“Fora Febràro”, “Bati Marso” “Bàtere Marso”, “Bàtere l’erba de marso”,
“Farghe la batarèla”, “Bàtere i bandòti”, “Criàr Marso”, “Brusamarso”,
“Osàde” e infine, per i Cimbri: “Schella Martzo”: questi sono alcuni
dei tanti modi dire che in passato indicavano i riti e le usanze legati
al primo annuncio della primavera.
All’origine di tutte queste
tradizioni c’è un nucleo veramente arcaico di propiziazione della
fecondità della terra, degli animali, degli uomini. Queste varianti
della Chiamata di marzo, simili tra loro, sicuramente esistevano almeno
in tutta l’Italia settentrionale, dalla Lombardia al Friuli, e
probabilmente anche in un’area più vasta, con varianti locali molto
accentuate. Ad esempio, non sono note altre chiamate di marzo con la
sfilata degli animali domestici e dei mestieri come quella di Recoaro.
Come ha scritto Dino Coltro:
“La primavera non si incontrava, la si chiamava, le si urlava dietro,
la si “scongiurava”, letteralmente, ossia la si chiamava facendo gli
scongiuri. Perché non si poteva escludere che la primavera non tornasse
mai, e per scongiurare questa sciagura la si chiamava a gran voce.”
Si fa più chiasso che si può, usando strumenti primitivi e selvaggi per
scuotere la terra dal suo sonno invernale: con tamburi, corni,
“cioche”, “snàtare”, “ràcole” (campanacci, raganelle), la percussione e
il trascinamento di bidoni e secchi in disuso, e recentemente anche
botti di carburo.
(Notizie da CIVILTA’ RURALE DI UNA VALLE VENETA: LA VAL LEOGRA e da Dino Coltro MONDO CONTADINO)
A fine febbraio, gruppi di bambini e ragazzi con il viso sporco di fuliggine, mascherati con cortecce, cartocci di mais, rami e tralci di edera e sempreverdi, piume e pelli, percorrevano i campi trascinando fascine e bidoni tra grida e corse irrefrenabili, come in un rito cerimoniale, dove gli officianti erano i giovanissimi (innocenti, imprevedibili ed indomabili come la natura); il campo dimenticato dai battitori si pensava diventasse sterile, come la ragazza non coinvolta nelle “satire” e nelle cante, dove si accoppiavano scherzosamente (in realtà, non tanto) i giovani e le fanciulle in età da marito.
Era anche questa un'usanza dei giorni tra la fine di febbraio e l'inizio di marzo: i giovani, raggruppati in due gruppi distinti, maschi e femmine, si recavano in due posti a tiro di voce – in montagna su due cucuzzoli o sulle due sponde di una vallata – e scandivano alternativamente una cantilena nella quale proponevano fidanzamenti, divertendosi a fare gli accoppiamenti più strani e possibilmente scandalosi.
Nella “Chiamata di marzo” l'elemento goliardico era sempre presente. Nella foto dal libro “LA CHIAMATA DI MARZO” di Luigi Centomo, 2006, si vedono i fratelli Frizzo “Zalica” scherzosamente travestiti da “òmo e dòna” , ma spesso si assisteva al completo scambio di ruoli: donne vestite da uomini e viceversa.
Ecco alcune delle tante varianti del canto dei gruppi di giovani, tra la burla e il “nonsense”:
............ “Fòra febraro che marso zè qua
............se nol zè marso 'l se smarsirà!
............ Chi zè ca ghe dèmo par moroso?
............ El Moro Punàro che l'è on bel toso
............ Chi zela la morosa?
............La Teresa Barba che l'è na bela tosa!
............ Cossa ghe darìn par dote?
............ Dò bele panoce!
............ Cossa gai sui òci?
............ Dò piòci!”
(Fuori febbraio che marzo è qua
se non è marcio (si intende il terreno in disgelo, molle) si marcirà!
Chi le diamo per fidanzato?
Il Moro Punaro che è un bel ragazzo
Chi è la fidanzata?
