Il 24 marzo 1939 una grande catastrofe colpisce 28 famiglie di emigranti italiani e 2 francesi. Siamo sui Pirenei, nel cantone francese dell’Ariège, nella vallata tra i paesi di Vicdessos e Auzat, al confine con il piccolo stato d’Andorra. Qui la società elettrica francese fece costruire una grande diga, la diga dell’Izourt a quota 1.645 metri, per sbarrare il percorso all’impetuoso Rau d’Artiès, la cui sorgente sgorga a 2.419 proprio sotto il Pic de Tristagne che misura 2.878 m.slm.
LA DIGA
La maestosa diga dà origine ad un lago artificiale che contiene 7,25 milioni di metri cubi d’acqua. Poco più sotto a 1.176 metri di altezza le acque, incanalate a monte in grandi tubature che in vari tratti corrono in gallerie scavate nella montagna, entrano forzatamente nella grande centrale idroelettrica di Pradières, che fornisce energia elettrica a tutta la provincia dell’Ariège fino alla città di Tolosa.
I LAVORI
Agli operai francesi ed italiani il compito di costruire la diga, la grande centrale idroelettrica, la lunga rete di tubazioni che in molti tratti corre in apposite gallerie scavate nella roccia. Le tubazioni riforniscono d’acqua le centrali idroelettriche di Pradières, Auzat e Tarascon. I lavori durarono all’incirca 3 anni, tra il 1938 ed il 1940. I cantieri di lavoro rappresentavano una fonte economica e di sussistenza per molte famiglie. Nei cinque cantieri di costruiti tra quota 1.600 m. slm dell’invaso d’Izourt e gli 800 m. slm di Auzat, lavoravano 349 operai: di questi 180 erano francesi, 107 italiani, 39 spagnoli, 18 di Andorra, 2 polacchi, uno svizzero ed uno slavo. Erano gli anni dell’emigrazione e per diverse famiglie italiane far fare la valigia agli uomini significava guadagno e sussistenza.
IL PRELUDIO ALLA TRAGEDIA
Il 23 marzo 1939, ad alta quota nevicava già da un paio di giorni, i lavori di costruzione della diga furono sospesi perché una tempesta di neve si abbatté sulla zona costringendo gli operai a rifugiarsi nelle baracche costruite poco distanti dalla diga. Per tutta la giornata la tormenta di neve non lasciò scampo agli operai che dovettero rimanere rifugiati nelle baracche; non si poteva scendere a valle. Per tutta la notte la bufera di neve e vento si abbatté con violenza sulla zona.
Il mattino seguente l’altezza della neve era di oltre 2 metri, le porte della baracche non si potevano nemmeno aprire, gli operai erano imprigionati al loro interno.
A valle, nella piccola borgata di Pradières, costituita in gran parte da baracche costruite in pietra dove erano ospitati gli operai intenti alla costruzione della centrale idroelettrica, venne lanciato l’allarme alle autorità di Auzat e Vicdessos.
LA SLAVINA SOMMERGE ALCUNE BARACCHE
Alle 6 del mattino del 24 marzo 1939 la bufera si intensificò, le raffiche di vento erano violente. Poco più tardi una slavina si staccò dalle propaggini della montagna e si abbatté sulle baracche degli operai, travolgendone alcune. Le baracche A, B e C furono sommerse da oltre 10 metri di neve, la baracca F fu colpita su di un fianco. Per gli operai che in esse erano rifugiati non vi fu scampo.
I SOCCORSI
I primi soccorsi furono portati dagli operai appartenenti alle altre baracche risparmiate dalla catastrofe. Con la neve fin sotto alle ascelle e con un vento fortissimo si buttarono letteralmente allaricerca dei compagni sommersi. Alcuni furono ritrovati, e scamparono alla morte. Intanto dal fondovalle i primi soccorsi stavano arrivando, ma non era facile raggiungere le baracche della diga, c’era troppa neve ed il vento non cessava ancora. Verso mezzogiorno la forza della bufera cessò.
