[Gianni Spagnolo © 22G3]
A la ciapo de largo...
Dell’attività di attribuire un nome alle cose si trova traccia nei testi più antichi; già nel libro della Genesi il Dio creatore, creando le cose, sente il bisogno di denominarle. Così passò il primo e il secondo giorno, ma giunto al sesto e creato l’Uomo, Dio pensò bene di delegare a questa sua nuova creatura il potere di denominare le cose, come segno di signoria su di esse.
Così i nomi sono intrinsecamente legati agli oggetti che designano. L’attività del denominare è arbitraria, ma una volta attribuiti i nomi, questi costituiscono una convenzione sociale che va rispettata. Alla fine, anche il nostro nome proprio, pur non avendo avuto noi voce in capitolo sulla sua scelta, ci accompagna per tutta la vita e talvolta ci condiziona.
Nel nostro sistema di conoscenze ogni nome esprime un determinato concetto, in quanto quella parola richiama nella nostra mente sia un insieme di oggetti che ad essa appartengono, sia un insieme di proprietà che accomunano quegli oggetti e un insieme di relazioni in cui essi si uniscono. Quando però un oggetto viene meno, cessa, sparisce, anche il suo nome cessa di evocarci qualcosa. Pensiamo soltanto alla miriade di oggetti che facevano parte della vita dei nostri Vecchi e adesso non ci sono più, così come i loro nomi, magari relegati in qualche nostalgico cassetto della memoria o nei dizionari vernacolari.
Oggi, con le regole urbanistiche ed edilizie più pedanti, neanche l’acqua piovana può più scorrere in libertà, essendo costretta in canali e percorsi obbligati già prima di toccar terra. I canali di gronda la convogliano infatti in percorsi stabiliti, per condurla infine a mischiarsi alle acque nere, quasi fosse un elemento fastidioso con cui non contaminarsi. La gorna e le stelaresse sono due nomi che si elidono a vicenda: dove c’è la gorna sono impedite le stelaresse e viceversa. La gorna è un oggetto semplice e antico, ma il suo uso sui tetti è decisamente moderno. Le stelaresse invece ci sono sempre state, perché sono un effetto più che un oggetto, ma il progresso sta facendo di tutto per eliminarle. Il risultato è che noi sappiamo cos’è la gorna, ma abbiamo ormai perso il concetto di stelaresse. Per i nostri antenati la gorna era invece un lusso e perdipiù inutile, mentre le stelaresse erano un fatto naturale e acclarato. Le stelaresse stesse costituivano un limite rispettato della proprietà abitativa: soto ale stelaresse a xe mio! Non so se questo concetto sia fatto proprio dalla legislazione vigente, ma non credo. Sul fatto che un tempo lo fosse, non ci piove!
Le stelaresse erano il confine naturale ed evidente della casa, delimitavano il suo ambito preciso in quanto deciso dall’alto, dal cielo. Il loro scrosciare più o meno impetuoso aveva quel non so che di perentorio e indiscutibile, che ribadiva il concetto. Inoltre segnavano quel limite anche sul terreno, con quella striscia verdastra variamente bucherellata e ricoperta di muschi, sul lato al posterno, oppure segnata in un bianco più chiaro sulla giara per i lati più esposti. Unico elemento disturbatore di questa regola era il fatto che i cupi caminava, specialmente quelli degli sporti. Per cui le case con meno manutenzione potevano spostare inavvertitamente il limite delle stelaresse oltre il lecito tollerato dagli uomini. C’è tuttavia da dire che, per i nostri antenati, anche i coppi erano una conquista abbastanza recente, prima si usavano le scandole di larice o la paglia, che erano decisamente meno sbrindoli dei coppi. L’uno e l’altro materiale poi, non canalizzando l’acqua piovana, davano origine a stelaresse meno concentrate e più diffuse, rendendone l’effetto a terra meno critico.
Parlar de stelaresse co sto séco a no xe mia tanto so mare, a disarì valtri..., ma a mi me xe vegnésto in mente le stelaresse e lora a go scrito de stelaresse. Tarè che magari co lesarì ste righe a sarà piovésto a séce roverse!
Comunque sempre un piacere leggere i tuoi scritti.
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