del dr. Alberto Leoni
Questo è il testo di un intervento che ho fatto alcuni mesi fa.
Ho cercato, partendo dai numeri, ma soprattutto dall'osservazione, di capire come vivranno le Persone che oggi hanno tra i 45 ed i 50 anni. Chi è già vecchio, oggi, non ha bisogno di previsioni...
Nel 2050 io non ci sarò più, ma qualcuno mi terrà informato se ci ho preso o meno...
Grazie a chi avrà la voglia ed il tempo per questa lettura.
Saranno intanto molti, con una bella quota di ultracentenari… Ma prevedo, intanto, che cambierà il limite di età che sancisce il passaggio all’età anziana e tutto fa presupporre che il limite non saranno i 65, ma i 75 anni. Probabilmente si avvicinerà all'età di pensionamento che subirà un innalzamento, magari selettivo, a seconda della tipologia di lavoro, con forme flessibili di passaggio dal lavoro al pensionamento. Non è possibile però disgiungere la domanda posta dal quadro demografico complessivo e dalle dinamiche che esso attiverà. Le proiezioni recenti (Istat, Ocse) vedono un'Italia che perde abitanti in assenza di politiche demografiche correttive: nel 2050, difatti, vi saranno 54,1 milioni di abitanti, contro i 59,6 attuali. Gli over 65, che oggi sono un quarto della popolazione, diventeranno più di un terzo: 20 milioni di persone, di cui oltre 4 milioni saranno ultra 85enni. Il rapporto tra giovani e anziani (sempre considerando la soglia dei 65 anni per l’ingresso nella età anziana) sarà di 1 a 3 nel 2050, mentre la popolazione in età lavorativa scenderà in 30 anni dal 63,8% al 53,3% del totale.
Previsto in crescita il numero di famiglie, ma con un numero medio di componenti sempre più piccolo. Meno coppie con figli, più coppie senza: entro il 2040 una famiglia su quattro sarà composta da una coppia con figli, più di una su cinque non avrà figli. La crescita della natalità in Italia, ammesso che sia obiettivo condiviso culturalmente (le politiche sulla famiglia aiutano, ma non sostituiscono quella che è scelta di vita...), avrà bisogno di anni, misurati in decenni. Per compensare il buco di natalità negli anni che ci separano al 2050 vedo davanti, almeno per un periodo definito, due scelte possibili: una stabilizzazione dei flussi migratori, selezionata, ben fatta, inclusiva, per un range tra i 200 e i 300 mila giovani immigrati annui e una ri-attrazione intelligente e governata al rientro di una parte dei giovani italiani (negli ultimi 10 anni 250 mila giovani tra i 18 ed i 35 anni ha lasciato l’Italia nel contesto delle 500 mila persone complessive emigrate) che escono dal Paese per trovare migliori condizioni di vita all’estero (costo stimato 16 miliardi di euro, 1 punto di Pil).
Dove vivranno gli anziani del 2050? Per l’Istat già tra il 2020 e il 2030 i comuni delle zone rurali avranno una riduzione della popolazione pari al 6%, passando da 10,2 a 9,6 milioni di residenti. I comuni che ricadono nelle aree interne, ossia in particolari zone del territorio nazionale che si contraddistinguono per la distanza fisica dall’offerta di servizi essenziali, registreranno una riduzione della popolazione pari al 9,6%. I comuni a densità intermedia (piccole città e sobborghi) avranno invece un calo demografico atteso del 2,2%, mentre tra le città e le zone densamente popolate il calo atteso è del 2,1%. Ci si dovrebbe attendere spopolamento dei borghi e tenuta del tessuto delle città.
Su questo ho qualche dubbio… la grave vicenda pandemica vissuta (e le possibili altre attese) potrà, infatti, modificare la scelta di molti italiani, già in questo decennio, per accentuarsi poi: i piccoli borghi potranno vedere una rigenerazione. Più ambiti in termini di qualità di vita, di salubrità, soprattutto per chi può lavorare anche da casa o in un mix casa lavoro. Sarà interessante verificare l’impatto pluriennale delle azioni del Pnrr 2021/2026 proprio in questa fascia di bisogno: la rigenerazione urbana.
