Chi è nato prima della metà degli anni ’60 dello scorso secolo e millennio, ricorda certamente il gioco che imperversò nell’estate del 1971: le micidiali palline Clic-Clac.
Appellativo onomatopeico per un divertimento formato da due palline del diametro di quattro centimetri, legate ad a un paio di cordicelle che facevano capo ad un anello di plastica, studiato apposta per essere tenuto fra pollice ed indice. Il geniale gioco consisteva nel far sbattere fra loro le due solide palline in rapidissima successione. Queste rimbalzavano velocemente l’una sull’altra, generando, appunto, un rapido e sonoro clic clac.
Rumore a parte, il problema stava nel fatto che era quasi impossibile che nel vortice del movimento non ci finisse il polso o il dorso della mano o, peggio, qualche dito (ma non erano escluse pallinate sulla cervice) del maldestro giocatore, con immaginabili dolori.
In sé l’esercizio era anche faticoso, posto che le braccia si indolenzivano subito.
Dopo l’euforia iniziale, complice la monotonia del gioco e le nefaste conseguenze per le articolazioni, le due palline unite dalle corde finivano immancabilmente in qualche cassetto di casa. Accompagnate dagli improperi dei familiari che certificavano l’ennesimo inutile sperpero della paghetta.
Questa fu tra le prime "mode sociali" che il progresso insinuava negli svaghi tradizionali di noi bociasse, in una valle marginale e ferita dall'emigrazione. Analogamente e contemporaneamente alle figurine Panini dei grissini Robertino, ai tatuaggi ad acqua, alle péche in baléta e a tante altre innovazioni che avrebbero cambiato per sempre il nostro mondo.
Quelli si che erano bei tempi ci divertivamo con poco adesso i giovani non sanno né arte né parte non so come andremo a finire comincio avere paura non è tutta colpa dei genitori la maggior parte e la loro non voglia di imparare
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