Teresa Barba che è una bella ragazza
Cosa daremo per dote?
Due belle pannocchie di mais
Cos'hanno sugli occhi?
due pidocchi)
............ “Tròto tròto marso
............ Più bel fiorìn che sia
............ Che porta ‘l can al’ombrìa
............ Che porta ‘l can al’ombrìa
............ La puta inamorà
............ Chi zéla chi no zéla
............ La zé la (Marieta) bela!
............ A chi ghe la ghén da dare?
............ a…(al màto dale nogàre)!
............ che l’è da maridàre.
............ Tre pìe soto l’òrno
............ Ghe sonarémo ‘l corno!”
(Trotta trotta marzo
Il più bel fiorellino che ci sia
Che porta il cane all’ombra
Che porta il cane all’ombra
La ragazza innamorata
Chi è chi non è
È la (nome ragazza) bella
A chi la daremo?
A (nome del giovane o appellativo scherzoso)
Che cerca moglie
Tre piedi sotto il frassino
Gli suoneremo il corno.)
(Notizie da CIVILTA’ RURALE DI UNA VALLE VENETA: LA VAL LEOGRA e da Dino Coltro MONDO CONTADINO)
La linguista e ricercatrice Maria Teresa Vigolo, che è originaria della valle dell'Agno, ed insegna Semantica all'Università di Padova, in “Ricerche lessicali sul dialetto dell'alto Vicentino” (Tubinga, 1992) cita un ritornello che la gente di Recoaro ripeteva cadenzandolo durante la Chiamata di Marzo.
Con qualche variazione, sono le strofe di “Schella Marzo” dell'Altopiano dei Sette Comuni.
Siamo proprio la stessa gente cimbra!
La prof. Vigolo prende a riferimento uno scritto di Francesco Meneghello, pubblicato nel 1929 nel periodico del CAI, e più volte riportato tra le pochissime testimonianze del passato su questa manifestazione:
Marzo, marzo, du pist da; (Marzo, marzo, tu sei là)
schella, schella, kume, (suona, suona, comino)
da kapotschen saint garivet. (i capucci sono finiti).
Schella, schella, marzo (suona, suona, marzo)
snea de hia ( neve di quà)
gras de her (erba di là)
alle de dillen lér. (tutti i fienili sono vuoti).
Benne der kuko kuket (quando il cuculo canta/ cucula)
pluhet der bald; (fiorisce il bosco)
bear lang lebet (chi vive a lungo)
sterbet alt. (muore vecchio).
CIMBERnauti
A fine febbraio, gruppi di bambini e ragazzi con il viso sporco di fuliggine, mascherati con cortecce, cartocci di mais, rami e tralci di edera e sempreverdi, piume e pelli, percorrevano i campi trascinando fascine e bidoni tra grida e corse irrefrenabili, come in un rito cerimoniale, dove gli officianti erano i giovanissimi (innocenti, imprevedibili ed indomabili come la natura); il campo dimenticato dai battitori si pensava diventasse sterile, come la ragazza non coinvolta nelle “satire” e nelle cante, dove si accoppiavano scherzosamente (in realtà, non tanto) i giovani e le fanciulle in età da marito.
Era anche questa un'usanza dei giorni tra la fine di febbraio e l'inizio di marzo: i giovani, raggruppati in due gruppi distinti, maschi e femmine, si recavano in due posti a tiro di voce – in montagna su due cucuzzoli o sulle due sponde di una vallata – e scandivano alternativamente una cantilena nella quale proponevano fidanzamenti, divertendosi a fare gli accoppiamenti più strani e possibilmente scandalosi.
Nella “Chiamata di marzo” l'elemento goliardico era sempre presente. Nella foto dal libro “LA CHIAMATA DI MARZO” di Luigi Centomo, 2006, si vedono i fratelli Frizzo “Zalica” scherzosamente travestiti da “òmo e dòna” , ma spesso si assisteva al completo scambio di ruoli: donne vestite da uomini e viceversa.
