Noi siamo chi incontriamo, noi siamo
tutte le persone che incontriamo; ognuno lascia un segno, chi un
tratto gentile e chi un taglio profondo, ma tutti rimangono lì,
indelebili, perché si può cancellare una faccia dalla memoria, si
può dimenticare un nome, si può cancellare il tempo passato
assieme, si può addirittura cancellare il ricordo, ma non è
possibile cancellare se stessi né quello che si è divenuti grazie a
tutte le persone che abbiamo incontrato nella nostra vita.
C’è un “vecchio” romanzo scritto
da Alberto Manzi (il noto conduttore-educatore della trasmissione TV
“Non è mai troppo tardi” di qualche decennio fa) dal titolo: “E
venne il sabato” dal quale sono tratte le righe che seguono e che
ne rappresentano il punto fondamentale:
“ ogni altro sono io:
*la persona che
è condannata ingiustamente sono io;
*la persona che deve lavorare come una
bestia e pure subire le angherie, non tanto del padrone quanto dei
suoi sgherri, sono io;
*la persona che non capisce che la
stanno imbottendo di stupidità, che la stanno rendendo stupida
attraverso le televisioni sono io;
*la persona che perde il controllo della
propria dignità seguendo le tifoserie sono io;
*la persona che ha dei lavori saltuari,
ognuno dei quali è vissuto con lo spasimo di un lavoro da tenere in
qualsiasi modo, sono io;
*ogni altro sono io.
E’ questa partecipazione alla vita
degli altri che permette di assumersi le ingiustizie, le violenze e
di non lasciarle come se fossero eccezioni trascurabili; non è
permesso dire che l’altro non ci riguarda. E’ questa grande
partecipazione al riscatto che fa nascere la rivoluzione non
violenta, non violenta perché le violenze che l’altro subisce le
voglio subire anch’io, quindi voglio che la non violenza sia il mio
stile di vita, ma non standomene lontano bensì condividendo la
violenza che l’altro subisce e andandola anche a cercare”.
E’ un compendio che può essere
applicato ad ogni realtà, piccola o grande, vicina o lontana,
offrendo un messaggio universale; quando “ogni altro sono io”
ecco che dovevamo andare avanti tutti assieme. E se prima ciascuno
attendeva paziente che qualcuno venisse a dirgli quel che doveva
fare, ora ognuno sapeva: bisognava fare cercando di capire, fare
pensando agli altri, senza paura, sereni.
Il prof.Manzi è andato a “farlo”
in America Latina, in mezzo ai più deboli.
Ada
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