Gli anziani del 2050 vivranno più da soli, soprattutto le donne, in gran parte per vedovanza. Mancherà o sarà molto ridotta la rete parentale, con riflessi significativi sul piano assistenziale... Ma la gran parte (stimata almeno il 70%) potrà vivere in uno stato di relativa autosufficienza e relativo benessere. Una risorsa più che un onere assistenziale. Una risorsa che, come dicevo prima riferendomi alla fascia di persone in età tra i 65 ed i 75 anni, sarà... o ancora a pieno titolo nel mondo del lavoro, sulla base della gravosità e dell’usura dello stesso; o in “pensionamento progressivo” dopo i 70 anni e fino ai 75; o utilizzata a pieno titolo, per le competenze mantenute, nelle istituzioni locali.
Questo ultimo aspetto vale anche per i post 75enni in buona salute. Una risorsa da utilizzare, in modo programmato, nelle Comunità per le esperienze e le competenze acquisite. Una parte di loro sarà la classe amministrativa comunale del secolo in corso o avrà un ruolo attivo nei Servizi comunali o, più in generale, in quelli pubblici; una parte continuerà a svolgere le funzioni vicarie di Welfare a tutela della propria famiglia (supporto ai pochi figli nell’accudimento dei nipoti); una parte sarà preziosa nelle Scuole, dove integrerà con l’insegnamento pratico le materie curriculari; una parte rilevante la vedremo attiva nel Volontariato che sarà, presumibilmente ancora, l’anima della nostra Comunità nazionale
Quali saranno i punti di forza e le aree di criticità degli anziani del 2050?
E’ evidente che c’è una “diagnosi differenziale” nella situazione degli anziani, non legata solo all’età, ma al sesso (la vecchiaia delle donne è diversa da quella degli uomini) alle condizioni socio economiche (diversa è la vecchiaia di chi è a basso reddito rispetto a chi non lo è) , culturali (la vecchiaia di chi è prigioniero del “giovanilismo” o della “perdita di ruolo” è molto diversa da quella di chi accetta il fluire del tempo e plasma, su questo, interessi ed azioni), di salute (qui sta il differenziale maggiore, tra chi gode della completa autosufficienza e chi deve ricorrere all’assistenza di terzi).
Se dovessi basarmi su un profilo “standard” dell’anziano del 2050 lo definirei così:
Punti di forza. Gli anziani del 2050 saranno, mediamente, più istruiti rispetto agli attuali, almeno formalmente; avranno buone competenze informatiche e sapranno padroneggiare molti dei principali strumenti informatici che oggi solo una piccola parte di essi sa fare; conosceranno, sufficientemente, una o più lingue straniere. Avranno una visione più “allargata” dello spazio di vita, meno legata al proprio Comune. Saranno utilizzatori importanti di viaggi all’estero, non disdegneranno nemmeno permanenze anche prolungate in Paesi stranieri. Avranno anche una “cultura della salute”, presumibilmente, più strutturata su uno stile di vita sano. Molti di loro (molti più degli attuali ultrasettantacinquenni) vivranno soli, ma in buona autonomia, in alloggi costruiti o ristrutturati sulle loro esigenze, grazie alle innovazioni della domotica che sopperiranno all’inevitabile declino psicofisico. L’housing sociale diventerà una scelta di routine. Unirà privacy e bisogno di socialità, darà protezione e anche assistenza organizzata nei momenti di difficoltà. E’ bene iniziare già fin d’ora questa buona pratica, magari in forma sperimentale in ogni Comune.
