Il nostro cuore è come un conto in banca.
Quei fortunati fra di noi che ne possiedono uno, sanno benissimo che cosa succede se volutamente e contro ogni logica si mettono a prelevare sempre senza depositare mai: prima o poi il conto andrà a zero.
Ma, dato che nel momento in cui rinunciamo alla libertà entriamo in un automatismo privo di controllo, continueremo a fare la stessa cosa e il conto finirà fatalmente in rosso.
Questo è quello che ci succede quando prendiamo la “virtuosa” decisione di mettere gli altri sempre prima di noi.
In modo più poetico, possiamo considerare il nostro cuore anche come un giardino: se io non ne ho cura, il mio giardino andrà in rovina e quando lo vorrò offrire ad una persona che amo non potrò che offrirle un giardino rovinato, perché noi possiamo dare solo quello che abbiamo.
Se io ho cura del mio giardino, ma entra qualcuno che lo calpesta, il mio giardino andrà in rovina e di nuovo io potrò offrire solo un giardino rovinato.
Anche il rapporto noi-gli altri, sottostà alla legge della risonanza.
Il noto detto “chi si somiglia si piglia” è più profondo e complesso di quello che può sembrare.
Infatti noi attiriamo (e siamo attirati) non solo le persone che hanno qualcosa in comune con noi, ma anche quelle di cui abbiamo bisogno in positivo per evolvere, in negativo per confermare i nostri ruoli.
Per chiarire il funzionamento della risonanza nei rapporti interpersonali basta pensare a un diapason.
Io sono un diapason della nota sol e ho di fronte a me i diapason delle sette note.
Se inizio a vibrare, ad emettere la mia frequenza specifica, secondo voi quale degli altri sette si metterà a vibrare, a entrare in risonanza con me, a riconoscermi e a rispondermi?
Evidentemente il sol. E sarà sempre così finché io sarò o crederò di essere un sol.
Per riassumere. Io mi identifico nel ruolo di vittima: chi sono? Una vittima.
Di chi ha bisogno una vittima per poter esistere? Ovviamente di un carnefice che garantisca e renda reale il suo auto immaginato ruolo di vittima.
Senza carnefice la vittima può esistere? No! Se non c’è il carnefice la vittima sparisce, cioè muore.
Se io non sono me stesso, ma sono un ruolo, nel momento in cui il ruolo sparisce e muore, io sono morto. Dunque il doppio legame vittima-carnefice garantisce la sopravvivenza di tutti e due.
Alla fine sembra proprio che amarsi e prendersi cura di se stessi, sia l’unica strada possibile per il vero altruismo: offrire agli altri le nostre bellezze e non i nostri disastri.
Proporre agli altri i nostri disastri non è offerta d’amore: è richiesta di amore. Che va benissimo, però è un’altra cosa.
“Ama il prossimo tuo come te stesso”.
In questa piccola frase sono contenute due grandi indicazioni nella via verso la Vita.
La prima è palese: ama te stesso.
La seconda va cercata. In “ama il prossimo tuo come te stesso” – c’è il "come", non il "di più".
Per l’egocentrico gli altri stanno sempre dietro.
Per l’altruista, sia in buona, sia in cattiva fede, stanno sempre davanti.
Per chi sa amare se stesso, non stanno né davanti né dietro: stanno semplicemente di fianco.
(da: “E se fosse così?”)
Quei fortunati fra di noi che ne possiedono uno, sanno benissimo che cosa succede se volutamente e contro ogni logica si mettono a prelevare sempre senza depositare mai: prima o poi il conto andrà a zero.
Ma, dato che nel momento in cui rinunciamo alla libertà entriamo in un automatismo privo di controllo, continueremo a fare la stessa cosa e il conto finirà fatalmente in rosso.
Questo è quello che ci succede quando prendiamo la “virtuosa” decisione di mettere gli altri sempre prima di noi.
In modo più poetico, possiamo considerare il nostro cuore anche come un giardino: se io non ne ho cura, il mio giardino andrà in rovina e quando lo vorrò offrire ad una persona che amo non potrò che offrirle un giardino rovinato, perché noi possiamo dare solo quello che abbiamo.
Se io ho cura del mio giardino, ma entra qualcuno che lo calpesta, il mio giardino andrà in rovina e di nuovo io potrò offrire solo un giardino rovinato.
Anche il rapporto noi-gli altri, sottostà alla legge della risonanza.
Il noto detto “chi si somiglia si piglia” è più profondo e complesso di quello che può sembrare.
Infatti noi attiriamo (e siamo attirati) non solo le persone che hanno qualcosa in comune con noi, ma anche quelle di cui abbiamo bisogno in positivo per evolvere, in negativo per confermare i nostri ruoli.
Per chiarire il funzionamento della risonanza nei rapporti interpersonali basta pensare a un diapason.
Io sono un diapason della nota sol e ho di fronte a me i diapason delle sette note.
Se inizio a vibrare, ad emettere la mia frequenza specifica, secondo voi quale degli altri sette si metterà a vibrare, a entrare in risonanza con me, a riconoscermi e a rispondermi?
Evidentemente il sol. E sarà sempre così finché io sarò o crederò di essere un sol.
Per riassumere. Io mi identifico nel ruolo di vittima: chi sono? Una vittima.
Di chi ha bisogno una vittima per poter esistere? Ovviamente di un carnefice che garantisca e renda reale il suo auto immaginato ruolo di vittima.
Senza carnefice la vittima può esistere? No! Se non c’è il carnefice la vittima sparisce, cioè muore.
Se io non sono me stesso, ma sono un ruolo, nel momento in cui il ruolo sparisce e muore, io sono morto. Dunque il doppio legame vittima-carnefice garantisce la sopravvivenza di tutti e due.
Alla fine sembra proprio che amarsi e prendersi cura di se stessi, sia l’unica strada possibile per il vero altruismo: offrire agli altri le nostre bellezze e non i nostri disastri.
Proporre agli altri i nostri disastri non è offerta d’amore: è richiesta di amore. Che va benissimo, però è un’altra cosa.
“Ama il prossimo tuo come te stesso”.
In questa piccola frase sono contenute due grandi indicazioni nella via verso la Vita.
La prima è palese: ama te stesso.
La seconda va cercata. In “ama il prossimo tuo come te stesso” – c’è il "come", non il "di più".
Per l’egocentrico gli altri stanno sempre dietro.
Per l’altruista, sia in buona, sia in cattiva fede, stanno sempre davanti.
Per chi sa amare se stesso, non stanno né davanti né dietro: stanno semplicemente di fianco.
(da: “E se fosse così?”)
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