venerdì 9 febbraio 2024

Giovanni Allevi


Eccolo qui, dalla prima all’ultima parola, lo straordinario monologo di Giovanni Allevi sul palco dell’Ariston. Per ogni malato, ogni persona che soffre, ogni volta che ci perdiamo in sciocchezze o in enormi problemi di nessuna importanza. Merita di essere letto tutto, fino in fondo, perché resti, perché non ce ne dimentichiamo, perché non se lo porti via una serata di festival.

"All'improvviso mi è crollato tutto. Non suono più il pianoforte davanti ad un pubblico da quasi due anni. Nel mio ultimo concerto, alla Konzerthaus di Vienna, il dolore alla schiena era talmente forte che sull'applauso finale non riuscivo ad alzarmi dallo sgabello. E non sapevo ancora di essere malato. Poi è arrivata la diagnosi, pesantissima. Ho guardato il soffitto con la sensazione di avere la febbre a 39 per un anno consecutivo. Ho perso molto, il mio lavoro, ho perso i miei capelli, le mie certezze, ma non la speranza e la voglia di immaginare. Era come se la malattia mi porgesse, assieme al dolore, degli inaspettati doni. Quali? Vi faccio un esempio.

Non molto tempo fa, prima che accadesse tutto questo, durante un concerto in un teatro pieno, ho notato una poltrona vuota. Come una poltrona vuota?! Mi sono sentito mancare! Eppure, quando ero agli inizi, per molto tempo ho fatto concerti davanti ad un pubblico di quindici, venti persone ed ero felicissimo! Oggi, dopo la malattia, non so cosa darei per suonare davanti a quindici persone. I numeri non contano! Sembra paradossale detto da qui. Perché ogni individuo, ognuno di noi, ognuno di voi, è unico, irripetibile e a suo modo infinito.

Un altro dono! La gratitudine nei confronti della bellezza del Creato. Non si contano le albe e i tramonti che ho ammirato da quelle stanze d'ospedale. Un altro dono.

La riconoscenza per il talento dei medici, degli infermieri, di tutto il personale ospedaliero. Per la ricerca scientifica, senza la quale non sarei qui a parlarvi. La riconoscenza per l'affetto, la forza, l'esempio che ricevo dagli altri pazienti, i guerrieri, così li chiamo. E lo sono anche i loro familiari, e lo sono anche i genitori dei piccoli guerrieri.

Quando tutto crolla e resta in piedi solo l'essenziale, il giudizio che riceviamo dall'esterno non conta più. Io sono quel che sono, noi siamo quel che siamo. E come intuisce Kant alla fine della Critica della Ragion Pratica, il cielo stellato può continuare a volteggiare nelle sue orbite perfette, io posso essere immerso in una condizione di continuo mutamento, eppure sento che in me c'è qualcosa che permane! Ed è ragionevole pensare che permarrà in eterno. Io sono quel che sono.

Voglio andare fino in fondo con questo pensiero. Se le cose stanno davvero così, cosa mai sarà un giudizio dall'esterno? Voglio accettare il nuovo Giovanni. Come dissi in quell'ultimo concerto a Vienna, non potendo più contare sul mio corpo, suonerò con tutta l'anima. Il brano si intitola Tomorrow, perché domani, per tutti noi, ci sia sempre ad attenderci un giorno più bello!"


Giovanni Allevi, monologo a Sanremo 2024





John Travolta ridicolizzato con il ballo del qua qua;

Vestiti stravaganti al limite del ridicolo; 
Pettinature eccentriche; 

Poche canzoni degne di apprezzamento;
 
Uno spettacolo mediocre e superficiale adatto a spettatori abituati ad ingollare ogni cosa senza mai lamentarsi... e poi arriva Giovanni Allevi

Una nota così perfetta in mezzo a tante stonature che per un attimo guardo davvero la televisione e ascolto.
 
Pochi minuti di umanità.

Di fragilità. 

Di bellezza. 

E un messaggio essenziale: siamo vivi e siamo unici!

Bisogna riappropriarci dello stupore.

Meravigliarci per le piccole cose, che sono anche le più importanti. 

Fregarcene dei giudizi.

Amare chi soffre e forse anche la sofferenza stessa perché può essere un dono.

Intuire il dolore degli altri.

Condividerlo.

Toccarlo.

E mentre lo guardo sedersi al piano con le mani incerte, mi commuovo.

L’emozione sale su, dallo stomaco fino agli occhi, e diventa lacrime.

Sono triste e felice insieme perché mi sento migliore.

Poi “Tomorrow” finisce, Allevi si alza, saluta, esce di scena e quella profondità deliziosa scompare e lo spettacolo si conclude.

Riprende invece il festival. 

Le immagini, le voci e gli sketch tornano all’orizzonte dell’udito, dei pensieri, dell’attenzione.

Nel cuore rimangono impiantati quei pochi minuti come un chiodo nel legno.

Dicono che l’umanità quella vera, arriva sempre a segno e che forse per fare spettacolo non servono scale, scarpe con il tacco, luci, ospiti milionari.

Basta la verità.

Devo dirti grazie Giovanni, perché sei uno strumento meraviglioso.

Sei la tua musica, ed è perfetta.

(dal web)

2 commenti:

  1. L'infinito è sorprendente

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  2. Sarebbe meglio non farlo eliminarlo e una vergogna sono passati i bei tempi adesso e diventata una moda dell vestito e delle stravaganze stanno mangiando fuori tutto quello che anno fatto i nostri vecchi una VERGOGNA mi fanno pena quelli che GUARDANO tanti soldi buttati via e soldi dei CONTRIBUENTI ma loro MAGNA MAGNA e noi polli PAGA PAGA

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