Punti critici: La grande criticità sta nell'attuale non garanzia di fruire di un sistema pensionistico allineato con il tenore di vita degli anni precedenti. Ma, a parziale compenso, una parte significativa di questa generazione di anziani è figlia della “Società signorile di massa” (pag. 49-55), di cui parla Luca Ricolfi nel suo bel libro che, presumibilmente, all’epoca sarà orfana.
Se avrà avuto prudenza, potrà usufruire almeno di parte della ingente patrimonializzazione di cui gode ancora oggi, in Italia (rapporto reddito patrimonio è 9, inferiore solo al triangolo Olanda, Belgio, Danimarca in Ue) gran parte delle famiglie italiane. Superfluo sottolineare che il fenomeno rischia di chiudersi con queste generazioni se non interverranno fattori correttivi nella distribuzione del reddito nei prossimi 30 anni.
In una parola: avranno certamente pensioni più modeste di quelle oggi fruite dai loro genitori (tutte con il generoso sistema retributivo), ma potranno contare sui risparmi/patrimonio immobiliare di una vita accumulati dai genitori o dai nonni. Se avranno avuto prudenza ed educazione finanziaria, che oggi è poco diffusa… Non esiste, in questo che annoto, nessun mio giudizio di valore.
La seconda grande criticità potrà essere la solitudine ed il possibile isolamento sociale.
Un aspetto cruciale sarà mantenere le relazioni sociali, l'essere soli costituisce, infatti, un forte elemento di fragilità, mentre invece poter contare su una rete sociale ampia (familiare e non familiare) sarà un grande punto di forza.
Dal punto di vista della salute staranno meglio o peggio degli anziani di oggi?
Oggi il 40% della popolazione, soprattutto anziana, soffre di una o più malattie cronico degenerative. E’ presumibile che da qui al 2050, grazie ad un serio lavoro di prevenzione, si possa ridurre questa percentuale per evitare che il numero complessivo dei pazienti anziani da curare diventi insostenibile per qualsiasi sistema sanitario. Secondo il rapporto “Stato di salute e prestazioni sanitarie nella popolazione anziana” del Ministero della Salute, la popolazione anziana oggi in Italia determina il 37% dei ricoveri ospedalieri ordinari e il 49% delle giornate di degenza e dei relativi costi stimati. Con alcune correzioni del sistema si potranno ridurre questi numeri a favore delle cure domiciliari. Certamente si tratta di un’operazione molto lunga e complessa che deve iniziare già in questa fase che stiamo vivendo.
Secondo l’Istituto Superiore di Sanità, parallelamente all’aumentata aspettativa di vita, si è verificata, negli ultimi decenni, una transizione epidemiologica nella patologia emergente: da una situazione in cui erano prevalenti le malattie infettive e carenziali, si è passati a una preponderanza di quelle cronico degenerative. Nei Paesi più ricchi, Italia compresa, il maggior carico di malattia, misurato in anni di vita aggiustati per disabilità, è attribuibile alle patologie cardio e cerebrovascolari e ai disturbi neuropsichiatrici, tra cui la depressione, la malattia di Alzheimer e le altre forme di demenza. Tanto nei Paesi in via di sviluppo che in quelli a più alto reddito, si prevede che il numero di soggetti con disabilità, derivante principalmente dalle malattie non trasmissibili, aumenterà proporzionalmente alla crescita della popolazione, con una più alta percentuale proprio nelle classi di età più avanzata. Nei prossimi dieci anni 8 milioni di anziani avranno almeno una malattia cronica grave: ipertensione, diabete, demenza, malattie cardiovascolari e respiratorie. “Curarli tutti in ospedale – commenta il prof. Roberto Bernabei, presidente di Italia Longeva – equivarrebbe a trasformare Roma, Milano, Napoli, Torino, Palermo, Genova, Bologna e Firenze in grandi reparti a cielo aperto. È evidente, quindi, che le cure sul territorio non rappresentano più un’opzione, ma un obbligo per dare una risposta efficace alla fragilità e alla non autosufficienza dei nostri anziani, che si accompagnerà anche a una crescente solitudine.” Sarà fondamentale un programma serio, diffuso, costante di educazione alla salute ed in particolare agli stili di vita sani a partire dalle giovani generazioni per toccare gli attuali adulti. Un maggior grado di educazione comporta importanti ricadute sullo stato di salute e dunque è prevedibile che si possa ,con questa strategia, ridurre l’incremento proporzionale delle malattie croniche e possano aumentare gli anni spesi in buona salute.