Ecco alcune delle tante varianti del canto dei gruppi di giovani, tra la burla e il “nonsense”:
............ “Fòra febraro che marso zè qua
............se nol zè marso 'l se smarsirà!
............ Chi zè ca ghe dèmo par moroso?
............ El Moro Punàro che l'è on bel toso
............ Chi zela la morosa?
............La Teresa Barba che l'è na bela tosa!
............ Cossa ghe darìn par dote?
............ Dò bele panoce!
............ Cossa gai sui òci?
............ Dò piòci!”
(Fuori febbraio che marzo è qua
se non è marcio (si intende il terreno in disgelo, molle) si marcirà!
Chi le diamo per fidanzato?
Il Moro Punaro che è un bel ragazzo
Chi è la fidanzata?
Teresa Barba che è una bella ragazza
Cosa daremo per dote?
Due belle pannocchie di mais
Cos'hanno sugli occhi?
due pidocchi)
............ “Tròto tròto marso
............ Più bel fiorìn che sia
............ Che porta ‘l can al’ombrìa
............ Che porta ‘l can al’ombrìa
............ La puta inamorà
............ Chi zéla chi no zéla
............ La zé la (Marieta) bela!
............ A chi ghe la ghén da dare?
............ a…(al màto dale nogàre)!
............ che l’è da maridàre.
............ Tre pìe soto l’òrno
............ Ghe sonarémo ‘l corno!”
(Trotta trotta marzo
Il più bel fiorellino che ci sia
Che porta il cane all’ombra
Che porta il cane all’ombra
La ragazza innamorata
Chi è chi non è
È la (nome ragazza) bella
A chi la daremo?
A (nome del giovane o appellativo scherzoso)
Che cerca moglie
Tre piedi sotto il frassino
Gli suoneremo il corno.)
(Notizie da CIVILTA’ RURALE DI UNA VALLE VENETA: LA VAL LEOGRA e da Dino Coltro MONDO CONTADINO)
La linguista e ricercatrice Maria Teresa Vigolo, che è originaria della valle dell'Agno, ed insegna Semantica all'Università di Padova, in “Ricerche lessicali sul dialetto dell'alto Vicentino” (Tubinga, 1992) cita un ritornello che la gente di Recoaro ripeteva cadenzandolo durante la Chiamata di Marzo.
Con qualche variazione, sono le strofe di “Schella Marzo” dell'Altopiano dei Sette Comuni.
Siamo proprio la stessa gente cimbra!
La prof. Vigolo prende a riferimento uno scritto di Francesco Meneghello, pubblicato nel 1929 nel periodico del CAI, e più volte riportato tra le pochissime testimonianze del passato su questa manifestazione:
Marzo, marzo, du pist da; (Marzo, marzo, tu sei là)
schella, schella, kume, (suona, suona, comino)
da kapotschen saint garivet. (i capucci sono finiti).
Schella, schella, marzo (suona, suona, marzo)
snea de hia ( neve di quà)
gras de her (erba di là)
alle de dillen lér. (tutti i fienili sono vuoti).
Benne der kuko kuket (quando il cuculo canta/ cucula)
pluhet der bald; (fiorisce il bosco)
bear lang lebet (chi vive a lungo)
sterbet alt. (muore vecchio).
CIMBERnauti
E Buratti scrive neall poesia sulla "Providenza"
RispondiEliminaDe ti parla el prà vestío
In april de bei colori
L'oselto che fa 'l nio
El zardin che buta fiori.
L'ava inquieta e facendiera
Che dal bozzolo se mola,
Co a l'odor de primavera
Tuto el mondo se consola.
De ti parla l'alboreto
Che da nuo che 'l gera prima
Ubidiente al to decreto
Se fa verde in banda e in cima,
Ogni gran, che superando
L'invernal stagion nemiga,
Va in secreto preparando
El portento d'una spiga,
Ogni vida, che bambina
Segna el graspo, se fa bela,
E rival de la vicina
Spiega in pompa la tirela.
ecc.