Ho chiuso Facebook: ecco cosa Zuckerberg continua a sapere di me
A dieci anni (quasi) esatti da
quando ho aperto il mio profilo su Facebook, e nel pieno dello scandalo
Cambridge Analytica che sta icrinando la figura di Mark Zuckerberg e
facendo tentennare il titolo della sua azienda in Borsa, ho deciso di
mettere in sonno il mio account. Ma prima di sospenderlo a tempo
indeterminato, ho scaricato tutti i dati di cui il social network è in
possesso. È stato come aprire il vaso di Pandora.
Facebook si ricorda tutto, e ho scoperto cose di me che non ricordavo più o che speravo di aver dimenticato:
compresi gusti musicali discutibili (negli anni sono migliorato),
eventi ed aperitivi a cui ho partecipato, posti dove sono stato. Nessuna
informazione indiscreta, perché la vita di questo cronista tutto
sommato è abbastanza banale: tuttavia è la somma dei piccoli frammenti
ad essere impressionante per mole e completezza. Nessuno, non mia
moglie, non i miei genitori o i miei più cari amici hanno mai avuto una
panoramica così dettagliata della mia vita. Neanche io stesso, perché
molte delle piccole cose quotidiane che ho fatto, dopo anni, non le
ricordavo più. Se qualcun altro scaricasse questi dati a mia insaputa
(la procedura è abbastanza semplice e nel mio caso non ha richiesto
autenticazione a due fattori, che peraltro avevo attivato sul mio
profilo) avrebbe a disposizione più informazioni di qualsiasi ente
pubblico, dal ministero dell’Interno all’autorità giudiziaria sino al
mio ente previdenziale, il mio plesso scolastico di origine e la mia
parrocchia. Forse solo Google sa più cose di me.
Una premessa. Quando ho aperto il mio profilo, Facebook esisteva da
quattro anni e io scrivevo di tecnologia per Il Sole 24 Ore da sette.
Come telefono dal 2008 ho utilizzato sempre l’iPhone di Apple (più di
uno), e questa semplice scelta, assieme a un po’ di attenzione nelle
autorizzazioni concesse alle app di terze parti (mai permesso a nessuno
di autenticarsi usando il mio profilo Facebook né di accedere alla mia
rubrica e calendari) ha reso i miei dati in possesso del signor
Zuckerberg molto meno saporiti e ricchi di quanto non avrebbero potuto
essere. Diciamo che li ha ridotti a meno della metà. Perché Apple ha
politiche di blocco nello scambio dati tra app e telefono molto più
restrittive di quelle di Android e, prima, di Windows Phone. Ma non
cambia molto la sostanza. Vediamo nel dettaglio.
Scaricare i propri dati è semplice, lo stesso facebook fornisce le indicazioni.
Dopo aver seguito la procedura ho avviato il download di un documento zip da circa 250 Megabyte. La connessione di casa in fibra lo ha fatto scaricare in cinque minuti. Le dimensioni come detto sono relativamente contenute. Sono pur sempre l’equivalente di 300mila documenti Word.
Dopo aver seguito la procedura ho avviato il download di un documento zip da circa 250 Megabyte. La connessione di casa in fibra lo ha fatto scaricare in cinque minuti. Le dimensioni come detto sono relativamente contenute. Sono pur sempre l’equivalente di 300mila documenti Word.
Dentro ho trovato una serie di cartelle e di pagine Html, cioè pagine
web locali. La prima, Index.html, contiene il registro generale delle
mie attività. Si parte da qui. Prima di aprirla, però, mi sono procurato
e ho modificato alcuni script che permettono di analizzare
trasversalmente i dati alla ricerca di informazioni che possono essere
state messe in pagine non linkate alla principale e quindi difficili da
trovare. Un controllo di sicurezza con esito per me positivo: niente registro delle mie telefonate, né copia degli sms o degli mms inviati e ricevuti, né posizioni Gps abituali. Anche i 2.551 contatti della mia rubrica telefonica (la
vera dote di ogni buon giornalista) non sono stati “presi” da Facebook e
questo è un bene, almeno per chi fa la professione del cronista ma non
solo, perché dentro ci sono numeri riservati, i diretti di personaggi
pubblici e rappresentanti delle istituzioni. Come potrei giustificare
con la Gdpr se questi numeri venissero presi da Facebook e poi girati ad
aziende terze?
