domenica 23 agosto 2020

Ora che leggo... qualcosina mi ricordo...


Il 20 Agosto 1973, al Sud, ci fu una grande epidemia di colera.
L'epidemia di colera ad Agosto del 1973 è stata un'epidemia che si verificò nelle aree costiere delle regioni Campania, Puglia e Sardegna tra il 20 agosto e il 12 ottobre, quando vennero diagnosticati 278 casi di colera causati dal Vibrione del colera. Quasi tutti i casi coinvolsero gli adulti, con una preponderanza di uomini, e causarono complessivamente 24 decessi.
L'improvvisa epidemia, forse causata dal consumo di cozze crude o altri frutti di mare contaminati dal vibrione, causò un grande allarmismo nella popolazione (all'ospedale Cotugno di Napoli vennero ricoverate 911 persone in dieci giorni), ma già pochi giorni dopo l'inizio dell'emergenza venne avviata la più grande operazione di profilassi nel secondo dopoguerra che portò alla vaccinazione di circa un milione di napoletani in appena una settimana, grazie anche all'aiuto dell'impiego delle siringhe a pistola messe a disposizione dalla Sesta flotta degli Stati Uniti d'America.
Già dopo ferragosto del 1973 risultarono alcuni casi di gastroenterite acuta che avevano portato al decesso di alcune persone presenti nel napoletano.
Il 26 e 27 agosto morirono all'ospedale Maresca di Torre del Greco due donne residenti a San Giuseppe alle Paludi, di 70 e 78 anni. 
Il professor Antonio Brancaccio (1930-2011), primario di medicina dell'ospedale Maresca, ipotizzò tuttavia che si trattasse di qualcosa di ben più grave, annotando nelle cartelle cliniche una "sindrome coleriforme" e chiedendo il trasferimento all'ospedale Cotugno di Napoli: peraltro, Ferruccio De Lorenzo, direttore dell'ospedale partenopeo, criticò polemicamente tale diagnosi, accusando il collega di "scandalismo". La notizia del colera iniziò a diffondersi la sera 28 agosto, il Ministero della sanità emise un comunicato stampa secondo cui dal 23 agosto nella zona di Ercolano-Torre del Greco si erano manifestati 14 casi di gastroenterite acuta, per i quali era sorto il sospetto che si trattasse di infezione da vibrione colerico, il cui focolaio era però circoscritto ai casi individuati.
Il giorno dopo, il quotidiano Il Mattino aprì la prima pagina con la notizia di sette morti (cinque a Torre del Greco e due a Napoli) e più di 50 ricoverati all'ospedale Cutugno. In brevissimo tempo si scatenò il panico tra la popolazione, si registrarono infatti rivolte, blocchi stradali, rifiuti incendiati e assalti ai camion della disinfestazione. Paolo Cirino Pomicino, all'epoca assessore ai cimiteri di Napoli, fu accusato di nascondere centinaia di cadaveri per occultare l'emergenza. Le autorità provvedettero ad iperclorinare le acque dell'acquedotto municipale, proibendo la vendita dei frutti di mare e sequestrandoli nei ristoranti, avviando una campagna straordinaria di raccolta dei rifiuti, pulizia delle strade e disinfestazione dalle mosche, vennero interdette le spiagge e le aree di balneazione, ispezionati teatri, cinema e altri luoghi di aggregazione. Il 31 agosto, quando all'ospedale Cotugno di Napoli risultavono ricoverati già 220 pazienti sospettati di aver contratto la patologia, i cittadini partenopei assediarono il municipio di Napoli, data la carenza di vaccini e sulfamidici, mentre i limoni (il cui succo può attenuare gli effetti del vibrione) erano ormai disponibili solo al mercato nero a prezzi proibitivi. A Ercolano i carabinieri furono costretti a disperdere la folla con il lancio di lacrimogeni. Data la lentezza dell'amministrazione comunale di Napoli, alcuni militanti del Partito Comunista Italiano allestirono in fretta il primo centro vaccinale nei pressi della Casa del Popolo nel quartiere Ponticelli, poi trasferito nella scuola Enrico Toti.
Si stima che i presidi sanitari riuscirono a vaccinare il 50-80 per cento della popolazione.
A Napoli e Ercolano venne vietato il commercio di molluschi, pesci e fichi, e fu disposto il sequestro delle cozze, provocando la rivolta dei pescatori professionali che per protesta mangiarono i loro prodotti ittici crudi per evidenziarne la purezza e in effetti col passare di altri giorni si determinò la causa dell’infezione intestinale, che fu sì individuata nelle cozze, ma in una partita arrivata dalla Tunisia, si può quindi ben dire che il colera arrivò in Italia tramite dei frutti di mare tunisini contaminati.
Anche a Bari, il problema fu inizialmente sottovalutato. La Gazzetta Del Mezzogiorno titolava: "E' colera, ma non c'è da perdere la testa".
Il presidente Giovanni Leone, nella sua visita al Policlinico di Bari del 1973, disse, rivolgendosi a un gruppo di giovani ricoverate: "Vedo che ci sono anche delle signorine. Auguri di buona salute. Sono certo che con il sussidio di questi bravi medici, tornerete presto a casa".
Tuttavia le disfunzioni erano evidenti: l'ospedale "Di Venere" rimase senz'acqua in piena emergenza. Vennero chiusi cinema, scuole, università, vennero vietati i bagni sia nelle spiagge libere che in quelle a pagamento. La squadra di calcio del Verona annullò la partita in programma con il Bari.
Curiosamente, l'ultimo caso di colera a Napoli venne diagnosticato il 19 settembre, nella ricorrenza patronale di San Gennaro, anche se in tale occasione non avvenne il prodigio della liquefazione del sangue del santo contenuto nell'ampolla.
(da una ricerca in Internet)
... io avevo 12 anni e mi ricordo qualcosa, abitavo già a Torino, ma in Estate tornavo al mio paese, Gioia Del Colle, provincia di Bari e se non ricordo male quell'anno non scendemmo giù perchè appunto c'era l'emergenza del colera e ricordo che qualcuno, a noi meridionali trapiantati al Nord, ci guardavano con sospetto come se fossimo portatori di colera... io ero solo una bambina e certe cose ancora non le capivo... non capivo questo "odio razziale"... così come non lo capisco nemmeno adesso...
Maria Siniscalchi web

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