che si aprivano alla vita, tra i petali del pesco e del pugno, del mandorlo alto fino alle stelle. Erano lì da tanto tempo quelle rose, a volte esplose di profumi, altre chiuse, silenziose tra il rumore dei pastori che tra le piccole strade del borgo portavano il gregge al caldo. Sotto la pioggia della sera i petali aperti si muovevano e tremavano, sotto ai rumori dei tuoni si piegavano finché non tornava poi timidamente un raggio di sole che colorava le sette strisce dell'arcobaleno. Di notte, però, tutto sembrava fare più paura: nel silenzio rotto dagli uccelli notturni che annunciavano il buio, le rose si stringevano sotto al pergolato di vite e pregavano. Chiunque passasse in quelle zone sentiva un sussurrare di voci e di bisbiglio, che diventava più intenso quando alzavano il viso verso il sole e vedevano le rondini volare sopra di loro e sorridere ai nuovi piccoli boccioli. Quel luogo era da tutti conosciuto come un giardino incantato, coltivato con amore e si pensa chr ancora oggi, notte e giorno, una donna passi tra quei tronchi, tra quelle piante e tra le rose che da sole, innaffiate solo dalla pioggia, pettinate dal vento e accarezzate dal sole, continuano a vivere ed a sbloccare, a dispetto del tempo e della solitudine. Si dice che sia la terra nella quale sono nate e dalla quale si nutrono che sia speciale, donata da un contadino alla donna per un pegno d'amore ed ancora quel loro sentimento unisce le radici delle rose ad ogni singolo granello di terra di quel giardino. Tutto il borgo giunge, nelle loro passeggiate di lavoro o di cammino, a guardare quelle rose donare luce al giardino e quando qualcuno passa distrattamente, si alza sempre il vento e la testa delle rose e le foglie che come tante braccia spuntino dal fusto salutano é sembrano sorridere. Non esiste calore più grande in quel giardino posto sotto alla collina che contiene il bosco che fa nascere i funghi e gli asparagi, non esiste miracolo o magia più intenso nei piccoli metri che videro un bacio d'estate ed un legame forte, che da quel momento, dai corpi, come linfa, scese nella terra e fece nascere quel cespuglio eterno che anche domani mattina, forse con sole, batterà come cuore ad ogni nota del pettirosso.
Annalisa-l'odore del fieno di giugno

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