Qualche giorno fa mi trovavo a Molveno, l'ameno paese trentino in riva all'omonimo lago. Avevo da poco completato la traversata del Gruppo del Brenta di rifugio in rifugio, ripercorrendo, a distanza di trent'anni, l'ardita Via delle Bocchette. Ero ospite al Pradel, il piccolo altopiano che sovrasta il lago quando, dati i postumi della lauta cena e il favore dell'incombente luna piena, con un paio di amici decidemmo di andare al Rifugio Croz dell'Altissimo in notturna per farci una birra. In assetto leggero e con la pila frontale, c'incamminammo dunque lungo il sentiero 340 che conduce al fondo delle Val Perse.
Il percorso attraversa inizialmente un fitto bosco e poi supera una curva aprendosi in alto sulla valle con spettacolare vista delle dolomiti. Ma era buio e s'intravedevano appena le guglie nel tenue contrasto della luce lunare.
Più avanti il sentiero s'accosta alle rocce delle Seghe del Marilon seguendo una cengia in parte scavata artificialmente per le opere di convogliamento dell'acquedotto. Dopo un po' una galleria nella roccia viva attesta l'opera dell'uomo, come pure l'affioramento a tratti del tubo nero della condotta che probabilmente raccorda le sorgenti.
Quindi la traccia si riduce ad una cengia rocciosa incisa nella poderosa bastionata meridionale del Croz dell'Altissimo che induce a rasentare le rocce; cautela peraltro consigliabile specie nella condizione di poca luce che c'era e dato l'evidente salto che ci separava dal fondovalle. Ad un certo punto una piccola lapide di marmo bianco inchiodata alla parete attira la mia attenzione.
Questo tipo di testimonianze sono purtroppo ricorrenti in montagna, ma il ragazzo nell'ovale che mi guardava illuminato dalla pila non era venuto lì in ferie, né per fare sport o per arrampicare: lui era morto per costruire quella strada! Aveva 19 anni, si chiamava Elia, come mio figlio.
Elia Longhi da Pedemonte.
Era il 1950.
Chissà in che condizioni avranno lavorato in quegli anni per costruire la condotta; appesi a quelle rocce, con i mezzi approssimativi di allora. Era la stessa roccia delle nostre montagne, infida, friabile, ma con i colori di casa.
Siamo arrivati al rifugio verso mezzanotte, ma non ero in pace. Continuavo a pensare all'immane fatica della nostra gente, costretta ad abbandonare la propria terra e anche a morire a 19 anni, di lavoro, quando già si stava profilando l'era del benessere.
Ci sono tornato ancora, su quel luogo, con la luce del giorno. Ho visto che lungo il sentiero ci sono delle altre lapidi di giovani che in tempi più o meno recenti sono rimasti vittime di incidenti d'arrampicata su quella parete.
Immagino che Elia sapesse usare bene la corda per legare i tarlisùni o per strosàre la legna, non certo per diletti improduttivi; non aveva niente da spartire con gli altri, se non la gioventù.
Non conosco la storia di questo ragazzo; forse qualcuno che ci legge saprà raccontarci qualcosa. Sarà probabilmente una vicenda di ordinaria emigrazione, che hanno vissuto un po' tutti a quell'epoca.
Chi più e chi meno.
La maledizione della nostra valle.
Chi più e chi meno.
La maledizione della nostra valle.
Gianni Spagnolo
Con un semplice calcolo dovrebbe avere, anno +/- l'età di LINO.
RispondiEliminaForse lo conoscerà.
No,non l'ho conosciuto veramente,solo di vista.Eravamo tanti e tanti della mia età
RispondiEliminaa quei tempi nella nostra valle.Ci si vedeva a qualche festa,a qualche ballo,ma solo
i due ,tre mesi d'inverno. Il resto de l'anno,e dico tutto il resto dell'anno,eravamo sparsi nei vari cantieri d'Europa.Non c'erano ferie estive allora!!!!!
Il primo che ho visto morire su un cantiere era nel 1954,ed era uno dai Busatti di cui
non ricordo piu' il nome.Aveva la mia stessa età,ed era appena un mese che era arrivato dall'Italia.....Dopo, nei vari cantieri, ne ho visto morire molti altri e ferirsi in maniera molto grave moltissimi.....Un mio fratello,caduto da parecchi metri,resto' in coma,per quaranta giorni.Per fortuna se la cavo' molto bene.Nello
stesso cantiere invece non ebbe la stessa fortuna Gigio Boti.Mi giro,e me lo vedo
sparire e cadere da un tubo all'altro dell'impalcatura...10 metri di volo....Vivo
,ma andicappato a vita...Nei cantiere la vecchia con la falce, sghignazzante, circolava sempre sopra le nostre teste.Con tutti i pericoli che ci cirdondavano.....
Verità Lino, tremende verità!
EliminaLeggendo la tua ultima frase... mi è venuto un sussulto... e penso anche a Gianni...