L'angosciato silenzio del bosco parla di disperazione e
smarrimento, di incredulità e paura; le lacrime scendono calde smorzando
il singhiozzo in gola: nulla deve disturbare la palpabile sofferenza
della natura che mi circonda.
Ciò che vedo non è la foto di un
giornale, né un video di qualche secondo, ma chilometri e chilometri di
bosco che fino alla settimana scorsa era l'indiscusso protagonista tra
Asiago e Folgaria, passando per il Vezzena: paesaggio che riempiva l'anima di serenità; paesaggio che dava slancio e coraggio a certe amare
giornate.
Ed ora mi sento osservata da questo paesaggio
distrutto, da questa forza della natura che distrugge, stritola e
annienta se stessa: quella bellezza non carezzabile è ora distesa di
morte. Ove l'occhio si posa, lo percepisco chiaramente, è peso da
portare nel presente e nel futuro: è peso che deve parlare, che deve
scrivere.
E il bosco mi guarda, mi pone domande, mi chiede
consolazione, ed avverto e misuro tutta la mia piccolezza e fragilità di
essere umano: parte di questa natura e non sufficientemente cosciente
della sua importanza per la mia sussistenza.
Non trovo appigli
in questa distesa lunare di alberi fintamente addormentati: la ragione è
sopraffatta dall'emozione che investe ogni parte di me. Che differenza
c'è tra me e un albero? Perchè lui e non io giaccio distesa? Forse è
solo questione di tempo.
Le lacrime continuano a scendere. Non
posso non prendere consapevolezza che la morte di questo bosco è anche
la mia morte: legati estrinsecamente da scambi di ossigeno e di
abbracci, da passeggiate e parole scambiate guardando le rispettive
cortecce sbucciate dalla Vita e da quel vicendevole misurarsi i battiti del cuore senza timore di critiche o giudizi.
E la solitudine mi assale, mi spiazza!
Porsi
domande ora appare ai più una questione peregrina, anzi porre domande
ora e fare osservazioni sul mantenimento e cura del territorio fatta
negli anni passati, significa essere "polemici": lo dicono gli struzzi,
abituati a mettere la testa sotto la sabbia per non vedere la realtà.
Manco ora che è così drammatica. E allora "Avanti con le grandi opere"
ha detto il Presidente stolto democraticamente eletto, posando i piedi
sopra i danni provocati da ciò a cui nessuno osa dare un nome.
E
così le baggianate della politica dell'apparenza continuano, tra l'
istituzione di sms solidali e proclami sulla quantificazione dei danni.
Difficile
trovare il tempo per porsi delle domande, per riflettere; agire sull'emergenza sembra essere una costante del nostro Paese.
Non
trovo appigli in questa immensa distesa di persone fintamente
inconsapevoli che ogni impronta umana è responsabile di questa distesa
lunare di alberi fintamente addormentati.
L'angosciato silenzio del bosco ci induca a fermarci e a riflettere.
Irma Lovato Serena
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