Gli
occhi esausti individuavano tra macchie marrone e verde fresco un
impercettibile puntino bianco e rosso. Il volo iniziato da settimane
stava per concludersi finalmente. Nel mezzo dello stormo stanco i
suoi occhi si nascondevano tra il battito di ali ritmato e svelto.
Pattinando sul cielo celeste sfumato di fiocchi di panna bianchi e
leggeri, giungevano le rondini, annunciatrici di primavera, in una
mattina calda.
Dall'alto,
tutto il mondo pareva immerso nel silenzio, il vento solo pizzicava
il gelso e diffondeva i suoni della natura lontano, nel sottobosco
dove ora nasceva la felce. Ognuna di esse cercava con lo sguardo il
punto preciso in cui planare, in cui ricominciare una nuova vita
estiva tra cortili e balconi, grano e tulipani, fichi e grappoli
d'uva.
Si
dividevano come piccoli mazzi di fiori bianchi e gialli, dirigendosi
verso i campanili familiari, nelle città, nei casolari abbandonati,
gli uccelli dalla coda biforcuta.
Tra
di loro vi era una giovane rondine che stanchissima per essere al suo
primo volo, cercava spasmodicamente, tra gli altri infiniti, il suo
paese.
Volando
sul mare, sulle grandi città, infine sui laghi coperti di luce, si
avvicinava, ed il suo cuore lo sapeva, al borgo in cui era nata.
Lo
vide ingrandirsi sempre più mentre planava, dimenticandosi quasi dei
compagni di viaggio che a ciocche tornavano alle proprie strade, e
quel borgo di pietra, glicine e campi sembrò a lei grandissimo.
Riconobbe
man mano che si avvicinava, il campanile alto dove aveva riposato un
pomeriggio di agosto colta da un improvviso temporale rumoroso.
Avvicinandosi notó il campo arato dove planava con le compagne dopo
la mietitura per trovare cibo e danzare improvvisando la coreografia
in una sera di inizio luglio al tramonto ancora chiarissimo. E vedeva
poi quelle strade piccole, strette, costeggiate da fiori appena nati,
ancora piccoli e grossi alberi nodosi in fiore.
Diveniva
bianco e rosa quel puntino di borgo, come bianchi e rosa erano i
boccioli dei meli, dei ciliegi, dei peschi, degli albicocchi e del
mandorlo davanti al casale disabitato, nido del cuculo.
L'odore
di erba nuova si perdeva nel vento, ma lentamente poi saliva, fino ad
incontrarsi con la discesa della rondine. Iniziò a battere forte il
suo cuore, era finalmente tornata a casa. Il gruppo delle compagne la
seguiva a stento: ormai i ricordi sbattevano forti più delle ali.
Vide il cortile sempre in ombra nei pomeriggi afosi d'estate e la
sedia di paglia usata per ricamare e riconobbe il capannone dove gli
attrezzi pieni di polvere venivano riposti quando la luna piena
illuminava le notti interminabili.
Toccò
per prima il filo da cui era partita mesi prima, ordinatamente,
insieme alle altre, una mattina di ottobre in cui c'era foschia ed il
sole si attardava ad uscire da dietro il bosco che sapeva di legna
tagliata e vino nuovo. Iniziò a cantare con tutta la sua forza,
l'ultima che ancora possedeva, per annunciare al borgo il suo
ritorno.
Le
compagne che planarono con lei fecero altrettanto, emettendo brevi,
ma decisi pigolii, cambiando l'ordine delle melodie delle cinciarelle
e dei passeri, mescolandone gli spartiti, lanciando disordinatamente
in aria. Si diresse al suo nido, ancora intatto sotto il tetto della
casa dal giardino col grosso fico vecchio e maestoso, casa delle
lucciole, e vi entrò.
Sentì
nuovamente l'odore di terra, di sole nuovo e dopo aver volato ancora,
con le forze ritrovate, vi si nascose, emettendo qualche pigolio di
commossa gioia per tutto il giorno.
Fu
così che un bambino curioso, affacciandosi nel suo cortile vide
quella testolina bianca e nera spuntare, e per tutto il borgo che
profumava di nettare, urlò, dando voce a chi lo sussurrava commosso
o a chi sorridendo lo aveva notato, correndo e saltando: "sono
tornate!".
Annalisa
Ferri
Che bella la primavera!
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