Come si organizzerà il sistema dei servizi sanitari, socio sanitari e sociali per rispondere ai loro bisogni?
Vedo due scenari per quanto riguarda l’assetto dei Servizi sanitari e socio sanitari.
Il primo riguarda l’affermarsi nella società italiana ed in quelle occidentali, di una vera promozione della salute, basata su una forte attenzione ai determinanti della salute, soprattutto in un contesto dove i rischi pandemici sono decisamente aumentati. E’ il nostro modo di “vedere” il sistema sanitario, ma soprattutto la tutela della salute che cambierà. Salute e sistema sanitario non sono la stessa cosa. Grande attenzione quindi ai macro fattori che incidono sulla salute, alla tutela dell’aria, dell’acqua, della alimentazione, all’assetto del territorio, con un rafforzamento di quelli che oggi chiamiamo Dipartimenti di Prevenzione e che oggi assorbono non oltre il 4% delle risorse stanziate per la Sanità dal FSN. Una percentuale destinata ad aumentare
Il secondo scenario, direttamente legato alla organizzazione del sistema sanitario, vede il rafforzamento, molto prima del 2050, della rete territoriale socio sanitaria, in grado di curare a casa le situazioni di malattia non acute.
Già nei prossimi anni, ma il fenomeno si intensificherà nel periodo che ci separa al 2050, il fulcro del sistema sarà la medicina di comunità, basata sul medico di base, sull’infermiere di comunità, sulla stessa assistente sociale, con la supervisione degli specialisti in caso di situazioni più complesse. La telemedicina sarà uno strumento essenziale nel rapporto tra operatori sanitari e pazienti soprattutto anziani
IL PNRR approvato lo scorso anno prevede 1288 Case di Comunità in tutta Italia (1 ogni 45/50000 mila abitanti) con Medici di Base, Pediatri LS, Medici di continuità assistenziale, Infermieri di Comunità ed assistenti sociali. E’ il punto di accesso unico alle cure primarie. E’ il punto che dovrà però avere presenze del MMGG anche negli ambulatori periferici….
Ma prevede altresì 602 Centrali Operative Territoriali, COT, che guidano anche una ADI rafforzata (oggi in molte zone italiane non esiste di fatto) in grado di prendere in carico una percentuale crescente dei pazienti fragili in dimissione o che sono a casa. In questo contesto il PNRR prevede da qui al 2026, 380 ospedali di Comunità, strutture intermedie di norma con 20 pl, (fino max 40) 1 ogni 160 mila abitanti, a bassa soglia assistenziale, di gestione prevalentemente infermieristica pur con responsabilità affidata ad un medico delle cure primarie della Asl o scelto tra i medici di base). Ed aggiungo Ospedali di Comunità completati da URT (Unità Territoriali Riabilitative (trattamento esisti da fratture femore ed ictus) e da Hospice per pazienti tumorali bisognosi di cure palliative. Questo è il modello che in alcune zone d’Italia esiste, in misura insufficiente, questo il PNRR rafforzerà nei prossimi anni, perché l’attuazione di un Piano così ambizioso richiederà molto più tempo del quinquennio previsto. La strada però sarà questa….
