Ero piccola, quattro anni
ancora da compiere, ma mi ricordo tutto come fosse adesso, il natale, la gioia che solo una bambina di allora poteva provare. Il cielo era
nuvoloso e con mio fratello più grande di me eravamo andati a
trovare un’anziana zia che abitava in una casetta vicino la caserma
di S. Bortolo. Ricordo i militari che entravano e uscivano dalla
porta carraia forse per una libera uscita natalizia, la zia felice di
vederci e ricevere il nostro buon natale. Verso le undici mio
fratello si allontanò verso i campi, dalla caserma guardando verso
nord era tutta una bellissima distesa di prati e campi, volevo
rincorrerlo, ma sapevo che la mamma mi aveva raccomandato di non
sporcarmi, specialmente il nuovo paltò verde e le scarpette nuove,
belle, con un nastrino rosso e la punta blu chiuse da una cinghietta
di cuoio. Andai verso il gabinetto della casa, un cubo di mattoni
rossi, chiuso da una portina in legno, appena entrai in questo
ambiente sentii subito dei fischi e subito dopo un gran calore,
mancava l’aria e respiravo male, non feci in tempo ad uscire che un
grande scoppio fece crollare tutto il “cesso” sopra di me, non
vedevo niente e il lavandino sopra di me mi salvò dai mattoni e
calcinacci. Sentivo le voci e mani che scavavano, urli e pianti “la pìcola, nooo la pìcola” mi tirarono fuori e le prime parole che
dissi furono: “la scarpéta no gò pì na scarpéta”. Mia madre mi
disse che un medico condotto mi prestò le prime cure, ma non mi ero
fatta praticamente niente; devota alla Madonna di Monte Berico la mamma
andò dai frati per far benedire quella scarpetta. Mio fratello restò
ancora nei fossi per quasi tutto il giorno e raccontò di aver visto
un aereo schiantarsi dietro la stazione ferroviaria e subito dopo
apparire sul cielo sopra il santuario un grande paracadute,
probabilmente il pilota si era lanciato. Per quasi tutto il
pomeriggio sirene e tanta gente in visita nella zona del
bombardamento e anche il “cesso” o quello che ne restava, fu
visitato parecchio.
Natale 1943 settanta anni fa, zia Rosetta.
Piero Lorenzi
La guerra distrugge tutto anche una piccola scarpetta tanto desiderata e che non faceva male a nessuno.Floriana
RispondiEliminaStoria commovente e vera, il non sporcarsi era un ordine e mi immagino la bimba e le sue scarpette, La paura di averne persa una... ora non c'è più nulla di tutto questo... i bambini hanno troppo e non sanno il valore delle cose. Dicono "altri tempi" sì ....ma bisognerebbe tornare agli antichi valori, in tanti campi... Lucia
RispondiEliminaLe scarpe hanno sempre avuto un'importanza particolare per l'uomo : nel passato, distinguevano le differenti classi ; era una marca geràrchica. Poi c'è la scarpa nelle favole. Quella di Cenerentola è la prova che un paio di scarpe può cambiarti la vita.
RispondiEliminaPoi ci sono le scarpette di questa bambina che si è salvata, ma anche quelle dei bambini morti nei forni crematori, nella poesia qui sotto :
"C’è un paio di scarpette rosse
numero ventiquattro
quasi nuove:
sulla suola interna si vede ancora la marca di fabbrica
“Schulze Monaco”.
C’è un paio di scarpette rosse
in cima a un mucchio di scarpette infantili
a Buckenwald
erano di un bambino di tre anni e mezzo
chi sa di che colore erano gli occhi
bruciati nei forni
ma il suo pianto lo possiamo immaginare
si sa come piangono i bambini
anche i suoi piedini li possiamo immaginare
scarpa numero ventiquattro
per l’ eternità
perché i piedini dei bambini morti non crescono.
C’è un paio di scarpette rosse
a Buckenwald
quasi nuove
perché i piedini dei bambini morti
non consumano le suole.
Joyce Lussu(Gioconda Salvadori)
Ogni scarpa una camminata, ogni camminata una diversa concezione del mondo. ...diceva M.Apicella (Nanni Moretti) Si potrebbe anche dire : Ogni scarpa, una camminata, una vita diversa.
Grazie Piero per questa bella storia.