giovedì 6 febbraio 2020

L'osteria Michiletta - di Fiorenzo Barzanti


Mettete un sabato mattina di gennaio a Cesena. E’ un gran freddo, la temperatura è sotto zero. Per alcuni giorni è caduta una quantità enorme di neve poi la temperatura è precipitata, è tornato il sereno ed il ghiaccio ha reso le strade pericolose. Gli operai del Comune hanno ammucchiato la neve ai bordi delle strade e steso della segatura mista a sale per evitare scivoloni. E’ giorno di mercato e sfidando le intemperie molti contadini sono comunque arrivati dalle colline. Non tutti ne avevano necessità ma si sa che la neve ed il clima rigido spingono le persone a lamentarsi per il freddo, nello stesso tempo si fa strada in loro una gran voglia di uscire all’aperto.
C’è invece uno stanzone dove c’è un gran caldo. In un angolo la stufa a ‘’sgantena’’ (segatura di legna) tira che è un piacere. L’ambiente è molto affollato e sembra che non ci sia più spazio per nessuno. Ma le persona continuano ad entrare e si fanno spazio ‘’scansando’’ gli altri. Tutti parlano ad alta voce e sono molto coperti con un vestiario variopinto. Chi porta un lungo cappotto, chi una ‘’caparlaza’’ (un grande mantello), chi una giacca tre volte la sua taglia perché era del fratello grande che gliel’ha passata, ma lui non è ancora cresciuto abbastanza. Anzi dalla lunghezza delle maniche che nascondono completante le mani si capisce che non arriverà mai a quella misura.
Gli odori che si sprigionano sono vari e non sempre piacevoli e si mescolano al sudore che inevitabilmente abbonda quando si passa da un ambiente molto freddo ad un ambiente molto caldo senza alleggerire il vestiario.
Nel lungo bancone di legno scivolano veloci i bicchieri di vino sangiovese. E Nin ad Pasota, non è l’unico, ordina una grappino perché con il freddo che fa fuori è bene scaldarsi ‘’i paramint’’ (gli organi interni). Nella parte finale del banco una donna di mezz’età robusta e rubiconda con le guance rosse toglie dal pentolone di acqua bollente i cotechini bolliti, li taglia a fette e imbottisce le piadine che vanno a ruba. Alcuni sono seduti ai tavolini. Si paga sempre alla fine prima di uscire e state tranquilli che nulla sfugge all’occhio indagatore dell’oste.
Non ci crederete, ma in mezzo a tutto questo trambusto in un angolo in fondo ci sono due uomini che giocano tranquillamente a carte ed esattamente a briscola incuranti del mondo circostante. Ci vuole del fegato, direte voi, arrivare una sabato mattina alle nove e mezza dalla campagna, sedersi in un luogo rumoroso e giocare a briscola. In realtà fanno solo tre partite. Chi vince paga da bere, nel loro caso un bicchier di sangiovese. Invece per la piadina con il cotechino, ognuno paga la sua.
‘’Boia d’un mond ledar, ho vint enca stavolta’’ (accidenti ad un mondo ladro, ho vinto anche questa volta). Risponde l’altro ‘’un’è parchè ci brev, lè che che te un bus de cul che u si veid i quadret tla pida’’ (non è perché sei bravo ma perché sei fortunato ed hai un sedere tale che si vedono anche i quadretti della piadina che hai appena mangiato).
I due contadini si conoscono da molto tempo ed sono amici. Fino a due anni prima abitavano nello stesso paese ed erano confinanti. Radgon era il soprannome del primo che significa grossa radice di pianta, Mastigon il soprannome del secondo perché quando parlava impegnava molto tempo a proferire le parole e sembrava che masticasse a lungo con la bocca e con le guance. Le loro mogli invece che si chiamavano Rina la prima e Sunta la seconda si parlavano, ma non erano assolutamente amiche. Si diceva, chissà se era vero, che la Sunta se la faceva con Radogon la cui moglie era gelosa. La chiacchiera era nata perché in inverno spesso Radgon andava a veglia da solo dalla famiglia. Quando era ormai mezzanotte Mastigon diceva di avere sonno, salutava ed andava a letto. Rimanevano da soli Radgon e la Sunta ancora un’oretta a fare delle chiacchiere. Si dice che non parlassero dei destini del mondo e neppure dei malanni della stagione.
Comunque sia, un bel giorno Radgon e la moglie si trasferirono in un altro podere a Bertinoro distante circa 15 chilometri che a quel tempo erano tanti da percorrere con l’asino. I due rimasero amici e si incontravano come vi ho detto ogni tanto di sabato mattina.
Siamo alla fine degli anni 50 e ci troviamo a San Tommaso bel paesino sulle colline romagnole di cesena ed abitato da famiglie di contadini mezzadri. La mia era una di queste ed io ero un bambino al quale sono rimaste impressi molti ricordi.
Il locale del quale vi ho appena parlato si chiamava osteria Da Michiletta, esisteva da quasi 100 anni ed era molto famosa a quel tempo. Si trovava a Cesena in Via Fantaguzzi chiamata anche Via Diureps (era l’antico nome Via degli Orefici) perché c’erano diversi negozi di oreficeria.
