giovedì 1 settembre 2022

Musìne

 


[Gianni Spagnolo © 22G24]

Chi che sparagna, la gata magna”, si sentiva dire un tempo. Un detto che mi pareva allora un po' strampalato. Il valore del risparmio, infatti, ci era inculcato con ogni mezzo fin da piccoli. Sparagnare, tegnér da conto, rancurare, erano verbi e imperativi che non ammettevano eccezioni. E poi, noi scolari avevamo anche un giorno specifico in cui questa necessità si concretizzava con un dono assai ambito: la musìna.
Il 31 ottobre ricorreva la Giornata Mondiale del Risparmio. L’idea di celebrarla nacque nel 1924 a Milano, dove si tenne il primo Congresso Internazionale, un avvenimento al quale parteciparono economisti e banche di vari Stati. L’origine della festa è dunque italiana, ma ben presto si estese a molti altri Paesi, con l’obiettivo di aumentare la consapevolezza nella popolazione sul valore del risparmio, una prima forma di educazione finanziaria.
Negli anni venti la popolazione era generalmente povera, l’economia era essenzialmente di sopravvivenza e pochi avevano a disposizione denaro, ma si voleva, comunque, sensibilizzare la popolazione sull’importanza di depositare i propri averi in banca, anziché tenerli nascosti in casa, sotto il materasso. E dove partire quindi, se non dai bambini, dalla scuola? Oggi la giornata non è molto sentita, ma negli anni Sessanta era parecchio in voga. Era il periodo del boom economico, di grande crescita, si passava da economie di sostentamento, in cui tutto quel poco che veniva guadagnato si spendeva, a un relativo benessere diffuso. Oggi mi pare si chiami, con quella lingua di legno che caratterizza anche la scuola: Educazione alla cittadinanza economica.
Sia come sia, ottenere in dono il salvadanaio della Cassa di Risparmio di Verona Vicenza e Belluno, era un ambito traguardo. Una robusta e pesante scatola ovale di metallo, colorata con quella cangiante vernice ad alto tenore di piombo, che poi uscì dal mercato per la sua tossicità. Sopra una maniglietta cromata che sovrastava la fessura di inserimento delle monete e sotto uno sportellino con chiusura a chiave. Finalmente avevamo una cosa tutta per noi, con una piccola chiave segreta. Majinàrse!
In verità la chiavetta finiva sempre nelle oculate mani della madre, mentre la musìna era destinata a troneggiare sopra il comò in attesa di eventuali riempimenti. C'era collegato anche un libretto al portatore, per versare in banca i proventi delle mancette; così diventavamo inconsciamente il parco clienti della banca. Ottima operazione di marketing ante litteram.
Quelle musìne erano di due colori: blu per i maschietti e rosse per le bambine; allora le cose erano più semplici e si ragionava ancora in codice binario. In ogni caso la distinzione era opportuna per non fare confusione con le sorelle, ma capitava anche che qualche fratello dovesse, a malincuore, accollarsi la musìna dele tose. Si sa, l’economia è meglio mantenerla distinta: fradéi, cortéi! 



2 commenti:

  1. Non mi sembra ti dessero in dotazione la chiavetta, in tarda età collezionando le musine me la son fatta dare da un cassiere. Si riusciva ad aprirla comunque tribolando con un fermaglio per fogli.

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    1. Ora che ci penso, penso tu abbia proprio ragione. La chiavetta non te la davano e i soldini della musina dovevi portarli in banca e andavano depositati sul libretto. Effettivamente era l'unico modo per far funzionare l'operazione. Grazie per la precisazione.

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