[Gianni Spagnolo © 22F14]
I bociasse, se sa, i ga senpre voja de moti... o de moche.
Moti e moche non sono del tutto sinonimi, anche se intendono entrambi le attività ludiche di boce e bocéte. I moti sono più tipici dei boce, significando in genere iperattivismo, mentre le moche lo son più dei bocéte e identificano divertimenti o tenpelamìnti sciocchini. Sono quei passatempi scherzosi, talvolta anche pericolosi, che si facevano per perder l’oca o perché difettava un po’ di senno, o semplicemente perché beati. Far le moche significa anche coccolare.
Sarà per questo che un avvertimento ricorrente stiàni era: “ténto che le mòche a no le vae in còche”, ossia: fai attenzione affinché i tuoi divertimenti non finiscano involontariamente a fare dei danni o del male. Si tratta senz’altro di una delle tante frasi onomatopeiche che si alimentavano di rime sconclusionate, di chissà quale origine.
Mòkken si ha nel cimbro nel significato di divertimenti di bambini, che troviamo anche nell’equivalente vicentino mòche. Forse deriva dal verbo màchan: fare, brigare. Coche invece è più incerto; vuol dire anche galline/chiocce nella nostra parlata - che qui c'entrerebbero però nulla - , ma potrebbe fungere anche solo da rima baciata. Coche si contrappone quindi a moche assumendo pertanto un significato opposto. Se moche è divertimento, coche deve voler dire patimento, dolore, danno, o qualcosa di simile.
La società d’un tempo mal tollerava qualsiasi azione che non fosse rivolta all’utilità, a dare un beneficio. Dissipare energie inutilmente era dunque considerato disdicevole. Particolarmente per le generazioni allevate con fanciullezza cortissima e precocissimo avviamento al lavoro, fare qualcosa per puro divertimento e senza costrutto era spesso oggetto di riprovazione, anche se fatto da bambini. Par gnénte a no paràva la coa gnanca el can!
Non tutti, ma allora c’erano molti vecchi che avevano al’ocio i bambini, che non tolleravano i loro giochi e la loro spensieratezza e che non perdevano occasione di reagire in modo pedante, brusco e talvolta anche violento. Credo che in questa reazione molto influisse la loro fanciullezza, di fatto negata. Gente che dovette passare in fretta dalla spensieratezza del bambino al farsi carico di un lavoro, per quanto marginale e precario. Erano tempi, quelli, in cui la necessità curava ruvidamente molti disturbi psicologici e debolezze comportamentali che oggi allarmano molti genitori. Il caro prezzo era spesso l'anaffettività, avendo ogni cosa il suo lato oscuro. Per contro oggi siamo alle prese con generazioni allevate a mòche prolungate, talvolta sotto ansiose campane di vetro.
La nostra generazione è forse la prima della storia ad essere stata allevata (in parte, solo in parte) a mòche e quindi anche questa nostra attuale società è la prima società un po' in stile mòche & còche. Chissà!
- Tenpi grami fa òmeni duri;
- Òmeni duri fa tenpi boni;
- Tenpi boni fa òmeni mòli;
- Òmeni mòli fa tenpi grami.
Un piccolo complemento sull’origine di mòche:
RispondiEliminanel suo dizionario cimbro-italiano Umberto Martello Martalar dice: de khindar machent mòkken - i bambini si divertono a giocare. In tedesco “Mucken machen” significa passare il tempo giocando. Nel linguaggio volgare tedesco “die Mucken” significa anche i capricci. Però la radice di questa parola sembra più vasta: il dizionario etimologico inglese dice:
mock: metà del XV secolo, mokken, "prendere in giro", anche "ingannare, illudere, rendere ridicolo; trattare con disprezzo, trattare in modo derisorio o sprezzante"; dal francese antico mocquer "deridere, schernire", parola di origine sconosciuta. Forse dal latino volgare *muccare "soffiare il naso" (come gesto derisorio), dal latino muco; o forse dal medio olandese mocken "borbottare" o dal medio basso tedesco mucken "brontolare". Forse, in ultima analisi, si tratta di un'imitazione di questo tipo di linguaggio.
Grazie Enrico per il dotto approfondimento. Peccato non poter più contate anche sul contributo dell’esimio Sponcio, che in fatto di mòche probabilmentemente se ne intendeva parecchio.
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