lunedì 3 febbraio 2020

La casa nel bosco dove nascevano i bucaneve


C'era un tempo lontano nel quale, nei mesi più freddi, un pomeriggio all'apparenza qualsiasi, dopo il calare del sole, iniziava a scendere la neve sui borghi della vallata. Il silenzio precedeva quella discesa: sembravano ammutolirsi il cielo ed il vento, le case sembravano aspettare, senza turbare la natura quel momento, trattenendo quasi il loro esterno respiro. Così ad un tratto, un fiocco dopo l'altro, la neve scendeva lentamente, con grosse facce, ed a guardarle dalla strada o dalle finestre lunghe, sembrava che il mondo salisse verso il cielo anziché mille palline di ovatta scendessero sui prati. Coprivano ogni angolo, ogni tetto, ogni albero spoglio ed ogni pianta sempreverde. Rendevano docili le spine delle more e della rosa canina, mettavano un merletto alle piante degli orti lasciate spoglie dal vento che aveva trascinato via le ultime foglie gialle e rosse, legavano come fosse un lavoro da uncinetto, i fili spinati dei confini dei terreni dove ancora restavano a dondolare ciuffi di lana delle pecore: lana bianca nella lana bianca. Mentre tutto cambiava nel suo restare immobile, le cinciallegre ed i passeri sembravano ballare sotto quella danza contagiosa dei fiocchi e saltellavano nei giardini e nelle strade e tante zampe restavano finché altra neve non li nascondeva. A guardare la neve scendere senza sosta vi era una donna che per anni aveva trasformato la saggina in grandi scope e viveva impagliando sedie, cesti di vimini e cappelli, a cui in primavera aggiungeva le viole odorose che crescevano vicino alla chiesa. Ciò che il mulino in estate, sotto il sole e le cicale, metteva in disparte con lei tornava a vivere. Guardava dalla lunga finestra la neve scendere, venire giù come un miracolo, come un desiderio voluto dal cielo e guardava poi nella valle, accanto alla sua casa, dove aspettava che come ogni anno, dopo la nevicata, nascessero i bucaneve. Quel tenero fiore, che passava tutta la sua vita a testa bassa, umilmente era inchinato al bosco ed al profumo che sarebbe arrivato, luminoso, a stendere alle rondini il tappeto di margherite e primule. Attendevano anche loro quei fiocchi e guardavano la casa della donna, la quale per sentirsi meno sola, lasciava che qualcuno di essi entrasse aprendo le finestre perché l'aria fosse di nuovo pulita e chiara e perché tutta la casa fosse illuminata e protetta da quella luce così chiara e forte nella sua dolcezza. E qualche fiocco davvero entrava dentro la casa, nella camera da letto con le lenzuola opache, entrava nella sala dove c'era sempre la candela accesa, entrava sorvolando il muro alto che a primavera era pieno di rose e gelsomini. Quei fiocchi giocavano con l'aria, come i gatti che prendono al volo le piume delle colombe, sembravano farfalle bianche impazzite che danzavano nel borgo, nelle piccole strade, sui muretti dove i ragazzi si incontrano in estate e sotto ai lampioni dalla luce leggera, che qualche innamorato guardava per vedere la neve scendere forte, nel suo silenzio. La donna che ora guardava quei fiocchi cadere ricordava una domenica lontana, dove camminando in mezzo alla neve mano nella mano, vide per la prima volta spuntare delicati i bucaneve. Erano i messaggeri della primavera, che pian piano arrivata nell'aria e quella neve era l'ultimo profumo dell'inverno che avanzava nel borgo senza voce. E quel silenzio arriva a fino alla casa che guardava al paese: lo guardava con i grossi mattoni rossi ed i sassi grigi ed in mezzo alla neve respirava insieme alla sua inquilina ed ogni notte guardava la luna sorgere, il grano diventare oro e la neve, come in quel giorno, cadere e fare l'eco grande ai cani che nelle case in fondo alla valle ululavano ai fiocchi che volteggiano con ampie gonne scendevano nel buio e tutto rendevano luminoso. Il borgo e la piccola casa, uniti in quel silenzio che legava quel giorno all'eternità di un solo istante, sembravano diventare color dello zucchero sotto quella danza divina e forse in quella dolcezza senza eguali qualche cuore tornò alla memoria di giorni che mai sono passati. Sentiva ancora i passi nella neve, sentiva il respiro, sentiva una voce che insieme al vento ed all'ululato dei cani correva per le vie del paese, passando davanti alle porte, alle finestre ancora illuminate dalla luce o dalle fiamme del camino. E camminando oggi come allora, tenendosi per mano, quei fiocchi giungevano fino alla distesa dei bucaneve, dove il primo giorno di sole, in silenzio ed a testa bassa, una nuova distesa bianca prendeva il posto della neve che si scioglieva. Quei fiori umili, delicati e forti al tempo stesso la prima luce per guardar verso la casa ed aspettare che dei piedi gentili tornassero a far visita, a raccontare di quel duro inverno quasi terminato e così ad aspettare che tornassero le viole a profumare i prati di quella terra di pastori che aspettavano le rondini.
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