La mia data di nascita, la mia città natale, il mio numero di
cellulare, sesso, parenti presenti su Facebook (di cui uno sbagliato, è
solo un conoscente), scuola e università e posto di lavoro sono in prima
fila. Non ho mai messo il mio stato di famiglia né la mia religione o
preferenze sessuali, ma solo per via dell’età: se avessi avuto sedici
anni all’apertura dell'account, le cose sarebbero probabilmente state
molto diverse.
Nell’archivio dei miei dati, Facebook mi propone una serie di
opzioni: navigare verso la timeline del mio muro, guardare le foto che
ho postato e condiviso (pochissime, solo otto, perché per quello adopero
Instagram), i video (una trentina, sono vecchio), la lista degli amici
(sono 1.759, inclusi quelli che mi hanno chiesto l’amicizia e sono
ancora sospesi e quelli a cui invece l’ho declinata, oltre a quelli che
mi hanno cancellato), i messaggi inviati e ricevuti nella chat di
Facebook (1.600 conversazioni in tutto, la prima con Alice, fidanzata di
una vita fa, documentata fino all’ultima parola di una storia che se
volessi ricordare a memoria oggi farei fatica a focalizzare), gli eventi
a cui ho partecipato e quelli a cui non sono andato (ma ho mostrato
interesse): il primo è “Web Match - Lui, lei, la rete” allo Smau
dell’ottobre 2008, segue la presentazione del libro “Non stimo Nedved” e
poi “Sostieni Save The Children su TripAdvisor“. Solo scorrere questi
12.000 eventi circa è un viaggio nel tempo.
Alla voce “Sicurezza” Facebook mi fa la lista di tutte le sessioni
attive che avevo con il social network: sono dieci tra telefoni, tablet,
app che si collegano come Instagram e via dicendo. Poi c'è la parte di
“attività dell’account” e si entra nella fantascienza: tutte le sessioni
che ho chiuso (quindi le volte che mi sono sloggato da Facebook)
comprensive di computer, tipo di browser, indirizzo IP e posizione
stimata. In rete c’è chi sostiene che se si avessero tutte queste
informazioni su dove uno è stato con il proprio telefonino probabilmente
la maggior parte delle inchieste di polizia finirebbero con un
colpevole trovato. Alla voce “Indirizzi IP” Facebook mi ricorda i 189
dai quali mi sono collegato, oltre a tutti i cambi di password che ho
mai fatto.
Pubblicità, solo quattro aziende hanno dati profilati su di me
(chissà come ci sono riuscite) e sono Spotify, eBay.it, PlayStation
DACH, Emirates. Invece, a quanto pare ho cliccato solo su 38 pubblicità
in dieci anni (bravo!) mentre il mio profilo è definito da 99 categorie:
da Eric Clapton (che in effetti adoro) a Barga, da Europe a Mammoth, a
Humans of New York. Sono le parole chiave per capire temi e aziende a
cui “penso“ e per cui “sento”.
Solo 11 app sono collegate al mio profilo Facebook: sono stato bravo a tenermi isolato. In particolare, dieci che conosco bene (da Twitter a Instagram, da Anobii a Xbox, da Pinterest a Medium) e una che ignoro cosa sia (Hello OS). Per tutte queste dovrò trovare un modo diverso per collegarmi al servizio, dato che l'identità Facebook non è più attiva.
Solo 11 app sono collegate al mio profilo Facebook: sono stato bravo a tenermi isolato. In particolare, dieci che conosco bene (da Twitter a Instagram, da Anobii a Xbox, da Pinterest a Medium) e una che ignoro cosa sia (Hello OS). Per tutte queste dovrò trovare un modo diverso per collegarmi al servizio, dato che l'identità Facebook non è più attiva.
La mia Timeline, il mio “muro” è un vero incubo però, perché contiene
qualsiasi cosa abbia scritto o cliccato o condiviso: avendo collegato
il mio account Twitter e Instagram a Facebook ci sono anche tutte le
cose che ho scritto, fotografato o condiviso su quegli altri due social
(Instagram come Whatsapp è di proprietà di Facebook). È un dato grezzo,
su cui passare sofisticati filtri basati sulle mie preferenze e su
chiavi semantiche per “capire” gli stati d'animo: Facebook vende agli
inserzionisti momenti psicologicamente importanti (ad esempio: obeso che
si vuole mettere a dieta, adolescente in difficoltà a scuola, madre
tornata single) per massimizzare i ritorni pubblicitari.
