domenica 10 novembre 2019

Poichè le guerre cominciano nelle menti degli uomini, è nelle menti degli uomini che si devono costruire le difese della Pace



(Amministrazione Comunale)
 
Sfilavamo precisi nei grembiulini... femmine davanti e maschi dietro, coi nostri fiocchi inamidati il 4 novembre.
Sfilavamo davanti a tutti con la banda e il corteo, che dopo la commemorazione per i morti della guerra nel parco delle rimembranze, passava appunto per tutto il paese.
Era così allora, si ricordava il 4 novembre e la fine della guerra, della prima guerra che tante vittime aveva causato.
A nonna era andata bene, nonno era tornato, ma lei si mise in capo una pezzola che non si tolse più per il voto che aveva fatto di non scoprirsi mai in futuro i capelli se lui avesse fatto ritorno.
Ma quanti non fecero ritorno!
Nel nostro paese tanti quanto gli alberi in quel parco, che in quel giorno si animava e sembrava che quelle povere anime rivivessero davvero, perché oltre che addobbare gli alberi con fiori e crisantemi e candele, c'era chi metteva sotto le frasche il quadro del povero soldato che quasi sempre aveva mandato la foto alla famiglia magari poco prima di venire ucciso.
Fratelli, mariti, figli in quelle immagini sbiadite, e statiche... esseri in uniformi coi baffi intorchiati come si usava allora.
La messa veniva celebrata fuori nel parco che, esattamente come succedeva per il cimitero due giorni prima, era al contrario che morto, vivo come non mai e pulsante di energia, che io percepivo come qualcosa di struggente che fermavo sui visi dei restanti familiari o delle vedove che ancora spremevano lacrime per quel ricordo.
La banda intonava le canzoni classiche per ricordare e non dimenticare, che noi completavamo in coro, seguendo musica e maestro… si cantava… ce lo avevano insegnato… durante quel primo mese di scuola, ci avevano addestrato a quel giorno del ricordo e anche se non c'eravamo stati noi presenti all'epoca, sapevamo ogni cosa che quella "Grande guerra " aveva rappresentato e sapevamo soprattutto dai racconti che ci facevano i grandi, cosa avesse significato per ogni famiglia, e ancor di più per quelle famiglie che ci avevano perso i cari.
Noi si abitava la casa di una di quelle vedove, che rimasta sola, aveva poi venduto a babbo, la trovavamo lì, io e nonna, quella donnina, ogni anno al suo albero, perché ognuno aveva la sua pianta precisa, e io pensavo sempre che era quell'uomo lì, quello morto giovane in quella guerra, che la nostra casa aveva costruita, anzi se l'era costruita per sé, e non se l'era mai goduta.
Ancora oggi dentro queste mura sento benevola la sua presenza, vedo le sue iniziali in ferro, sulla grata della porta d'entrata e quella scala bellissima che sale fino in cima, quei pavimenti penso chissà quanto li avrà desiderati e me li godo io... lui non ha potuto… come allora bimba, ricordo tutto con precisione, e ad ognuno va un pensiero, perché anche se non sembra, se pare che a noi non ci tocchi, il passato ci condiziona il presente... succede sempre, quindi rispetto e ricordo vanno a braccetto anche in un'epoca che va così veloce che quasi ci fa restare indietro, che ci fa dimenticare che veniamo da un passato al quale invece dovremmo esser grati e ricordare.

Quattro novembre di Dana Carmignani 

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