Intontiti dalle immagini delle carcasse degli yacht spiaggiati a Rapallo, in tanti non si sono accorti che le Alpi italiane hanno subito una delle ferite più profonde della loro storia plurimillenaria
Guardateli quegli alberi, sdraiati uno sull’altro come i pezzi di una
partita a Shangai finita male, ammassati nei letti dei torrenti
esondati, ridotti a brandelli dalla furia dell’acqua e dei venti: sono
decine di migliaia, nelle valli dolomitiche del bellunese e della
Pusteria, in Alto Adige; in ampie zone del Friuli, dalla Carnia al
Gemonese; nelle trentine Val di Fiemme e Val di Fassa.
Secondo i tecnici del patrimonio boschivo di Asiago, i danni sono paragonabili a quelli causati dalla Grande Guerra.
Pensateli uno a uno, perché i pini, gli abeti e i larici, che sono l’ossatura del paesaggio d’alta quota, sono alberi fortissimi che impiegano diversi decenni, a volte secoli, per diventare come li vediamo.
Con i rami e le foglie proteggono il suolo, con le radici lo stabilizzano e ne limitano l’erosione, che tra le altre cose influisce sulle portata delle frane e delle alluvioni.
Creature meravigliose delle nostre meravigliose Alpi, gli alberi senza vita sono il simbolo di questa ecatombe.
Già colpite dall’isolamento , dallo spopolamento e dall’indifferen za
della politica, e ora in ginocchio per le frane, i blackout e i crolli
di ponti e strade, le valli alpine dovranno provare a rialzarsi. Sarà
una sfida senza precedenti.
Dal Governo nemmeno una parola per questo disastro silenzioso, del resto la montagna è considerata per lo più una meta turistica, buona per il grappino nella stagione dello sci o per postare la foto di un tramonto estivo.
E invece la montagna è una delle cose più preziose che abbiamo.
Dai pochi ghiacciai rimasti sgorga la vita, perché è da lì che viene l’acqua che beviamo o con cui irrighiamo i campi, così come l’ossigeno che respiriamo: ogni albero ne produce 30 litri al giorno, e per vivere ogni essere umano ne ha bisogno di almeno 200 ogni giorno.
“La provincia di Belluno come era fino a domenica non esiste più - ha detto il sindaco di Taibon Silvia Tormen - la Valle di San Lucano, gioiello Unesco, è distrutta, cancellata nelle sue caratteristiche ambientali e idrogeologiche” .
L'equilibrio degli ecosistemi di montagna serve alla sopravvivenza dell'uomo, non solo alla natura stessa.
E questa è l'ennesima occasione per capire che è un nostro dovere comprendere la natura, tutelarla, per limitare i danni che stiamo facendo e così garantirci (forse) un futuro.
Secondo i tecnici del patrimonio boschivo di Asiago, i danni sono paragonabili a quelli causati dalla Grande Guerra.
Pensateli uno a uno, perché i pini, gli abeti e i larici, che sono l’ossatura del paesaggio d’alta quota, sono alberi fortissimi che impiegano diversi decenni, a volte secoli, per diventare come li vediamo.
Con i rami e le foglie proteggono il suolo, con le radici lo stabilizzano e ne limitano l’erosione, che tra le altre cose influisce sulle portata delle frane e delle alluvioni.
Creature meravigliose delle nostre meravigliose Alpi, gli alberi senza vita sono il simbolo di questa ecatombe.
Già colpite dall’isolamento
Dal Governo nemmeno una parola per questo disastro silenzioso, del resto la montagna è considerata per lo più una meta turistica, buona per il grappino nella stagione dello sci o per postare la foto di un tramonto estivo.
E invece la montagna è una delle cose più preziose che abbiamo.
Dai pochi ghiacciai rimasti sgorga la vita, perché è da lì che viene l’acqua che beviamo o con cui irrighiamo i campi, così come l’ossigeno che respiriamo: ogni albero ne produce 30 litri al giorno, e per vivere ogni essere umano ne ha bisogno di almeno 200 ogni giorno.
“La provincia di Belluno come era fino a domenica non esiste più - ha detto il sindaco di Taibon Silvia Tormen - la Valle di San Lucano, gioiello Unesco, è distrutta, cancellata nelle sue caratteristiche
L'equilibrio degli ecosistemi di montagna serve alla sopravvivenza dell'uomo, non solo alla natura stessa.
E questa è l'ennesima occasione per capire che è un nostro dovere comprendere la natura, tutelarla, per limitare i danni che stiamo facendo e così garantirci (forse) un futuro.
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