- Co bèco cuélo chel me ga jto béco, a lo insaco de pache!
- Par na bóte voda i se ga dà bòte da orbi.
- A no pòsso mia nar do intel pósso, parvia chel xe massa pien de acua.
- Mi a no tóco mia cuel tòco de formajo live; antevidi mia chel ga i verme?
- El vèrda la sporta ca a ghe tro rento na vérda.
A differenza dei precisini cugini francesi, che li usano a bocù, noi cisalpini non seminiamo troppi accenti sul campo scritto; giusto quelli obbligatori imparati a scuola, .. e anca anca!
Confidiamo poi nella pratica della lingua per pronunciare le parole con il giusto tono e non far capire roma par toma. Per chi non è parlante nativo o scrive, può capitare tuttavia qualche fraintendimento se non si usano gli accenti, e quelli giusti. Sarà che a scuola non spiegano più la differenza fra l'accento acuto e quello grave, nonché la funzione dell'apostrofo (elisione), dato che imperversano scritti che sostituiscono l'uno con l'altro anche ad opera di persone istruite. Complice forse la tastiera del telefonino o del computer, dove l'apostrofo si aggiunge velocemente mentre per l'accento bisogna scegliere quello giusto dalla tendina che appare tenendo premuta la lettera. Ed è proprio qui che casca l'asino. A parte il fastidio dell'operazione, qual è quello giusto? Talvolta soccorre il T9, ma anche lì non è detto che sappiamo quale confermare.
Perché, perchè o perche'? Perchéèe' cosi tante complicazioni quando basta scrivere "?", o mettere la faccina dubbiosa? Più, piú o piu'? Quando basta digitare "+"?
Atroce dilemma, ma non per tutti, visto che del famoso "cappello" sul quale insisteva tanto la Maestra, il nasino che guarda all'insù e quello che guarda all'ingiù, non sembra esserci più consapevolezza. L'apostrofo non è più la lacrima lasciata dalla parte della parola che scompare (un po' > un poco), perché non c'è (ci è) neanche più poesia nell'insegnamento.
Peccato che la pigrizia, alla lunga, uccida una lingua.
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