domenica 18 febbraio 2024

Adele Marangoni: una vita spesa per il prossimo

 




Giorni fa, rovistando tra i tanti fogli con poesie, appunti e documenti vari che ho accumulato negli anni, mi è venuta tra le mani una pagina con la dicitura “TESTIMONIANZA”. Leggendo vi ho trovato le notizie della vita di Adele Marangoni, che aveva fatto della sua esistenza un dono per gli altri. Ritengo giusto farne conoscere il contenuto perché si tratta di una storia speciale, fatta di dolore, rinunce, sacrifici, abnegazione, ma anche piena di tante piccole cose che nel suo cammino terreno, hanno fatto la differenza e sono state per lei uno stile di vita. Riporto integralmente la sua testimonianza.

--- Mi è stato  chiesto di scrivere qualcosa della mia vita come testimonianza. Sono nata a Villaverla verso la fine della grande guerra, lontana dal mio paese di Pedescala, profughi. La mia famiglia era composta da: il papà (in guerra, la mamma, una sorella di cinque anni, un fratello di tre, la nonna e due zie. Il 14 ottobre del 1918 morì la mamma, il 26 dello stesso mese ci lasciò anche il papà, tutti e due all’età di 29 anni. Ritornati in paese, distrutto dalla guerra, il nonno paterno ci prese con sé in una baracca. In famiglia c’era anche una zia inferma, dopo cinque anni morì a soli 25 anni. La nonna, dopo tanti dolori, non aveva voglia di insegnarmi tante cose e mi diceva: Ruba con gli occhi, guarda come fanno gli altri.

A dieci anni, dopo la scuola, andavo in una famiglia che aveva due gemelle e lì dormivo, questo per diversi mesi. La mia infanzia è stata triste. Vicino a casa mia c’era una mia amica, della mia stessa età. Ricordo che un giorno le ho detto: Battistina, ci facciamo da mamma noi due; a 24 anni anche lei morì in convento. Più avanti andò in convento anche mia sorella, mio fratello che era stato in Grecia per la guerra, tornato a casa, dopo poco si sposò; era il mese di dicembre. Intanto maturava in me il desiderio di andare in canonica, non avendo mai pensato di sposarmi e neanche di andare in convento. Il mese di settembre dell’anno successivo, la casa è stata allietata dalla nascita di un nipotino. La gioia però durò poco perché poco meno di un mese dopo, morì mia cognata a soli 26 anni, dopo due giorni di malattia. In tutto questo ho visto la volontà di Dio. Non mi restava che dedicarmi al bambino e ai nonni ormai anziani e rifare quello che loro avevano fatto per noi. Ora torniamo al mio avvenire. Una domenica incontrai la Pina che tornava da San Pietro Valdastico e mi disse di aver saputo dal suo parroco che a Padova si trovava una casa S. Angela e spiegò perché di questa casa. Il parroco pensava di formare nella sua parrocchia un gruppo di queste figlie. Elsa e Pina di Valdastico, Adele di Pedescala e Bianca di Lastebasse: così è stato. Il giorno 4 febbraio 1942 siamo state ammesse per la prima volta. Ho capito subito che nella regola avrei trovato quello che desideravo nelle mie condizioni di vita, in mezzo al mondo. La vestizione è stata fatta l’8 settembre 1945, la professione il 12 ottobre 1946. La nostra vita continuò normalmente, andavamo una volta al mese a San Pietro all’adunanza tenuta dal parroco e una volta all’anno agli esercizi a Padova. Nell’eccidio di Pedescala morì anche mio fratello, sposato la seconda volta da soli otto giorni. Questo è stato il periodo più duro. Sentivo però che il Signore mi era vicino, vicino, quando al mattino avevo fatto la comunione, non avevo più paura di niente, nelle difficoltà invocavo lo Spirito Santo e avevo la forza di andare avanti. Dopo la morte dei nonni comincio a lavorare in asilo. Era il 7 aprile 1953 e vi rimasi per ventiquattro anni (l’asilo era parrocchiale, dopo cinque anni passò sotto il comune). Nel tempo libero mi dedicavo alla pulizia della chiesa, cura dei fiori, il catechismo ai ragazzi e altre iniziative parrocchiali. Ho lavorato con tre parroci, posso dire di tutti tanto bene: ho imparato da loro tante cose. Il 21 settembre 1997, giorno di San Matteo, ero a passeggio con i bambini, il postino mi consegnò una lettera, veniva da Padova, in quel momento non ho potuto aprirla, era mio dovere guardare i bambini. Più tardi, quando l’aprii vidi che era scritta dall’assistente, mi chiedeva di venire a Padova, perché la Compagnia aveva bisogno. Dico la verità, ho sentito che mi domandava una cosa che mi costava molto. Avrei detto subito di no. Mi venne in mente San Matteo che, chiamato da Gesù, lasciò subito il suo posto per seguirlo. Ho pensato che anch’io ho scelto “Lui” e così ho telefonato subito “vengo”. Pensando bene mi sono detta: alla famiglia ho dato, alla parrocchia pure, il resto del tempo che il Signore mi darà, sarà per la Compagnia. Il 7 novembre 1977 ho lasciato tutto e sono arrivata a Casa S. Angela. Sono qui da più di quindici anni, ho trovato tante buone consorelle, vorrei dire, sorelle sante, un campo di lavoro grande. Quello che posso lo faccio volentieri e quello che più mi aiuta è l’avere il Signore in casa. La mia sofferenza in questo momento è vedere che la nostra amata casa ha sempre più bisogno di aiuto perché le forze diminuiscono con il passare degli anni. Prego S. Angela affinché altre figlie abbiano il coraggio di unire le loro forze alle nostre, per la gloria di Dio e il bene delle anime.---

