[Gianni Spagnolo © 24N26]
Presenti per secoli delle nostre case piene di buchi, indesiderati ospiti e riottosi compagni di giochi, oggi anche i ragni si sono dovuti evolvere.
Evolvere o perire, perché con la scomparsa dei buchi nei muri e delle loro naturali prede, neanche i ragni non sono più quelli di una volta. Tentano faticosamente di sopravvivere sulle nostre immacolate pareti ormai solo le Pholcus Phalangioides, insulsi ragnetti quasi evanescenti dalle lunghe zampe e dai minuscoli corpi globulosi. Tessono tele disordinate e irregolari lungo gli angoli delle stanze e sui soffitti, sulle quali corrono veloci e imprendibili.
Niente a che vedere con i ragni de stiàni, quelli verso cui esercitavamo inutilmente le nostre prime arti predatorie a vocazione criminale. Quelli che tessevano terejìne a inperiòlo dalla consistenza di un maglione, capaci persino di sostenere i maltassi dei muri. Quelli che abitavano preferibilmente granàri e stale, costruendo tele così spesse che sembravano trattenere la polvere dei secoli. Quelli appartenevano alla specie Segestriidæ, facile da riconosce per il colore scuro, le grosse dimensioni e la tipica postura delle zampe, le prime tre paia delle quali orientate frontalmente. Quella posa che ci faceva andare in bestia quando cercavamo inutilmente di catturarli, quando fuoriuscivano appena dalla loro tana, e che dette origine alla celebre metafora: “Non si riesce a cavare un ragno dal buco.” In effetti non c’era verso, carimìe, di catturarli; sembrava ci leggessero nel pensiero: non appena avvertivano la nostra presenza: zàcchete! Si intanavano immediatamente. Ancamassa, ciò!
Quelle lenzuolate di tele che addobbavano alla rinfusa càneve, granari, stale e stelari, noi che chiamavamo terajìne; derivante forse dalla deformazione di telarine, nel senso di tele leggere. In altre parti dei Serenissimi Dominï le chiamano invece scarpìe, termine del quale ignoro l’etimologia. Fatto stà che questi aracnidi hanno coabitato con noi per un’ampia parte della nostra storia evolutiva e adesso anche noi stiamo cambiando come loro, diventando sempre più pètole. (Adesso si dovrebbe dire fragili, ma, secondo me, pétole è più appropriato).
Forse ci meritiamo le cimici, che, a differenza dei ragni hanno sìe sate invesse de oto, e perciò sono catalogate come insetti. Sono però anche immensamente più insulse, ma questa è un’altra storia: [A te schisso come on bao!]
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