Il broccolo fiolaro di Creazzo |
Il broccolo, finché è stato uno dei
pochi ortaggi freschi reperibili durante l’inverno, ha rappresentato una
voce importante dell’economia delle colline di Creazzo.
Ancora
negli anni Sessanta veniva portato al mercato confezionato in ‘sacare’,
sorta di corone che le donne intrecciavano con ‘strope’ di salice.
La
coltivazione, che ha qualche secolo di storia documentata, riguarda una
particolare varietà di Botrytis cauliflaura: il broccolo ‘fiolaro’,
cosiddetto per i ‘fioi’ (figli), germogli di consistenza erbacea, che
crescono lungo il fusto e all’ascella delle foglie. La produzione ha il
suo ambiente d’elezione nella zona collinare di zona
Rivella-Beccodoro-Rampa per più motivi: terreni acclivi esposti a sud,
ideali per la produzione di un ortaggio invernale; suoli di tipo
sabbioso-limoso o calcareo (le cosiddette ‘terre bianche) che, lavorate
opportunamente, si presentano sciolte e adatte allo scopo; presenza di
sorgenti d’acqua, che soprattutto in passato rendevano possibile
l’irrigazione nella delicata fase di trapianto delle pianticelle dal
semenzaio al campo.
Le piante, seminate al coperto a fine giugno e
passate in piena terra in agosto, non richiedono particolari attenzioni
se non qualche sarchiatura e leggere concimazioni. I suoli, piuttosto
poveri di sostanza organica, fanno sì che lo sviluppo della pianta sia
lento e modesto, a beneficio della concentrazione del sapore. Ai primi
di novembre ha inizio la raccolta e si protrae fino a febbraio.
Secondo tradizione i broccoli più
saporiti sono quelli toccati dal gelo e questo trova riscontro
scientifico nel fatto la pianta sempreverde si difende naturalmente dal
gelo, limitando i processi biologici, così da aumentare la
concentrazione nelle foglie di sali e zuccheri, e di conseguenza il
sapore. La produzione nel giro di pochi anni è passata dal minimo
storico di poche decine di migliaia di pezzi – quando solo due aziende
di Creazzo hanno mantenuto viva la tradizione del broccolo fiolaro – a
livelli che si avvicinano sempre più alle cifre riportate dai cronisti
ottocenteschi.
Alla moderna rivalutazione del broccolo ha
contribuito anche il riconoscimento scientifico delle sue proprietà
salutari. Al primo posto, quelle antimutagene e anticancerogene, visto
l'elevato contenuto di sostanze antiossidanti, specie nella prevenzione
di tumori dell'apparato digerente, polmonare, del seno, della prostata e
dell'endometrio; in secondo luogo, quelle di riduzione
dell’ipertensione arteriosa, grazie all'ottimo apporto di potassio.
Quanto alla cucina un tempo si lessava i
broccoli per poi passarli in padella con il lardo; oggi, in epoca di
grande rivalutazione di cavoli e ortaggi affini, se ne fa l’uso più
vario: a crudo in insalata con altre varietà di stagione, come
l’indivia; come ingrediente di zuppe e minestre d’orzo; come ripieno di
tortelli, pasticci e torte salate, ma anche di pollame e selvaggina da
piuma; come contorno di bolliti e arrosti; come base per salse dal
sapore rotondo; lessato con olio, sale e pepe; preparato al tegame o
gratinato con la besciamella. Se ne ha prova nella Festa del broccolo fiolaro che si tiene ogni anno ai primi di febbraio con il coinvolgimento di una dozzina di ristoratori locali.
Nella scia di questo successo va
segnalata anche una produzione salumiera: il musetto con il broccolo
fiolaro, ideato dalla macelleria Nogara di Sovizzo. Si tratta di un
insaccato suino a base di spolpo di testa, muscolo e cotenna, con
aggiunta delle migliori parti dell’ortaggio secondo una procedura
coperta da brevetto. Il musetto è un salume che nasce povero ma che in
questo caso assurge a nobiltà per qualità d’ingredienti: le carni,
innanzitutto, ma anche il broccolo, che dev’essere della migliore
qualità, di collina e ‘brumato’, ovvero toccato dal gelo. Dopo le
consuete tre ore di cottura, il risultato è davvero notevole, sia per il
colore marezzato della fetta, sia per il felicissimo abbinamento
dell’ortaggio con le parti gelatinose dell’impasto.
|
I fichi della collina di Creazzo |
‘A l’amigo se péla el figo, al nemigo se
péla el pérsego’, questo proverbio testimonia la considerazione di
questo frutto in terra vicentina.