Nel pomeriggio del 24 marzo una trentina di soccorritori arrivarono in vetta ed iniziarono con ogni mezzo a disposizione a scavare nella neve per cercare di ritrovare gli operai sommersi dalla slavina. Si scavò per tutta la notte. All’alba del 25 arrivarono in vetta i rinforzi costituiti anche da un intero reggimento degli Alpini francesi. A Pradières si costituì un piccolo ospedaletto con personale medico ed infermieristico arrivato a quota 1200 metri. Più in alto, vicino alla diga, in una baracca risparmiata dalla slavina si costruì un posto avanzato di infermeria.
LE VITTIME
Le prime vittime iniziarono ad essere trovate già nella mattinata del 24 marzo, in breve tempo i morti salirono a 20. Cinque persone estratte da sotto la neve ancora vive, ma in gravissime condizioni di salute, furono trasportate all’ospedaletto di Pradières. Poi altri morti uscirono da sotto la neve. Furono trovati ancora distesi nei letti delle baracche, dove la morte li aveva colpiti.
Le vittime della catastrofe furono 28 italiani e 2 francesi; provenivano dai comuni di S. Biagio di Callalta, Vigo di Cadore, Santa Giustina, Quero, Trecesimo, Aviano, Sedico, Cassacco, San Pietro
Monterosso,
PEDEMONTE (VI), VALDASTICO (VI), TONEZZA (VI).
Da Valdastico ricordiamo i fratelli Pietro e Umberto Sartori (Vichi), da Tonezza Umberto Canale, da Pedemonte Francesco Sartori 1905 - Luigi Carotta 1910 - Pio Longhi 1903 - Guido Longhi 1908.
Monterosso,
PEDEMONTE (VI), VALDASTICO (VI), TONEZZA (VI).
Da Valdastico ricordiamo i fratelli Pietro e Umberto Sartori (Vichi), da Tonezza Umberto Canale, da Pedemonte Francesco Sartori 1905 - Luigi Carotta 1910 - Pio Longhi 1903 - Guido Longhi 1908.
Tutte le vittime furono sepolte nel cimitero di Vicdessos, dopo una solenne cerimonia funebre celebrata alla presenza delle autorità locali. Poi il silenzio…dettato soprattutto dal terribile periodo della seconda guerra mondiale.
Solamente dal 2002 grazie all'interessamento dell'Alliance Franco-Italienne e dell'Associazione "Ricordate" di Vicdessos ed Auzat verrà dato degno riconoscimento agli operai morti sul lavoro nell'immane tragedia dell'Izourt e successivamente ogni anno saranno commemorati anche con l'arrivo di varie delegazioni italiane dai Paesi d'origine degli operai.
3-4 anni fa anche una Delegazione del Comune di Valdastico partecipò alla commemorazione (vedere fotto sotto)
Quest'anno alla cerimonia di ricordo il 13 ottobre era presente anche Giuliana Bonato dai Lucca. (i f.lli Sartori erano gli zii di suo marito) Mi raccontava proprio ieri che la tragedia avvenne nel '39 e a suo marito, nato l'anno successivo, fu posto il nome di Pietro-Umberto.
È importante pure ricordare i numerosi valligiani quarantenni morti per silicosi, acquisita negli anni ’30, quando lavoravano alla perforazione di tunnel stradali in Piemonte. A Casotto, per esempio, negli anni ’50, gli orfani di padre morto per tale causa costituivano la maggioranza della mia generazione. Giovanni, Vigile, Paolo, Augusto ed altri, quasi tutti di cognome facevano Sartori, morirono lasciando giovani vedove con 3, 4, 5 figli ciascuna. Dev’esser stato terribile, dopo esser sopravvissuti alla guerra in Russia o nei Balcani, ed aver sopportato tante tribolazioni, vedersi morire per asfissia, lasciando i propri bambini soli!
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