Quel che manca, guardando in rete il lavoro che altri stanno facendo
sui dati scaricati dai loro profili, è una parte ancora più inquietante.
Dylan Curran, consulente e sviluppatore web, ha scaricato invece i dati
di Google del suo Android e ha visto che ci sono registrati tutti i
posti dove è stato da quando usa quei telefoni, le caratteristiche
biometriche e personali: età, genere, altezza, peso stimato, attività
fisica, hobby, carriera, interessi, stato di famiglia, reddito,
interazione con tutte le app del telefono, relazione con gli altri
utenti di Facebook, a che ora si va a dormire, tutta la storia delle
ricerche di Google e di Youtube, tutti i documenti di Google Drive, il
calendario, le chat su Hangout, i gruppi a cui partecipi, documenti
inviati o ricevuti, tutti i messaggi di posta inviati o ricevuti, i
contatti del telefono, i file audio mandati o ricevuti.
Windows 10, sostiene Curran, ha un pannello di configurazione della privacy con sedici sotto pagine, la maggior parte delle quali sono attive di default. I dati di Apple sono molti meno in paragone, e l'azienda di Cupertino asserisce che sono solo sul device oppure in un backup crittato che non può essere visto dai suoi tecnici e che non viene condiviso con nessuno se non su ordine della magistratura. Ha senso perché Apple fattura grazie alla vendita di apparecchi, mentre Google e soprattutto Facebook vivono di pubblicità, cioè vendendo l'attenzione degli utenti agli inserzionisti.
Windows 10, sostiene Curran, ha un pannello di configurazione della privacy con sedici sotto pagine, la maggior parte delle quali sono attive di default. I dati di Apple sono molti meno in paragone, e l'azienda di Cupertino asserisce che sono solo sul device oppure in un backup crittato che non può essere visto dai suoi tecnici e che non viene condiviso con nessuno se non su ordine della magistratura. Ha senso perché Apple fattura grazie alla vendita di apparecchi, mentre Google e soprattutto Facebook vivono di pubblicità, cioè vendendo l'attenzione degli utenti agli inserzionisti.
Alla fine dell'analisi dei miei dati, il pezzo della mia vita aperto
davanti a me porta alcune considerazioni. Mi sento un escluso: senza
Facebook addio alle pagine delle due associazioni culturali di cui
faccio parte, le pagine della scuola dei figli, i gruppi di amici delle
superiori e dell'università, i gruppi di fotografia (la mia passione),
qualche associazione di categoria, le pagine del Comune e del Sindaco.
Tutte cose a cui non accederò più. Alcune sono rilevanti, ad esempio per
le decisioni di quartiere o magari per votare la prossima volta. E che
dire dell’assistenza ai servizi pubblici che passa in via preferenziale
dai social?
Il nodo da sciogliere è capire se il prezzo da pagare per avere dei servizi siano tutte queste informazioni personali: lo sapevamo tutti cosa volesse dire iscriversi a Facebook (e agli altri servizi), ma non può essere una scusa per non rendersi conto di come stanno le cose oggi.
Il nodo da sciogliere è capire se il prezzo da pagare per avere dei servizi siano tutte queste informazioni personali: lo sapevamo tutti cosa volesse dire iscriversi a Facebook (e agli altri servizi), ma non può essere una scusa per non rendersi conto di come stanno le cose oggi.
Sono andate molto, forse troppo avanti. Ne vale
ancora la pena? Guardando tutto quello che dei soggetti che non so chi
siano, sanno concretamente di me, la risposta è semplice: NO.
Antonio Dini
Il sole 24 ore
Facciabuco, ve lo raccomando....
RispondiEliminaA Zuckerberg, il bel giovane di provincia, è caduta la maschera.
RispondiEliminaSembra che il cancro malefico sia annidato soprattutto nelle democrazie occidentali, una volta sinonimo di libertà, uguaglianza e fratellanza.
Sono costernato!