lunedì 13 gennaio 2025

Càssie e controcassie

[Gianni Spagnolo © 25A6]

Ognuno ha i suoi gusti sui più svariati argomenti: cose che piacciono di più e altre meno, in una personale e soggettiva classifica, che copre un po’ tutti gli ambiti delle nostre esperienze. Io, ad esempio, amo i grandi alberi in genere, ma con gradazioni differenti, che vedono all’apice, per restare alle nostre latitudini, i larici, ma in buona posizione anche faggi, abeti bianchi e betulle.  

Oltre all’estetica delle piante, conta per me anche il loro habitat, ovvero l’aspetto dei boschi che formano, le loro caratteristiche vegetative e le suggestioni che evocano.  Mi piacciono i larici perché formano boschi belli e ariosi, ma stanno bene anche da soli, monumentali. Danno un bel legno vigoroso e cambiano tonalità con le stagioni; inoltre portano anche la barba, dello stesso mio colore, per cui me li sento un po’ affini.

Belli anche i faggi, endemici dalle nostre parti, sia isolati che a ceppaia; anche se sono alberi decisamente egocentrici, che lasciano poco spazio ad altre specie, ma ottimi da ceduo. Insieme all’abete bianco erano i signori delle nostre montagne, prima che la Grande Guerra le devastasse. Poi è arrivato il Sapiens a introdurre la monocultura dell’abete rosso, che ha colonizzato tutti i nostri altopiani, con gli esiti che vediamo. Così l'anonimo pesso, che peraltro non sarebbe neanche male di suo, diventa sgradevole e invadente nei boschi piantati dall’uomo.

La pianta locale che in assoluto pongo in fondo alla mia personale lista di gradimento è l'acacia o robinia.  Si tratta della Robinia Preudoacacia, chiamata da noi rubìna o càssia, importata dai Monti Appalachi Nordamericani nel Settecento e diventata velocemente invasiva anche dalle nostre parti. Una leguminosa pioniera, adattabile e frugale, che alligna facilmente sui terreni degradati, dove si propaga con andamento infestante, colonizzando specialmente le aree abbandonate delle quote collinari e pedemontane. Ha un'alta velocità di crescita, soprattutto se ceduata e contribuisce al consolidamento dei terreni instabili. I polloni che fuoriescono dalla ceppaia o dal suo esteso apparato radicale, crescono con gran rapidità, riuscendo perciò a competere vittoriosamente con le specie autoctone. La conseguenza è la formazione di boschi intricati e caotici, caratterizzati da una ridotta varietà di specie arboree.

Non così se l’acacia è usata singolarmente e a scopi ornamentali, dove allora può dare il meglio di sé, dato il suo portamento ombrellifero e i fiori edibili e dall’attitudine mellifera. Sarà così vero il detto che: è l’ambiente a fare la gente!

Il problema, come già si diceva, è quando la robinia colonizza i terreni abbandonati, invadendoli con la sua caotica vegetazione, com’è purtroppo successo in gran parte delle vanède della nostra Valle. Sì, perché la robinia, almeno secondo i miei personali canoni, è una pianta brutta! È brutta da giovane, con i suoi pericolosi ricacci spinosi; è brutta da adulta con i suoi tronchi rugosi percorsi dalle pelose serpentine delle edere e offre supporto all’intricato proliferare delle clematidi e dei rovi; è brutta da vecchia, quando le edere l’hanno avviluppata in un abbraccio caotico e mortale e comincia a perdere i pezzi. Brutta lei e brutti anche i suoi amici vegetali, coi quali va sempre a braccetto.

Russe, visùni ed edere: questo è l’ambiente che accompagna da noi la presenza della robinia e condiziona il paesaggio dei terrazzamenti abbandonati dalle coltivazioni. Almeno fino ai circa 600 metri d’altitudine, perché fortunatamente oltre non va. Però è proprio in questa fascia che si sviluppano questi boschi brutti, intricati e quasi impenetrabili dove la cassia è l’incontrastata padrona. Questa evoluzione caratterizzerà progressivamente un po’ tutto il nostro territorio, estendendosi anche nella fascia pedemontana, man mano che la cura dell'uomo cederà il passo. Non ama i terreni argillosi, che però nella Val d’Astico non sono tanto di casa. Anche per chi non ha particolare dimestichezza con la botanica, la cassia è immediatamente individuabile a colpo d'occhio: è quella pianta avvolta in una coperta di edere, con i rami spogli d'inverno, che vi fuoriescono protendendosi al cielo quasi a chiedere aiuto per liberarsi da quell'invadente e vigoroso abbraccio. Forse si capisce che anche l'edera non è messa bene nella mia graduatoria botanica; infatti mi è stata sempre antipatica per la sua natura opportunista e i suoi tronchi pelosi.

Non è consolante che la cassia abbia vita relativamente breve, come succede a tutte le specie pioniere e che quindi dovrà verosimilmente lasciare spazio, in futuro,  ad altre essenze, chissà quali. La Natura, in ogni caso, sa il fatto suo. Questo avverrà però in un lasso di tempo che non includerà la nostra generazione. Generazione che ha avuto modo di vedere il territorio della nostra Valle, un tempo strappato alla montagna e coltivato con immane fatica, preda ora di una vegetazione che avrebbe fatto inorridire i nostri avi e sta rendendo sostanzialmente impraticabili i pendii della valle.  

 

 

2 commenti:

  1. Fiori della robinia edibili sì, finché non si confondono con quelli del maggiociondolo (molto velenosi)

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