Adele Marangoni

Anno 1992


Adele è stata una persona importante per la parrocchia di Pedescala, è stata una brava maestra d’asilo, sempre disponibile con le famiglie; ha insegnato catechismo a tanti bambini e ragazzi, si è curata della chiesa e di ogni iniziativa parrocchiale. A volte, nell’insegnare il catechismo, è stata dura e rigida e credo che tutto questo sia dovuto alla sua vita difficile, ma anche all’educazione del tempo, che richiedeva, senza problemi, qualche “castigo”, quando non si rispondeva correttamente alle domande che ci venivano poste. Se pensiamo ai maestri delle scuole elementari, che giravano tra i banchi con la bacchetta dietro la schiena, possiamo capire com’era rigido l’insegnamento alla metà del secolo scorso. Era lei che la domenica, in chiesa, stava nei banchi davanti pieni di bambini e ragazzi e si curava che fossero composti e attenti alla celebrazione. È stata lei che mi ha preso all’asilo prima del tempo, perché la mia mamma era in ospedale; è stata lei che, dopo la Prima Comunione, mi ha dato un po' d’acqua per facilitare la deglutizione; è stata lei che, una volta a Padova, per ogni 13 dicembre festa di S. Lucia, mi inviava un biglietto con il suo augurio e i saluti per la mia famiglia.  Per tutti è sempre stata la “Signorina Adele” e quando veniva ad aprire la porta dell’asilo, noi bimbi la salutavamo così:  BUONGIORNO, CRISTO REGNI!  E lei ci rispondeva: SEMPRE! Quindi, nonostante qualche ricordo di fermezza e severità, per me Adele è stata una persona ammirevole e piena di zelo verso Dio e  la scelta che aveva fatto. Ricordo che i paesani, quando partì per Casa S. Angela, non furono contenti perché dicevano che c’era bisogno di lei in parrocchia, perché senza di lei sarebbe andato tutto a rotoli, ma poi quando ogni tanto tornava per una visita, vedendola serena e contenta, tutti la salutavano volentieri e le auguravano ogni bene. 

Una donna e la sua storia, come tante costellata di problemi, difficoltà e dolori, eppure Adele ha saputo farsi forza e percorrere una strada non senza difficoltà, rivolta sempre verso il dono all’altro, ma soprattutto una donna piena di fede che ha cercato di trasmettere nel cammino della sua vita.

Lucia Marangoni (Dàmari)

Pedescala 9/2/2024

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