lunedì 21 gennaio 2019

Sepolte lingue e funebri usanze.





Gianni Spagnolo © 190121  A/VI°
Ne abbiamo già trattato, ma quando capita d'imbattersi nel libro originale della Bayerische Staatsbibliothek, scritto dal suo antico conservatore e che parla della nostra terra, merita di ritornarci sopra. L'opera in questione è quella del Prof. J.A. Schmeller, un filologo tedesco il cui profilo è reso in calce al post.
Nell'autunno del 1833 lo studioso bavarese affronta il suo primo viaggio alla scoperta delle isole linguistiche teutoniche del Tirolo Meridionale e del Veneto. Si fa accompagnare e raccomandare via via da personalità locali (prevalentemente parroci) che lo possano introdurre alla scoperta delle particolarità di quelle genti. Dopo aver visitato le località alloglotte dell'Alta Valsugana, egli sale sugli altopiani di Lavarone e Folgaria per poi discendere nella Valle dell'Astico diretto all'agognata meta dei 7 Comuni. Del suo fugace passaggio nella Lacrimarum, lo Schmeller ci lascia qualche striminzita ma interessante annotazione: andiamo con ordine!
Dunque, dicevamo che il ricercatore proviene dalle zone di Lavarone e Folgaria, dove, contrariamente alle sue attese, ha trovato solo flebili tracce della parlata cimbra. Infatti a quel tempo essa era affatto soppiantata dall’italica da un paio di generazioni, eccetto che in Oltre Sommo, dove resisteva ancora in forma agonica con lo slambrot. Curiosamente allora non venne indirizzato a Luserna, dove certamente avrebbe trovato maggiore soddisfazione. Si sorprende dunque nel constatare che alle Case Nuove di San Marco (Lastebasse), costruite cinquant’anni prima dalla Serenissima per ospitare i Lastarolli sfollati dalla montagna, come pure scemando fin giù al Maso Scalzeri, perdurasse ancora in Valle l’uso del cimbro. Alla confluenza della Val Grossa cala però il sipario sull’antica lingua, perché da Casotto in poi si parla solo italiano. (lo Schmeller lo chiama italiano, ma si tratta evidentemente del nostro dialetto veneto). Lo accompagna in quel tratto di valle don Matteo Dal Pozzo, curato di Casotto. Il prete è nativo di Castelletto, quindi ciauscante e in grado d'accompagnare ed introdurre l'illustre ospite presso i familiari di Agostino Dal Pozzo per approfondirne l'opera.  Gli era stato infatti presentato allo scopo da don Eccheli, l'arciprete di Brancafora. 
Quel lunedì del 30 settembre 1833 i due fanno dunque tappa a San Pietro di Val d'Astico, allora frazione del comune Rotzo, dove verosimilmente incontrano il vecchio parroco don Matteo Dal Pra', pur egli nativo di Castelletto. Lo Schmeller annota sinteticamente che: "San Pietro fa parte dei 7 Comuni ma è una comunità ove non si parlava più tedesco da lungo tempo". 
Ecco, questa è la più recente testimonianza diretta che conosco circa la lingua parlata nel nostro paese a quella data. 
Ci racconta poi l'autore che durante la salita a Castelletto per i ripidi scùrtoli del Monte, s'accompagnassero anche ad Antonio Slaviero, capocomune di Rotzo che rientrava a casa da San Pietro. Annota che i due compesani conversassero amabilmente fra di loro talvolta in cimbro e talvolta in italiano, ma lamenta di non essere riuscito a cogliere il ciauscaménto fra i due a causa del loro eloquio troppo serrato. Fin quando però il gruppo non raggiunge la Hute e ammira la notte incipiente dal margine dell'Altopiano irradiato dalla luna piena. È qui che lo Slaviero pronuncia il noto commento: Bia hübbesch leüchtet der mâno! (che bella che splende la luna). All'udirlo lo studioso riconosce il suono delle perdute lingue germaniche, beandosi nel sentire in queste nostre lande espressioni ferme al nono secolo.

Il fatto che i due discorressero tra loro alternando indifferentemente i due idiomi attesta che la commistione linguistica era invalsa all'epoca. Riguardo a San Pietro, dal commento lasciatoci dallo studioso s’intuisce come la parlata avesse seguito un'evoluzione comune a quelle di tutta la fascia sud-orientale dei 7 Comuni, dove la lingua cimbra aveva già ceduto il passo alla veneta, pur essendovi stata praticata in precedenza in vario grado. Nel caso nostro, per “lungo tempo" possiamo ragionevolmente intendere la memoria d'uomo, ovvero un lasso di circa tre generazioni. 
Nel 1833, a parte alcune contrade più marginali del nostro areale, nei 7 Comuni solo a Rotzo, Roana, Asiago e Foza (ma non a Gallio) si utilizzava ancora l’antica favella nell’uso quotidiano. Il glottologo verificherà più avanti che in queste località il cimbro è parlato principalmente dalle donne e dai bambini nell’ambiente domestico, mentre tutti gli uomini sanno parlare veneto e spesso lo fanno volentieri per snobismo a scapito della lingua madre. Per questa ragione infatti, quand'era ospite dai Pruner, egli preferiva riferirsi alle donne di casa, piuttosto che agli uomini, per ascoltare una parlata genuina.