A Creazzo, in particolare, nella
stessa fascia di coltura del broccolo fiolaro, fino al secondo
dopoguerra lo si coltivava in termini di una certa rilevanza
commerciale. Immancabili, presso ogni fattoria, infatti, erano uno o più
alberi di fico, piantati a ridosso di un muro rivolto a sud, o comunque
in luogo asciutto, perché questa specie mediterranea ama il terreno
asciutto e riparato. Le piante erano numerose – lo testimonia anche il
nome di una certa strada Figarola – e davano origine a una produzione
che aveva il suo momento di gloria l’8 settembre, in occasione della
festa della Madonna di Monte Berico.
Tra le tante varietà, circa 700 dicono
gli agronomi, a Creazzo fichi più diffusi erano quelli a frutti piccoli,
che erano un vero concentrato di sapore. Spettava alle donne
raccoglierli e portarli al mercato in canestri di vinimi. Negli anni
Trenta il poeta dialettale Adolfo Giuriato ha descritto nella poesia
«Piazza delle Erbe» l’atmosfera di quelle mattine:
“Sole in piazza: ziel slusento /
comarego de siorete / zironzare de servete / … torno ai banchi messi in
piovare / dove in mostre alquanto estrose / che xe grazia e fantasia, /
ride e sluse i fruti in gloria / tra ‘na sagra de color. / De sti fruti,
trono e gnaro / xe la corba e la sestela, / e le rame di visela / e le
frasche de figàro / fa contrasto co’ le piere / del palazzo de Palladio,
/ che le pare più leziere / e le ciapa infin calor. /… Che pitura! Che
delizia! / E l’arieta in alegria / fa pensare a la belezza / de stì
broli in setembrìa: / pomi peri fighi pèrseghi, ua che sbocia de
dolcezza / e codogni, brombi, àmoli / e le cornole in fogor. /… La
basilica e la zente, eco, vive in compagnia / e un fiorir de poesia / fa
la piaza più ridente. / Tra ‘l so’ popolo, in quel’ora, / torna vivo
anca Paladio / e qualcosa che inamora / canta alegro in ogni cor.
È risaputo che la pianta di fico
fruttifica in due periodi: a fine giugno si raccolgono i i fighi dela
prima fiòra (fioroni), in numero limitato e più grossi della media; tra
fine agosto e settembre tocca a quelli della seconda fiòra (forniti),
che rappresentano la produzione vera e propria. A voler essere precisi
ci sarebbe anche un terzo periodo, perché dopo una breve pausa spuntano i
tardivi, che tuttavia maturano solo se l’autunno è particolarmente mite
(quelli che restavano acerbi, entravano nel calderone della
preparazione della mostarda).
Il consumo riguardava per lo più il
frutto fresco, anche se qualcuno s’industriava ad essiccarli al sole. I
fichi secchi venivano mangiati con la polenta, come alternativa al
solito formaggio, oppure trovavano impiego nella preparazione del pan de
fighi, antesignano del pane con l’uvetta, comparso solo in tempi
piuttosto recente. Pezzetti di fichi secchi servivano anche per
arricchire l’impasto di una fugassa di farine miste, bianca e gialla,
oppure come ingrediente, assieme a mele, pinoli e uvetta, della più
amata tra le torte rustiche, la pinza, ancor meglio nota come putana.
Oggi,
dopo un periodo d’eclisse, si torna a parlare dei fichi di Creazzo come
prodotto stagionale d’eccellenza: come punto di riferimento c’è tutta
la tradizione dei dolci da forno e delle marmellate, ma la tendenza è
verso un’espansione del loro impiego nella preparazione di piatti, salse
e dessert d’alta cucina.
|
|
|
Guarda,che el brocolo fiolaro nol crese solo che a creazzo ma anca in tel me orto
RispondiEliminain francia!!!!!!!E anca i fighi!!!!!
Mon Dieu Linò! Ma è risaputo che il tuo è l'orto botanico di Echirolles!!!
RispondiEliminaAnca a San Piero se fusse par quelo, e che bon
RispondiElimina