martedì 21 marzo 2023

Promuovere la salute dopo il coronavirus (1a parte)



E’ il nostro modo di “vedere” il sistema sanitario, ma soprattutto la tutela della salute che dovremo cambiare, dopo questa tragedia. Salute e sistema sanitario non sono la stessa cosa.

Da anni sappiamo (ironia della sorte dirlo oggi, ma gli indicatori oggettivi dicono questo) che l’Italia, almeno sino a marzo 2020, è stata uno dei Paesi più sani al mondo, il secondo nel 2019 dopo la Spagna. Lo diceva il BLOOMBERG INDEX (sulla base di indicatori precisi, dalla mortalità infantile a quella adulta, alla aspettativa di vita pari a 83,2 anni, all’abuso o meno di sostanze, alle malattie croniche, all’accesso ai sevizi ecc.). Forse oggi la classifica non è più questa perché il Covid in Italia ha lasciato il segno più che altrove (e qui servirà un serio audit clinico per capirne le ragioni).

Qualcuno amava dire: “Dimmi dove abiti e ti dirò quanto vivi”: A Torino, scendendo dalle colline dove vive la borghesia torinese fino alle Vallette, periferia Nord, si perdono 4 anni di aspettativa di vita, ma questo vale per ogni città, se si mettono a confronto zone dove reddito, istruzione, alloggi, professioni sono più elevate. 

SIAMO NEL MONDO DEI DETERMINANTI DELLA SALUTE CHE DOVRANNO ESSERE LA VERA STELLA POLARE DI UNA COMUNITA’ PER PROMUOVERE LA SALUTE DEI SUOI CITTADINI.  E quindi attenzione allo stile di vita dei suoi cittadini, dall’alimentazione al movimento, ai comportamenti messi in atto (influiscono sulla salute per il 38%), legati spesso alla cultura più che all’istruzione formale, al benessere socio economico, alla genetica, alle condizioni ambientali.

Ovviamente anche per il suo sistema sanitario.

Quest'ultimo (per l’Oms) incide tra il 15-20% sullo stato di salute, ma è un sistema che “ha avuto poche attenzioni” negli ultimi undici anni ed ha vissuto “di rendita”: si è depauperato un capitale professionale e strutturale di primo piano. 

E’ un sistema  in cui convivono aree eccellenti ed aree che non applicano molti livelli essenziali di assistenza. 

Il sistema è stato alle prese con un grande tema di sanità pubblica: questa è stata la terza grave epidemia in 20 anni… È probabile, senza interventi correttivi nel rapporto uomo ambiente, che altre ne seguiranno e saranno pandemiche, come il Covid 19, in un mondo globalizzato. 

Debellata una, se ne presenta un’altra. L’umanità non viveva un’esistenza felice priva di insidie virali, di decessi, di sofferenze, prima che scoppiasse la nuova malattia: basta scorrere la storia per capirlo. 

La nostra salute la difenderemo, nei prossimi anni, con ogni azione utile per diminuire la crescente “antropizzazione”, le urbanizzazioni non governate,  la deforestazione, l’inquinamento dell’aria, che non è stato, presumibilmente, fattore secondario, in pianura padana, della velocità di trasmissione del virus.

Prima di essere un problema sanitario, la pandemia del Covid 19 è un problema di sviluppo economico  sostenibile. 

Ce ne saranno altre ancora, purtroppo, perché alcune modifiche nel modello di sviluppo inizieranno, ma i tempi di un cambiamento strutturale non saranno  brevi.

E la si affronterà, in fase “riparatoria”, con una solida cabina di regia mondiale, europea e ovviamente nazionale. Una cabina che organizzi e integri, in una banca dati condivisa, tutti i dati scientifici per capirne l’evoluzione e i trattamenti efficaci. Una cabina che coordini la ricerca ed i contributi degli scienziati. 

Nel frattempo l’Italia torni ad investire, dopo anni di poca attenzione, sui Dipartimenti di Prevenzione e sulla Medicina di Comunità. Su chi controlla acqua, aria, alimenti, animali, le postazioni di lavoro e la sua sicurezza (oggi, in media, solo il 4% del Fondo Sanitario va a questo). 

Su chi si prende in carico la persona che non è sommatoria di organi. Ma una persona.

dr. Alberto Leoni

2 commenti:

  1. Io ho capito l’ultima frase che è quella che non hanno capito gli amministratori della sanità che si sono succeduti negli ultimi anni. Tutto il resto l’avete capito? E chi se ne deve far carico?

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  2. Mi rendo conto che sono l’unico ignorante de la Valdastico!

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