giovedì 17 gennaio 2019

Fantameteoterrorismo




Gianni Spagnolo © 190117  A/VI°
La discussione oziosa intorno al meteo era un tempo prerogativa nazionale dei britannici. Da noi, almeno fin ch'è resistita una certa cultura rurale, bastava la sapienza proverbiale per intuire che aria tirasse nelle alte sfere. Oggi invece imperversano frasi del tipo: 

  • "Hanno detto che domani arriverà Lucifero!"

Certo, per una società ormai secolarizzata che ha derubricato il Demonio a folclore, la paura è relativa, ma una qualche  impressione la fa ancora.
Le previsioni del tempo sono diventate una specie di spettacolo multimediale. Le televisioni ce le presentano a ritmo serrato, sono nati addirittura canali dedicati 24h7; per tacere dei siti privati commerciali, alla spietata caccia di click, con quanto ne consegue. 
Così assistiamo alla prevaricazione del sensazionalismo, all’enfatizzazione di ogni evento. Si fanno passare delle piogge intense come fossero uragani, si tratta il freddo stagionale come se abitassimo ad Oymyakon e così via. Si danno i nomi alle nostre perturbazioni come per i cicloni: ai Tropici sì li battezzano, ma è per distinguerli quando ne insiste più di uno in una data area, cosa che da noi non capita mai. 
Quindi eccoci alle prese con Attila, piuttosto che con Circe, Caronte, Cerbero, Lucifero, ecc. in un crescendo di truculenza mitologica. Poi: gelo siberiano, sciabolata artica, caldo sahariano, schiaffo africano, bomba d’acqua e via enumerando, per segnalare ricorrenti e tutt'altro che inconsueti eventi meteorologici. Scomodiamo perfino il russo con il bùrian, che fa figo, dimenticando che da noi la buriàna c’è da sempre, ma questo agli improvvisati esperti probabilmente sfugge. 
Quando non c’è niente alle viste e l'astro brilla, si richiama la temperatura che fa sulla Marmolada o in Marcesina per figurare che qui da noi scaldiamo il ghiaccio col pentolino per farci il bidè.
Basta un dito (in orizzontale) di neve per bloccare scuole e servizi pubblici, per scatenare apprensioni degne di miglior causa, per lanciare allarmi opportunistici da parte delle istituzioni. Si declinano le previsioni meteo aggettivandole, pur sapendo che la qualificazione del tempo è fondamentalmente sciocca perché non ha un’accezione universale. Il “bello” di chi brama la neve per sciare, non è la stessa opinione di chi invece deve spostarsi per lavoro. Parimenti il “brutto” riferito alla pioggia ha per l’agricoltore con i campi arsi un significato diverso da chi programma di partire per le ferie.
Basterebbe infatti chiamare i fenomeni con il loro nome in lingua italiana e senza inutili aggettivazioni e fronzoli, come: nubifragio, temporale, fortunale, favonio, spruzzata di neve, gelata, galaverna, nebbia, foschia, ecc., che di termini ne abbiamo a iosa e di specifici per ogni occasione; parlare di dati, non di sensazioni e senza fare facce affettatamente gioconde o costernate, che tanto poi uno si fa comunque una propria idea.
Le statistiche sui risultati delle previsioni meteo indicano che la loro probabilità di successo è aumentata nel corso dei decenni insieme alla potenza dei calcolatori e alla qualità del monitoraggio atmosferico, e oggi ha raggiunto il 90% circa nei primi tre giorni, per poi decadere progressivamente  entro la settimana. Molto dipende poi dalla morfologia di un territorio, che in Italia è decisamente ben più vario e articolato che non in Austria o in Polonia. In ogni caso non mi pare una previsione molto più accurata di quella che sapeva già fare mio nonno guardando semplicemente verso il Cornetto o il Crojere.
Tanto, che faccia caldo o freddo, che piovi o schiocchi il sole, mai come in questa epoca la cosa ci tange davvero poco: salvo chi svolge lavori all’addiaccio, la maggior parte di noi può stare confortevolmente in casa, in viaggio o sul luogo di lavoro a prescindere dalle condizioni atmosferiche. Noi siamo sopravvissuti anche alle auto con interni in lamiera e sedili in sky e con la manovella al finestrino; alla mònega nel letto e ai candelòti sui vetri. Persino le nostre nonne più malmesse resistevano pur con le gocce per il cuore ghiacciate sul comodino o la dentiera da recuperare col bagno maria.
Anche le istituzioni hanno preso l’andazzo di gridare al lupo appena ne intravedono un pelo, tutelandosi così da recriminazioni e responsabilità. Quando poi l’emergenza arriva per davvero imprevista, si può sempre invocare il cambiamento climatico cinico e baro.
Non sappiamo più vivere senza avere il controllo e la programmazione di tutto. Imputiamo alle flatulenze del bestiame d'allevamento l’impatto sull’effetto serra, quando basta una microscorreggina della Terra per riportarci tutti al giusto senso di misura. Nel contempo si danno agevolazioni a pioggia per l’acquisto delle stufe a legna e pellet che sono fra i generatori di calore più inquinanti e inefficienti. 
Ho troppa personale esperienza di quella parte di mondo soffocata e devastata dall’inquinamento per sottovalutare l’impatto antropico sul clima e ritengo perciò indispensabile che l’uomo ripensi in fretta le sue modalità di sviluppo. Rimango tuttavia piuttosto scettico sul determinismo climatico imperante, anche se riconosco che possa servire da stimolo, magari un po' terroristico, ad un necessario cambiamento di mentalità ed abitudini. Ho già rilevato in questo Blog che solo - si fa per dire - diecimila anni fa l’Europa era una lastra di ghiaccio e il Sahara un giardino. Poi le cose sono cambiate a prescindere dall’uomo, ma la sua storia è andata avanti. Per una Venezia o un Bangladesh che andrà sott'acqua ci sarà sempre una Siberia o una Groenlandia che si scongela: potrà sembrare cinico, ma non sono affatto novità per il nostro pianeta. Peraltro non sono cose che capitano fra coppa e collo: c'è tempo e modo per adattarsi e reagire, come la Storia insegna. Trovo perciò un po' ingenuo pensare che basti diventare vegano o usare la bicicletta per evitare che questo accada.
All’uomo serve indiscutibilmente maggior sensibilità verso l’ambiente, ma anche un bel bagno d’umiltà. Egli è l'apice del creato, ma non lo governa. Per quello ci sono leggi che non ha scritto lui e che a malapena riesce a intravedere. Forse sarebbe sufficiente che le osservasse! Perché c’erano cose prima di lui e a prescindere da lui, che ci saranno anche dopo di lui e a prescindere dalla sua volontà. Cose che obbediscono ad una sapienza della quale è parte, ma che non determina e, soprattutto, non vuole riconoscere.  
Ecco, è sempre il controllo il problema. Chiamiamolo pure  come vogliamo: egocentrismo, individualismo, prepotenza, avidità .. e facciamocene una ragione.

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