【Gianni Spagnolo © 21I21】
Sssh, .. ca scolte el comunicato!
Era questa una esclamazione di mio padre quand’ero bambino, che c’intimava di non far rumore perché doveva ascoltare il giornale radio. Lo ascoltava da un ingombrante aradio in legno con delle grosse e consunte manopole che permettevano di sintonizzarsi laboriosamente sulla frequenza giusta, passando però prima per una serie di graoni indistinti che parevano provenire dall’aldilà.
Beh, non è che anche alla frequenza giusta la ricezione fosse poi impeccabile, dato che dipendeva da un filetto di antenna che doveva trovare la giusta posizione. Pareva che l’appendice d’antenna più efficace fosse la rete metallica del letto. Altrimenti potevo servire anch’io allo scopo, spostando el fileto de chive e de live par ciapar mejo. Ancamassa, ciò!
El comunicato. Quella parola mi è sempre suonata strana, perché il giornale radio si chiamava giornale radio, radiogiornale pai pì petenéla, ma comunicato no, quello lo chiamava soltanto mio padre. Anche quando la tecnologia passò dalle valvole ai transistor e comparve n’aradio svizzera molto più compatta e moderna, addirittura con bordature in plastica rossa. Cuéla, ciò, a la partiva suito, a no biognava mia che la se scaldasse, come na fornela, vanti tacar parlare.
Io detestavo il comunicato, un po’ perché dovevo far sito e poi perché non capivo n’acca di quello che dicevano e m'infastidivano tutti quei graonaminti. Perciò il comunicato mi era antipatico, anche se poi ho seguito le peche di mio padre per arrivare infine al sostanziale rigetto della comunicazione ufficiale.
Mio padre era un emigrante, che viveva la gran parte dell’anno all’estero e le notizie del radiogiornale gli consentivano periodicamente di aggiornarsi un po’ sulla situazione italiana, specie in occasione delle votazioni politiche. Ecco perché il comunicato diventava per lui un legame con la vita nazionale. La radio allora non era per niente interattiva, non c’erano ancora le telefonate in studio e perciò la comunicazione era necessariamente unidirezionale. All’atto pratico si trattava proprio di un comunicato, anche se eravamo da tempo in democrazia. Prima della guerra si chiamava invece così, proprio perché serviva da mezzo di propaganda del regime e l’interattività non era preclusa dalla tecnologia, ma scientemente evitata. Ecco dunque che questa parola imperativa: “comunicato” era rimasta nel lessico di chi aveva vissuto quegli anni a connotare un mezzo d’informazione che si stava comunque rapidamente evolvendo.
Ciao Gianni, il "comunicato" era una parola usata in quei tempi da tutti i nostri nonni e genitori. Anche nella mia famiglia, tutti lo chiamavano così. Quindi non solo tuo padre
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