Fra Castelletto e Rotzo il linguista si trattiene infatti per il resto della settimana e raccoglie quante più informazioni gli è possibile, preso dalla frenesia della scoperta e dalle opportunità che gli si presentano. Visita innanzitutto i Pruner, parenti di Agostino Dal Pozzo (morto 35 anni prima), i quali gli offrono generosamente ospitalità e gli mettono a disposizione l'archivio del benemerito familiare. Lo aiutano nell'impresa di cernita e interpretazione dei documenti i più istruiti giovani di casa e l'arciprete di Rotzo, don Cristiano Bonomo. Il parroco è nativo della contra’ Bosco di Asiago, pratico del cimbro, curioso del suo interesse e assai ben disposto ad assistere lo studioso bavarese e ad introdurlo negli ambiti di ricerca che persegue, raccomandandolo anche nel prosieguo della sua visita alla volta di Asiago. Lo Schmeller non avrà poi altrettanta fortuna nel capoluogo, dove invece sarà snobbato dal locale arciprete.

La testimonianza più originale e folcloristica che il linguista ci ha lasciato è però la cronaca di un funerale ad Albaredo (Aspach), la frazione più elevata ed orientale del comune. È proprio al seguito del parroco che lo Schmeller capita infatti su dagli Aspar, dove assiste  fortuitamente alle espressioni tradizionali del cordoglio per la prematura morte di Domenico Marangoni, un calzolaio del luogo. Questi era rimasto l'unico sostegno della sua famiglia dopo la morte del fratello soldato ed è pertanto comprensibile il dolore e lo sconforto dei parenti per la perdita.  Il professore è tuttavia autenticamente sorpreso nell’udire le strazianti lamentazioni funebri in cimbro da parte dei familiari del defunto, sia in casa che poi in chiesa e infine al cimitero. Inizialmente assiste alla scena sbirciando da una finestra, dove scorge la salma del pover'uomo vegliata animatamente dai vecchi genitori, dalle sorelle e dai parenti drappeggiati in bianchi veli. Risalta originalmente il colore bianco dunque, come nell'antichità classica e in Oriente, ma pure nell'Europa alto-medievale, prima che il nero s'imponesse nella cristianità come colore del lutto. Le lamentatrici compiangono a gran voce il defunto, tessendone le lodi e intonando nenie nell'antica lingua che inducono lo Schmeller perfino alla commozione. 
Fa certo specie di trovare delle sorte di prefiche a Rotzo dunque, come nel nostro Meridione e nelle civiltà mediterranee; cantate già da Omero e onorate dagli Egizi. Un vulnus nel rigore emozionale teutonico che farebbe inorridire i cultori del pangermanesimo.

Il parroco liquida sbrigativamente queste pratiche come residui barbari e paganeggianti e cerca di distogliere lo straniero, probabilmente vergognandosi del persistere di queste tradizioni arcaiche nella sua parrocchia.


Tratto da Wikipedia:

Johann Andreas Schmeller (Tirschenreuth, 6 agosto 1785 – Monaco di Baviera, 27 settembre 1852) è stato un linguista tedesco, redattore, dal 1827 al 1837, del Dizionario bavarese (Bayerisches Wörterbuch) in quattro volumi. A lui si deve anche l'introduzione del termine Carmina Burana in occasione della prima pubblicazione del manoscritto. Docente all'Università di Monaco, dal 1829 è anche conservatore bibliotecario e custode dell'allora biblioteca di Corte, oggi Biblioteca di Stato, dove cataloga in particolare manoscritti medievali, scritti in antico tedesco, tra i quali il Codice con il testo della famosissima opera di Orff, e sviluppa un particolare sistema di catalogazione dei manoscritti ancora oggi in uso[1]. Affianca all'attività di catalogazione quella di studio dei testi dell'antico tedesco, e dal 1833 al 1844 compie alcuni viaggi nelle isole linguistiche cimbre dei Sette Comuni nel Vicentino e dei Tredici Comuni nel Veronese, dove riconosce la stretta parentela tra il dialetto cimbro e il bavarese parlato fino al 1500, attività che pubblicò nell'opera 'Über die sogenannten Cimbern der VII und XIII Communen auf den Venedischen Alpen und ihre Sprache' ("Sui cosiddetti cimbri dei Sette e dei Tredici comuni delle Alpi Venete e la loro lingua") del 1838.





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