Quell’osteria esiste ancora oggi dopo avere cambiato ovviamente molte gestioni ed essersi trasformata in un ristorante. Si trova a qualche decina di metri di distanza ed esattamente in Via Strinati.
Se un sabato mattina il contadino Bin ad Varen aveva bisogno di parlare con il contadino Quarto ad Caicarot e non si erano dati appuntamento, cosa faceva? Semplice andava da Michiletta e lo trovava attorniato da un gruppo di amici che ad alta voce raccontava gli ultimi aneddoti della sua borgata. Parlava ad alta voce perché come molti contadini aveva problemi di udito e quindi credeva che anche gli altri facessero fatica a sentire. Il problema in realtà era rilevante e si ricorda quella volta, anni dopo, che andò a fare una visita per l’udito dallo specialista otorinolaringoiatra della mutua detto ‘’quel dagl’ureci’’ (quello delle orecchie). Il dottore si chiamava Celletti (mancato poco tempo fa) ed era il figlio del famosissimo medico di famiglia Dottor Celletti conosciuto e stimato in tutta la campagna collinare. Dunque lo specialista lo visitò, gli mise vicino all’orecchio l’orologio e gli chiese: senti l’orologio? Il brav’uomo vuoi perché era emozionato, vuoi perché non aveva capito bene rispose di sì e fu liquidato immediatamente.
Dovete sapere che quando si andava da un medico specialista della mutua c’erano pochi ‘’salamelecchi’’. Il professionista non era pagato dal cliente, ma dalla ‘’mutua’’ e viaggiava spesso ad una velocità impressionante anche perché c’era una lunga fila. A volte era di poche parole e mentre il paziente si rivestiva lui scriveva la diagnosi con una calligrafia incomprensibile. In paese a volte si facevano delle vere e proprie riunioni per capire ed interpretare lo scritto. Ma su questo ritornerò una prossima volta.
Era quasi mezzogiorno e sentivate voglia di un piatto di fagioli con le cotiche? Niente paura, Michiletta ve li serviva fumanti ed ottimi. Così pure un piatto di trippa con la piadina, un piatto di strozzapreti al sugo con ‘’gli striduli’’, un piatto di tagliatelle al ragù, un piatto di ‘’puntarine’’ con i fagioli.
Se si andava di fretta c’era sempre la piadina con il salame, con il cotechino bollito o con la salsiccia alla griglia.
Per non parlare del ‘’bere’’. Il vino sangiovese andava a fiumi, così pure il trebbiano, l’albana dolce e secca. C’era pure la birra e le bibite analcoliche classiche.
Durante la settimana i contadini lavoravano nei campi ed ovviamente parlavano con i loro confinanti. Spesso uno chiedeva: ‘’’ci ste da Michiletta? Sus gieval? (sei sato da Michiletta, cosa si diceva?). Era famoso il contadino Milio ad Dubrand che riportava tante di quelle cose e parlava per ore. In realtà molte se le inventava ed a volte non c’era neppure stato.
Una curiosità, il locale era frequentato quasi esclusivamente da uomini.
Quella mattina, era un sabato giorno di mercato, ero andato a Cesena con mio babbo e mia mamma. Mentre mia mamma era andata a fare ‘’la dona ad piaza’’ io seguivo mio babbo nei suoi giri. Sapete già che le ‘’doni ad piaza’’ (donne della piazza) erano le contadine che nei giorni di mercato si piazzavano in cima alla scalinata del mercato coperto, stendevano una tovaglia e mettevano in mostra le piccole cose da vendere: un galletto, 12 uova, un mazzo di ravanelli, radicchi dell’inverno. Con i soldi ricavati andavano nelle bancarelle in piazza del Popolo ad acquistare le piccole cose per la famiglia: mutande, calzini, pantofole, magliette ‘’da sotto’’, giocattoli per i bambini.
Con il mio babbo dopo essere stati dalla ‘’frarecia’’ (ferramenta) in Piazza Albizzi, andammo a fare una capatina, immaginate dove? Ma da Michiletta. C’era molta gente e moltissimi conoscevano mio babbo e facevano i complimenti al bambino che cresceva bene. Sappiate che c’era un’usanza che resisteva nel tempo. Quando un contadino era accompagnato da un figlio piccolo, il bambino riceveva molte attenzioni e complimenti dagli amici dei genitori i quali ne andavano ovviamente orgogliosi. Mio babbo conosceva bene il gestore perché gli forniva ogni anno quattro damigiane di vino sangiovese. A volte quando qualcuno chiedeva da bere da Michileta voleva essere informato di chi era quel vino servito. A volte addirittura l’oste ne aveva contemporaneamente di diversi fornitori ed esaudiva il desiderio del cliente.
Quella mattina mi è rimasta impressa perché, era gennaio, mio babbo doveva ancora ammazzare il maiale ed aveva necessità di venderne un mezzo. Neanche a farlo apposta trovò un suo amico di Pievesestina che aveva bisogno e fecero l’affare. Insomma Michiletta era anche un luogo di affari fra contadini.

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