L’osteria, la trattoria, la locanda.
In questo nostro mondo
globalizzato, in questi giorni in cui ogni cosa viene chiamata con
termini stranieri (pensiamo al recente lockdown!) mi tornano in mente
parole, un tempo familiari e consuete, che ormai si usano poco o quasi
mai. Una di queste è locanda, osteria, superata dall’inglese bar, pub, o
da enoteca. Eppure le osterie erano i punti cardinali dei nostri paesi;
ce n’erano ovunque, ma sempre in posti strategici; vicino alla chiesa,
in prossimità della piazza, vicino al municipio o nei pressi
dell’ufficio postale; nell’incrocio importante di vie, vicino alla corte
delle bocce. Ci andavano tutti, “tutti” al maschile, tutti gli uomini e
solo raramente, se accompagnate, anche le mogli, le sorelle, le
fidanzate. Era bello entrarvi. C’era un acre odore di fumo stantio.
Odore di sigari e di tabacco da pipa, di trinciato forte sapientemente
arrotolato da abili dita che, in maniera automatica ripetevano gesti
consueti. Fumo delle esportazioni Nazionali, dal bel verde pacchetto con
il maestoso veliero nero, e di rosse Alfa. I muri erano pregni di
fumo, anche della grande stufa che scaldava il locale. Posta
nell’angolo, era un elemento fondamentale e serviva, spesso, anche per
cuocere i cibi della famiglia dell’oste. Un tutt’uno tra pubblico e
privato, in quattro mura che erano casa per molti. Gli anziani si
ritrovavano alla sera per una partita a carte, i giovani sempre di
sabato e di domenica pomeriggio perché, nella stanza accanto forse c’era
un bigliardino e, più tardi, il mitico flipper o addirittura un juke
box con i dischi di Gianni Morandi, di Little Toni e di Rita Pavone e di
Mina! Un’osteria di chiacchiere, di pettegolezzi, di politica, di
sport, di caccia e di qualche …“ostia” quando il compare sbagliava la
carta e la partita prendeva una brutta piega! I bambini guardavano i
loro nonni indaffarati col mazzo di carte e ridevano per le parolacce
che sentivano, che imparavano ma che non osavano ripetere! Erano luoghi
del cuore le locande, le osterie. Dietro al banco sulla vetrina con gli
specchi poche bottiglie: una grappa, una china, la Prugna, lo Stock, un
Cinzano, la Vecchia Romagna e lo Strega! Poche buone cose per momenti
particolari, preziose, da bere raramente in occasioni importanti, al
termine di un affare andato a buon fine, in un giorno di festa! E poi
c’era la frase mitica… L’ho letta oggi, sul Corriere in un’intervista
all’attore Andrea Pennacchi, in arte “il Poiana” che raccontava la sua
infanzia padovana e così ho risentito cinquant’anni dopo, la voce di mio
padre quando, la domenica dopo messa, si fermava in un’osteria lungo
la strada di casa, e mano nella mano entravamo: “Un goto per mi e una
spuma per el bocia!” Era una cantilena consueta, era un mantra, una
filastrocca o la strofa della solita poesia. Voleva dire: mi fermo un
momento, mi riposo e gusto un bicchiere di vino. Voleva dire: “Tu sei
piccolo e goditi la tua spuma, la tua aranciata”. Voleva dire: “Un
giorno crescerai e anche tu avrai il tuo “goto” ma non oggi.” Voleva
dire: “Ti voglio bene, cresci sano, sii rispettoso…”. Voleva dire tante
cose dolci, che ancor più oggi, a 50 anni dalla morte di quel mio
giovane papà (aveva solo 49 anni) risuonano ancora nelle orecchie del
bambino di allora e trasmettono la delicata poesia di un insegnamento
antico, nelle fumose antiche osterie di un tempo: “Un goto per mi e una
spuma per el mi bocia!”
Sono tornato indietro con gli anni .condivido l'immagine della Ostaria di come era.
RispondiEliminaEra un punto importante di aggregazione e di condivisione .I tavoli di legno erano lucidati dall'uso ,d'estate erano fuori al fresco e d'inverno tutti dentro nel fumo di tabacco al tepore umano .
Se ricordiamo questo significa che la nostra età è simile. Un saluto .
Forse io vado ancora più in dietro con gli anni.... Quando mi dicevano "Bocia, va all'Appalto, da Marcantonio, a comprarmi due "alfa". e un pacchetto de cartine per far su el tabacco.
RispondiEliminaAnonimo
Chi si ricorda delle due osterie di Valpegara negli anni 50-60 ? In piazza c’era l’osteria « dalla Pierina », accanto ai generi alimentari « dalla Maria Massola » e, giù alle Cadele, c’era quella « da Chicari » con i generi alimentari di zia Linda, moglie di Zio Chicari.
RispondiEliminaPer me, bambina in vacanza d’estate a Valpegara, il negozio di zia Linda era come la caverna di Ali Babà, e l’osteria di zio Chicari, un laboratorio di matematica ricreativa. Zia mi faceva vedere come si facevano sacchetti per i generi alimentari con dei pezzi di carta da imballaggio e zio m’insegnava come servire « un quarto, un meso o un litro de vin » al tavolo. Dovevo anche rendere la moneta !
Non era la migliore delle scuole ? Le ore passavano veloci.
Mi ricordo che un giorno, la loro figlia Clelia, non ancora sposata, aveva messo il disco « La vie en rose » d’Edith Piaf, sul vecchio giradischi dell’osteria.
Dopo tanti anni penso che, in un certo modo, quel momento preciso era proprio un pezzo de « vie en rose ». Forse è per questa ragione che non l'ho dimenticato.