[Gianni Spagnolo © 25A15]
Capita
che anche il significato delle parole cambi col tempo, così come cambiamo noi,
invecchiando e mutando sembianze. Parole che perdono l’accezione iniziale acquisendone
altre, oppure abbandonate perché non più adatte a rendere il concetto. Talvolta
perché troppo ancorate a mondi che si vogliono dimenticare, o che hanno sensi
che urtano la sensibilità moderna.
Prendiamo
p.e. la parola: cesso, che rende un concetto semplice e d’immediata
comprensione, ma che è stata rimossa dalla parlata corrente perché ritenuta troppo
volgare.
In verità, cesso avrebbe un’etimologia antica e nobile. Viene dal latino recedere/recessum, che significa allontanarsi, appartarsi, ritirarsi in un luogo discosto; al pari del corrispondente tedesco Abort. Appunto come accadeva nella perduta civiltà rurale, dove il cesso era piazzato discosto dalle abitazioni, relegato in prossimità di orti e letamai. Luogo in disparte, dunque, in cui espletare quelle imprescindibili funzioni corporali che caratterizzano ancora la nostra natura umana. Un termine simile, ma più sfumato era: ritirata, anch’esso passato presto di moda.
Oggi, cesso è una voce troppo cruda per
chiamare il servizio igienico, proprio perché forse associato a quelle
realtà sorpassate. Anche gabinetto, che è il lemma che lo aveva sostituito è ormai
superato. Gabinetto però s’è rivalutato ad indicare consessi politici,... non so
se nobilitandosi o meno. Oggi si usa il più neutro termine di servizi o di
bagno, che evoca pulizia e ordine e quindi diventa più accettabile,
così come l'acronimo anglofono WC. Ancor più chic è virare sull’estero e usare toilette,
che dà un tocco fransé da elegante persona di modo. Vero è che nel frattempo anche quel
locale s’è evoluto e modificato, per cui possiamo dire che il nome ne ha
seguito un po’ l’evoluzione. In questi ambienti moderni si possono infatti fare molte più cose e con più comfort che non nel vecchio cesso.
Cesso -> ritirata -> gabinetto -> servizi -> viccì -> bagno -> tualèt...
Ai nostri tempi belli era ancora in uso un termine dialettale più diretto e volgare: cagaóro. Ora immagino che nessuno si sognerebbe mai di entrare in un bar locale, ordinare frettolosamente un caffè e chiedere dov’è il cagaòro. Magari provateci e riferitemi!
Il
punto è che le cose non cambiano poi granché, a cambiare è il significato che
noi diamo al loro nome, per cui alla fine le trasformazioni lessicali si
susseguono senza tuttavia intaccarne il significato. Alla fine, si tratta d'un
vezzo della nostra ipocrisia: cambiare il nome alle cose per mascherarne la
sostanza.
Ne
è un esempio palese l’evoluzione del termine: deficiente. Anch'esso di progenie latina a
identificare una mancanza e poi maliziosamente traslato alle persone e rapidamente modificatosi: deficiente -> invalido -> disabile -> handicappato -> portatore di handicap -> diversamente abile -> persona
con disabilità xyz, ecc. Ne hanno beneficiato anche le professioni meno qualificate: dallo spazzino -> stradino -> netturbino -> operatore ecologico, fino ad arrivare all'operatore carcerario dall'originale secondino.
Come si vede il problema non è la parola in sé, quanto la malizia che si mette nell'uso che se ne fa. Malizia tipica dell'uomo, non certo del lessico o della natura delle cose.
Ben detto: ipocrisia
RispondiEliminaRecentemente scoprii che un mio cuginetto lontano è un ingegnere agricolo; ho cercato di capire meglio cosa facesse: beh, fa il contadino con un titolo nobilitato.
Anni fa, un turista tedesco, che fece un viaggio in treno verso l’Italia, mi raccontò. Al Brennero dovette cambiar treno e dopo un po’ durante il viaggio, contento di essere nel bel paese, gli venne una necessità urgente. Uscì dallo scompartimento per cercare il “Lokus” o “WC” o “Toilette”. Dopo un po’ disperato di non trovarlo vide una porta con la scritta “ritirata”. Sorpreso pensò, che ingegnosi questi italiani, inventano una parola che descrive esattamente il rumore che poi si fa la dentro!