“Recoaro, come paesaggio, è una delle
mie più belle esperienze, e questa bellezza io l’ho inseguita
prodigandovi zelo e fatica”, così scrisse Friedrich Nietzsche nel 1881,
lo stesso anno in cui scrisse il suo libro più celebre, «Così parlò
Zarathustra».
La cittadina occupa la testata della valle dell’Agno,
sullo spigolo nord-occidentale della provincia, in uno scenario che
spazia dal fondovalle, tanto verde e rigoglioso da meritarsi
l’appellativo di ‘conca di Smeraldo’, a una corona di montagne
spettacolari, le Piccole Dolomiti, come gli alpinisti le hanno
battezzate con affettuoso rispetto; è di fondazione antica e fa da ponte
tra due zone d’ascendenza tedesca, l’Altopiano d’Asiago e la Lessinia.
La fisionomia, invece, è quella della città termale fiorita tra Otto e
Novecento, con un cammeo d’architettura moderna nella parrocchiale di
Sant’Antonio Abate.
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Gli gnochi con la fioreta di Recoaro |
Recoaro riserva la sorpresa di una
cucina di matrice tedesca, dovuta all’origine d’oltralpe degli abitanti
dell’arco montano tra la Lessinia veronese e l’Alto Vicentino. Risale
all’XI secolo la prima notizia dell’insediamento tra le montagne del
Veneto di coloni provenienti dalle vallate bavaresi.
Le cronache
medievali li citano con il nome di Cimbri, da mettere in relazione con
il termine tedesco zimberer, ‘boscaiolo’ o ‘carpentiere’, anche se è
provato che eccellevano parimenti nell’allevamento e nella lavorazione
della pietra. Il primo nucleo si stabilì sull’altopiano di Asiago, dove
diede origine alla Comunità dei Sette Comuni. Col passare del tempo i
Cimbri ampliarono i propri territori verso i Monti Lessini, nell’Alto
Veronese, stabilendo diverse comunità si stabilirono nella zona del
Pasubio e delle Piccole Dolomiti.
A secoli di distanza la parlata
d’inflessione germanica degli antichi abitatori della conca di Recoaro è
scomparsa, ma loro memoria resta nel nome dei luoghi e delle famiglie
come pure nella pittoresca festa in costume della Chiamata di Marzo, con
la quale si dà il benvenuto alla primavera, e nella cucina
tradizionale, che si fonda sui prodotti tipici della montagna: il latte,
la ricotta e i formaggi d’alpeggio; l’orzo e le patate; le salsicce e
lo speck; le verze e i crauti; la selvaggina e le trote; i funghi e le
lumache, i dolci a base di mele. Il piatto simbolo di questa tradizione
sono gli gnocchi con la fioretta, in origine preparati dai pastori
durante l’alpeggio impastando la farina bianca con la ricotta
semiliquida raccolta al suo primo affiorare; la pastella così ottenuta
viene versata a cucchiaiate nell’acqua bollente e riappare in superficie
sotto forma di morbidissimi gnocchi; come condimento, burro di malga
spumeggiante e una grattugiata di ricotta affumicata, oppure burro,
zucchero e cannella, in una combinazione che evoca antichi contatti tra
la montagna vicentina e la Repubblica di Venezia. È un piatto d’antica
bontà, protagonista a metà settembre di una bella Festa in costume.
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Le acque minerali di Recoaro |
La nascita di Recoaro come stazione
termale – l’unica di montagna del Veneto – si fa risalire all’anno 1686
quando il conte Lelio Piovene, intellettuale dal multiforme ingegno,
giunge a Recoaro per constatare di persona le virtù dell’acqua di
sorgente che vi sgorga. Convinto da analisi chimiche e riscontri medici
dell’eccezionalità della scoperta, il conte si impegna a divulgare la
sua scoperta. Nel 1752 la sorgente Lelia, come viene battezzata in onore
del suo mentore, viene dichiarata ‘bene pubblico’ dalla Repubblica di
Venezia che avvia l’attività idroterapica e la costruzione di un primo
padiglione di cura. È questo il periodo in cui si succedono le scoperte
di altre sorgenti, ben nove quelle che sono attualmente sfruttate per la
terapia. Nella prima metà dell’800 Recoaro vanta già vari impianti
termali ed eleganti alberghi che le conferivano il tipico aspetto di
“ville d’eau”. Si deve all’architetto scledense Antonio Caregaro Negrin,
nel 1873, l’unificazione delle varie sorgenti in un unico ‘parco
termale’. Un complesso dall’imponente architettura eclettica, del quale
resta testimonianza, dopo le distruzioni dell’ultima guerra, nel villino
Tonello, che ospitò nel 1879 la Regina Margherita e il figlioletto
Vittorio Emanuele in un soggiorno rimasto negli annali della cittadina. A
questo periodo è ispirato uno degli appuntamenti più sentiti
dell’estate recoarese, la Festa dell'acqua,
che in agosto ravviva i fasti della Belle Epoque con spettacoli nel
Salone dei Concerti delle Fonti Centrali, balli in costume e passeggiate
in carrozza, la giostrina dei cavalli e gli aquiloni per i più piccoli.
Lo Stabilimento delle Fonti Centrali si
trova all’interno di un parco di oltre 20 ettari sul lato opposto
all’abitato. Alle splendide fioriture di ortensie della zona termale fa
da cornice una valle verdeggiante che s’innalza verso le prime creste
delle Piccole Dolomiti. Nello stabilimento sgorgano 5 fonti termali
(Lelia, Lorgna, Amara, Nuova e Lora); altre 4 (Giuliana, Capitello,
Franco e Aureliana) si trovano in località distaccate. “Quantità e
Qualità” è uno degli slogan delle Terme di Recoaro con riferimento al
numero delle sorgenti e alla molteplicità di applicazioni delle loro
acque. Le acque sono utilizzate come bevanda ma anche per inalazioni,
bagni e fanghi. Dal punto di vista terapeutico la Lora è un’acqua
oligominerale, utile nella prevenzione e nella cura dei calcoli renali e
delle cistiti; incrementa la diuresi e favorisce l’eliminazione
dell’acido urico. La Lelia è un’acqua minerale ad alto contenuto di
ferro, particolarmente utile negli stati di accresciuto bisogno di
questo elemento: gravidanza, allattamento, sviluppo, convalescenze. È
considerata un’ottima acqua ‘ricostituente’. La Lorgna e l’Amara sono
acque minerali impiegate nel trattamento delle affezioni dell’apparato
digerente, del fegato e delle vie biliari, del pancreas. L’Amara si
distingue per il maggiore contenuto di solfato di magnesio. Chiudono la
rassegna le acque Nuova, Giuliana, Capitello, Aureliana e Franco:
minerale la prima, mediominerali le altre, con proprietà sovrapponibili
alle precedenti ma con un contenuto in litio che le rende efficaci nella
terapia delle nevrosi ansiose-depressive e psicomotorie. L’attività di
imbottigliamento ha inizio negli anni Venti e riguarda l’acqua
oligominerale Lora, ma al tempo stesso alcune bibite che hanno fatto
storia e che sono tuttora in commercio: innanzitutto il chinotto, che
all’epoca, in tempi autarchici, costituì la risposta italiana alla Coca
Cola, sfruttando le proprietà dissetanti di un agrume poco noto (Citrus
aurantium) coltivato sulla Riviera Ligure di Ponente.
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Sta prelibatezza l'ho mangiata alla "chiamata di marzo". Speciale!!!
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