(di Laura Messina)
Un boccone alla volta, dicevo giorni fa.
Ebbene, mi sono accorta che vale anche per il dolore del mondo.
Perché stamattina mi sono svegliata, ho aperto i quotidiani e per ore non sono stata capace di fare niente. Sono rimasta lì a immaginare cosa significasse essere nata in un altro punto del mondo, e non per merito, ma solo per caso. Quella madre con i due figli, rimasti sull'asfalto. Ho dato l'acqua alle piante, ho abbracciato i miei due piccolini. Cos'altro posso fare, mi sono domandata fino al pomeriggio, come un automa.
Serve conservare energie per abitare il mondo, per continuare ad amarlo - cosa che, ne resto convinta, sia l'unico modo per fare sì che le persone spontaneamente cerchino di difenderlo.
Ho un bisogno disperato di puntelli. E il Giappone, che da sempre mi calma e mi contiene nel sentimento, mi ricorda che: taru wo shiru... ovvero «conosci la misura». È un detto, un invito a circoscrivere l’esistenza per espanderla di senso, veicola soprattutto l’imperativo a desiderare quel che è sufficiente. Il verbo tariru indica «il minimo necessario», «il farsi bastare le cose» e si fa portavoce di un aspetto che tocca la sfera emotiva come anche quella pratica e quotidiana.
Cosa c'entra? C'entra!
Perché informarsi è fondamentale e attivarsi dove possibile anche, ma non ubriacarsi di dolore. Finisce per immobilizzare.
Allora da domani radio e non TV, notizie di sera che - se serve piangere - il dolore almeno lo scioglie il sonno. Mai più di mattina, però, perché il mio sorriso è l'attacco del giorno per tutta la famiglia. Il mio compito è far innamorare i miei figli del mondo, che imparino a rispettare ogni esistenza, dall'uomo alla formica.
Voglio continuare anche a essere in qualche maniera ambasciatrice della meraviglia che ho intorno. Questo paese che amo tanto.
Per farlo ho bisogno di forza.
E il motivo è un altro ancora. Voglio continuare a soffrire per le ingiustizie, mantenere la capacità di scandalizzarmi. Non voglio assuefarmi a questo dolore.
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