giovedì 25 agosto 2022

Anca pai pai..

[Gianni Spagnolo © 22G16]

El gh’in ha anca pai pai! 

Era questa una frase ricorrente a significare di qualcuno che aveva risorse economiche abbondanti; almeno in relazione alla media del paesello. Era detta con un senso misto di invidia e perentoria evidenza. 

La fonetica del detto è piuttosto intrigante ed efficacie, con quella ripetizione finale eufonica che non ammette repliche. Ne ha anche per alimentare i tacchini! Questa sarebbe la traduzione in italiano, che però non ha proprio la stessa forza evocativa.

Il bello è che di tacchini, a San Pietro, ce n’erano ben pochi. Per quanto mi ricordo essi erano una specie esotica limitata al paio di esemplari che becchettavano nel brolo del prete, prima che facessero le scalette di accesso alla piazza e assai prima dell’attuale parcheggio all’inizio della discesa delle Fontanelle. 

I pai del prete erano l’esotica attrattiva di noi bociasse incuriositi dal loro strano verso, dai colori accesi delle carnucole e da quell’insulso sìnsolo che pendeva al lato del becco. Nel nostro bestiario di allora, il pao aveva una posizione di assoluta evidenza in virtù delle sue caratteristiche che differivano alquanto dalle nostrane tipologie di uccelli. 

Il maschio ricordava un po’ il nostro gallo cedrone, specie per la coda a ventaglio, ma con un corpo più grande e tozzo e una testa e un collo decisamente sproporzionati e bitorzoluti. La nostra attenzione, chissà perché, era però concentrata sull'escrescenza carnosa ed erettile del maschio, che ciondolava flaccida e pendula dalla parte superiore del becco. Sempre il maschio, aveva sul davanti delle penne lunghe e sporgenti che ricordavano i peli del mastcio. 

Si capiva al volo, che era un gallinaccio foresto, che con la nostra fauna non aveva niente a che spartire. Essendo anche parecchio massiccio e combattivo, non era neanche facile tenpelàrlo, cercando di smuovere con un bachéto il sìnsolo del becco. Assai strano era anche il suo verso, quel sordo glo-glo tanto diverso dai suoni consueti. Fu a scuola che apprendemmo che il tacchino "gloglotta" e dunque il suo verso è un gloglottio. Che fantasia!

Ma torniamo indietro al significato del detto iniziale, che usava questo strano uccello come parametro dell’abbondanza. Il paese era pieno di galli e galline, essendocene pressoché in ogni famiglia, alimentati dagli avanzi di cucina. Per il resto si procuravano il cibo liberamente becchettando nelle corti e sopra i luamàri. Ai tempi nostri la loro dieta era arricchita dal pastà di crusca e da sorghetta, ma temo che in tempore famis dovessero arrangiarsi in proprio. Non così, credo, il pao, che per la sua stazza necessitava di un’alimentazione ben più costante e sostanziosa. Ecco perché allevare i tacchini era prerogativa di chi aveva più risorse, ovvero del sorgo da poter sottrarre alla polenta quotidiana. Era roba delle Basse, non adatta alla frugalità nostrana. Perciò, se qualcuno aveva cereali da dare ai pai, significava che aveva abbondanza di cibo, che stava bene. 

El gh’in ha anca pai pai! Voilà!







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