Le dettagliate
e nostalgiche dissertazioni del Don riguardo ai formajiti (che noi chiamavamo già formagini), mi hanno
richiamato alla mente ricordi analoghi riguardo alla “rùfa”.
“Svelto, nemo su a lavarte!” Chiamava mia
madre dalla finestra. “A no son mia sporco!”
Era la mia abituale risposta. “No star
far storie... vanti!” Replicava lei, “Antevìdi
mia che te ghe la rufa?”
Era ovviamente un'esagerazione. Costituiva però un argomento efficace e sufficiente per indurmi ad abbandonare
di malavoglia le mie attività e sottomettermi a quel precetto settimanale; prima nel mestélo e poi, dal 1968,
nella nuova e scintillante vasca da bagno.
Quante cose sono cambiate, anche per noi, in quei fatidici anni.
Quante cose sono cambiate, anche per noi, in quei fatidici anni.
Avere
la rufa non era una bella cosa. Anche al tempo in cui in paese c'erano attaccati alle case più luamàri che vasi di fiori e avevamo bestie in quasi ogni famiglia, la rufa era uno stigma
sociale e andava accuratamente evitato. La rufa era una di quelle cose difficili
da spiegare e della quale ognuno aveva una idea sua. Certo è che si trattava di
uno sporco veramente onto, stratificato e incagnìo dai troppi appuntamenti saltati col saòn e
fissato quasi indelebilmente dal sudore, come i tatuaggi che si compravano con
le pèche da Gibe.
“Va via che te ghe la rufa!”
Era infatti una delle tante espressioni, futili ma efficaci, che usavamo nei nostri reciproci cojonaminti.
Era infatti una delle tante espressioni, futili ma efficaci, che usavamo nei nostri reciproci cojonaminti.
Allora
circolavano ancora i pòlde, anch’essi
legati alle scarse abluzioni; ma non divaghiamo.
L’etimologia di rufa, deriva immancabilmente dal cimbro Ruff, nel significato di
crosta. Origine che non stupisce, dato che, alla lunga, la rùfa evolveva
proprio in una crosta che si palesava prevalentemente sul collo e dietro le
orecchie, ma solo perché lì diventava più visibile.
La
rufa inmastciava poi i
colletti di fanèle e camicie, anche perché di solito chi aveva la rufa non si
cambiava molto spesso. L’inamidamento degli abiti in questo modo originò anche il detto:
“El ga su la roba che la sta in pìe da
sola”.
Fattostà che avere la rufa era proprio brutto ed era meglio evitarla anche a costo di subire quei fastidiosi bruschetaminti settimanali. La rufa aveva poi un suo odore particolare, direi quasi personalizzato, una specie di miscela fra l'odor da cagnòn amalgamato con quello di sudore, tabacco e vino cattivo che di solito si accompagnavano nel soggetto portatore.
Allora c’erano odori e sapori che facevano parte della nostra vita senza problemi e che ora si stentano anche a ricordare. Mi capita a volte di risentirli nei miei viaggi nei paesi più poveri; e sì, devo ammettere che mi inducono una qualche nostalgia. L’odore pungente e salmastro delle stalle, quello estasiante del fieno maturo, del muschio d’inverno, lo stantìo della muffa, il romatico, il dolciastro del sangue o della carne frolla, e quello indescrivibile del calidine o dela late péna monta. E poi tanti altri che sono ormai irriproducibili.
Anche
molti sapori sono sati cancellati dal progresso. Erano per lo più legati al
fatto che non c’erano conservanti per gli alimenti, né frigoriferi e perciò questi
spesso i nava vanti. El ranxo dei
salumi e del burro, i bai del formaggio,
il vino che pontava, la frutta che fermentava, la carne che frollava oltre il lecito, ecc.
Noto
che molti di coloro che non hanno vissuto quel tramonto di civiltà, vivono nel
mito dei buoni sapori di una volta, credendo che la modernità abbia ucciso la
naturalezza e il gusto originale dei cibi. La naturalezza forse si, ma
i sapori e i colori sono decisamente più stabili e appetibili di allora, e
penso anche più salutari. Merito della catena del freddo e di conservanti e
additivi che li preservano.
Questi hanno certamente portato altri inconvenienti, ma viviamo comunque meglio e
più a lungo, quindi il bilancio dovrebbe essere comunque positivo.
Un giorno di tanti anni fa, un vecchio sanpieroto mi confidò che il primo formajo bon lo aveva mangiato solo dopo che iniziò l'attività il casèlo, che lo produceva in maniera professionale. Prima, le casàte che si facevano alla buona in casa, pare lasciassero parecchio a desiderare.
(... gnanca da mètare).
Un giorno di tanti anni fa, un vecchio sanpieroto mi confidò che il primo formajo bon lo aveva mangiato solo dopo che iniziò l'attività il casèlo, che lo produceva in maniera professionale. Prima, le casàte che si facevano alla buona in casa, pare lasciassero parecchio a desiderare.
(... gnanca da mètare).
Gianni Spagnolo
17/04/2008
17/04/2008
Queste note meritano un libro...Bravo come sempre,grazie per queste testimonianze olfattive,grazie per avermi portato ancora una volta a ricordare la mia infanzia serena e spensierata.Ti leggo sempre molto volentieri.
RispondiEliminaSpero che Gianni tenga in archivio quanto scrive su bronsescoverte:i suoi articoli sono documenti del nostro vissuto a S.Piero.Il piu'recente mi ha portato in dietro nel tempo al rituale del bagno nel"mastelo"in cucina.Alla fine del"lavaggio"io ero pulita ma Irene che abitava di fronte a casa mia dopo il bagno era profumata!!!!A casa sua si usava la saponetta Palmolive mia madre si poteva permettere il sapone giallo multiuso.Ciao a tutti....
RispondiEliminaAnca el saon dalo el saea da bon!
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