E’ la logica dell’integrazione Ospedale Territorio, per evitare di riempire gli ospedali. In questo contesto la specialistica ambulatoriale si integrerà con il ruolo del medico di base. Lo specialista sarà il consulente del medico di base! Si parleranno, interagiranno… Il telefono diverrà lo strumento fondamentale! Ma tutti i moderni strumenti informatici saranno utilizzati, a partire dalla telemedicina. Solo con questo rapporto si può veramente aggredire la questione delle liste d’attesa, che si risolve solo governando la domanda e riorganizzando l’offerta: pensate quante visite specialistiche in meno potrebbero essere prescritte dal medico di base se fosse perfezionato un rapporto costante tra questo ultimo e lo specialista. Per i cittadini si apre uno scenario completamente nuovo e meno ansiogeno. Si afferma la medicina di iniziativa: è il servizio che prende in carico la persona e non la persona che corre agli sportelli a prenotare, ad uno o più specialisti. C’è lo scenario, sempre un po' inquietante, relativo alla non autosufficienza. Oggi è gestita, anche economicamente, sostanzialmente dalla rete parentale. Parliamo di una rete di Servizi ancora molto centrata sulle Rsa (300 mila posti in Italia), sulla (poca) ADI operativa (18.000 persone servite nel 2017), soprattutto sulle Assistenti Domiciliari (stima di quasi 1 milione di operatori di cui 390 mila regolarizzati presso l’Inps). Da un punto di vista economico quasi 2,5 milioni di persone anziane non auto sono beneficiarie dell’assegno di accompagnamento, mentre i Comuni provvedono ad interventi di sostegno economico (soprattutto integrazione rette per persone in difficoltà) per 7,2 miliardi (dato 2017). In uno scenario demografico come quello che è stato ipotizzato nel 2050, si pone il problema della differenziazione delle risposte alle persone non autosufficienti e della sostenibilità del Welfare dedicato. Sul primo aspetto, la differenziazione: un vero sostegno alla domiciliarità, laddove possibile, può essere realistico con una rete di Diurni, connessi alle Rsa, aperti 365 giorni all’anno, per un arco temporale di 10-12 ore e con posti letto di sollievo per periodi programmati nell’anno in modo da dare al caregiver spazi di vita personali. Sarà, comunque, sempre meno un familiare vista la tipologia di famiglia prevista. In questo contesto, un supporto alla famiglia/caregiver professionale, di un volontariato formato, prevalentemente anziano “giovane”, sarà utilissimo. Il cohousing, nel 2050, probabilmente sarà una risposta stabile, strutturata con standard più leggeri, rivolta a fasce di parziale autosufficienza o di non autosufficienza non complessa sul piano socio sanitario ed economicamente meno onerosa (stima attuale almeno un 30% meno) di un inserimento in Rsa. Anzi presumo che saranno, in molti casi, le stesse Rsa attuali a realizzare e gestire questa nuova tipologia assistenziale. Le stesse Rsa nel 2050 potranno già essere, in buon parte delle Regioni italiane, notevolmente ristrutturate: sarà questo uno degli investimenti edilizi più rilevanti del futuro, assieme alla messa a norma degli ospedali. Le nuove Rsa saranno strutture a moduli funzionali distinti e collegati, con non più di 40 posti letto ciascuno, fino ad un massimo di 120 p.l., con camere singole, sollevatori a soffitto, telemedicina di collegamento con le strutture sanitarie del territorio. Su questo aspetto l’attuale Pnrr, pur prevedendolo, non ha fatto scelte economiche coerenti all’obiettivo. Sul secondo aspetto, la sostenibilità, da qui al 2050, si possono ipotizzare forme innovative di mutualità da parte della Comunità, utilizzando strumenti che potranno evolvere, nelle forme e nelle dimensioni quantitative: o su base fiscale universale o quantitative o su base assicurativa individuale anche obbligatoria. Oggi il costo ufficiale della non autosufficienza in Italia è di 57,6 miliardi pubblici, tra prestazioni monetarie e servizi sanitari ed assistenziali pubblici erogati. Manca, in questa statistica, in gran parte, il costo a carico degli utenti.
Questa pagina va letta perchè il tema è universale.Il testo dovrebbe entrare nelle materie di scuola perchè parla della condizione umana non gradevole ma alla quale ognuno aspira.
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