mercoledì 23 ottobre 2024

Cessi cessati

[Gianni Spagnolo © 24L20]

Il recente post di Gino Minai [clicca qui] sollevava il problema della mancanza dei cessi pubblici in paese, facendone una questione di civiltà. Effettivamente, potrebbe rappresentare un indice del capitale umano d’un paese, inteso anche nel senso di entità statale e non solamente locale. 

Siamo ormai così abituati a barattare le nostre urgenze prostatiche o sfinteriche con un inutile e frettoloso caffè, che abbiamo dimenticato anche la felice intuizione di Cesare Vespasiano Augusto, che governò l’Impero Romano e la delicata questione già nel primo secolo della nostra era. Dove i bar mancano, o sono chiusi, e l’urgenza incombe, beh..., bisogna arrangiarsi in qualche modo.

Se dovessimo applicare questo criterio di civiltà all’umanità tutta, mi sa che lo dovremo ridurre al nostro occidente industrializzato, e neanche a tutto. Il resto del mondo, almeno per quanto lo conosco io, mi pare abbia concetti molto più elastici in materia. In verità, anche noi eravamo meno rigorosi nel nostro recente passato, disponendo comunque il paese di una rete capillare di servizi usufruibile erga omnes. Infatti, si è arrivati al paradosso che, mentre stiàni si mangiava in casa e si cagava fuori, oggi è più cool cagare in casa e mangiare fuori. Misteri del progresso!

Tornando a bomba sui cessi pubblici del centro paese, posso dire di avere una certa cultura in merito. Quelli dell’Ara, erano stati incavati durante la ricostruzione postbellica nella roccia del sojo su cui poggiano le case dei Lussi. Servivano le abitazioni della zona ricevendo al mattino i fragranti contributi della popolazione dell'Ara, con un furtivo andirivieni di sèce e vasi da notte, pudicamente occultati da strasse e strassuni.

Abitando allora nei pressi, potevo assistere alle varie frequentazioni;  ne erano assidui i barcollanti avventori dell'osteria della Feli in l'Ara, alias le Acli, ma anche quelli della Piazza, ossia della Nìnele e dell’Apalto. Il tempo era scandito dai vigorosi scrosci delle vasche di ghisa sospese, che scaricavano automaticamente ogni volta che il galleggiante arrivava a fine corsa. Era ormai diventato il rumore di sottofondo della Piazza, che scandiva le giornate al par del suono dei quarti dal campanile. L’acqua scorreva a fiumi anche sui pissoirs in batteria, ma chissenefrega, tanto allora non era un problema, ne eravamo ricchi. Sì, ciò, ancamassa!

Più critica era invece l’assenza di carta igienica, per cui ci si doveva arrangiare autonomamente; talvolta, per i più imprevidenti ciuchi spulpi, col collaudato Metodo Coleman. Il locale era infatti istoriato di graffiti sportiveggianti, tipo: W Juve, M Milan e simili, d'incerta grafia ma d'inequivocabile tonalità. In alternativa, c’erano i cessi della chiesa, situati dietro al campanile, nell’angolo meridionale del Belvedere Pincio. Quelli erano però scoperti e non garantivano nessuna privacy per le operazioni più grosse. Erano strategicamente posizionati nei pressi della porta dei òmeni, per sopperire alle debolezze prostatiche dei fedeli più anziani. Lì si potevano espletare le funzioni ureiche godendo dell’ampio e rilassante panorama delle Valle e dei Siroccoli, che sicuramente conciliava le operazioni. L'effetto diuretico di Valpegara o dei Lucùni era garantito.

Chi invece bazzicasse il resto del paese, non aveva che l’imbarazzo della scelta nel servirsi del cesso più a portata di mano, si fa per dire. Ogni casa o gruppo di case, aveva infatti il suo bel cagaòro, posizionato sul cantòn del’orto o dela possa. I proprietari non disdegnavano le frequentazioni foreste, che accrescevano il potenziale concimatorio della famiglia, a beneficio di orti e vanéde, patate e capussi. 

Il cesso di mia nonna ai Chéca, per esempio, era strategicamente situato, accanto a quello dei Stefanùni, sullo strodo che portava al Ricreatorio e perciò fruiva della vasta clientela domenicale appesantita dalle proiezioni cinematografiche o dagli edificanti convegni che vi si tenevano. Anche allora, purtroppo, l'utenza non era del tutto urbana e la nonna ebbe spesso a lagnarsi dell'indecenza di quelle frequentazioni.

Fu solo quando cessò questa economia corporale, che si cominciò a diventare più schizzinosi e inciavàre i cessi. Di lì a poco, li si portò dentro casa e quella variegata e precaria edilizia di casoti e casotéi sparì gradualmente dalla vista.

Dunque, volessimo applicare il criterio iniziale, si potrebbe dire che: se stava mejo co se stava pédo!



1 commento:

  1. Grande Koscri, lezione universitaria, la tua cultura su quest'argomento è così raffinata che mi sento un dilettante anche solo a parlare di carta igienica, perciò meglio per una volta che me ne stia zitto! ciaooo

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