mercoledì 27 settembre 2017

Riflessioni

Qualche anno fa stavamo conversando con una signora ucraina, emigrata in Italia per lavoro, come tante sue connazionali, e si parlava del crollo del regime comunista e delle conseguenti ricadute nella società civile. Contrariamente a quanto mi sarei aspettato, mi disse che lei, pur non rimpiangendo il comunismo da un punto di vista ideologico, non considerava per niente un fatto positivo la fine dell’Unione Sovietica, tanto da rimpiangerne l’esistenza. Allora io, quasi offeso da una simile considerazione e pervaso da un sincero quanto ingenuo idealismo, buttai là con convinzione: “Però adesso avete la libertà!”. “Ma quale libertà”, riprese lei, “la libertà di non riuscire a vivere con uno stipendio medio, mentre prima ci si riusciva benissimo? La libertà di dovere abbandonare affetti, figli e famiglia per andare all’estero a fare le badanti? Potrà essere mai questa, la libertà?”. Aveva ragione, naturalmente. Nessun progresso morale o civile si può considerare tale se si accompagna ad un peggioramento delle condizioni di vita di una popolazione. Aggiungiamo pure che la democrazia non è merce da esportazione, come la coca cola, ma è un processo a volte lento, una conquista progressiva, un valore che richiede tempo per essere acquisito e fatto proprio da un popolo. Nelle repubbliche dell’Unione Sovietica, all’indomani del crollo di uno fra i più odiosi e feroci regimi di tutta la storia, non è sbocciata la democrazia, come ci si attendeva, ma è esploso il capitalismo, nella sua forma peggiore. Di fronte a quel vuoto di regole e di valori sono state le persone più intraprendenti (o meglio: le più disinvolte, opportuniste e senza scrupoli) ad emergere ed arricchirsi, conquistando ammirazione, consenso, potere. Si è diffusa l’ostentazione della ricchezza acquisita: non più le medaglie di regime, i nuovi status symbol erano orologi preziosi, vestiti firmati, occhiali alla moda, secondo gli stili dell’occidente. La ricchezza si è via via concentrata nelle mani di pochi, mentre la povertà si è allargata a fasce sempre più ampie di popolazione. La corruzione è dilagata, finendo per inquinare profondamente ogni settore pubblico. Si sono così formati gruppi di potere progressivamente sempre più forti che hanno portato a forme di governo oligarchiche, come possiamo amaramente constatare scorrendo la carta geografica di quei paesi. Quindi la gente comune, più che un nostalgico rimpianto per quello che è stato, vive un senso di smarrimento, dubbio e delusione per ciò che è diventato.
Per chi volesse approfondire consigliamo un libro molto valido, “Tempo di seconda mano”, della scrittrice ucraina Svetlana Aleksievic. E’ un libro/intervista che raccoglie le opinioni di cittadini russi (e di altri paesi ex sovietici)  sul passato regime comunista e sui nuovi governi succedutisi, con giudizi anche molto diversi a riguardo. Qualcuno racconta anche della propria esperienza di deportato nei gulag siberiani. Decenni di dura detenzione nelle zone più lontane e fredde della Siberia, senza nemmeno capire di cosa si era accusati; per poi scoprire, quando con la “glasnost” di Gorbaciov gli archivi saranno desegretati, che a denunciarli era stato il vicino di pianerottolo, magari solo per una semplice battuta pronunciata in pubblico e interpretata come ostile al regime. Riportiamo un breve passo proprio di un ex deportato che alla domanda su come abbia fatto a sopravvivere in quell’inferno risponde: “E’ perché sono stato molto amato quand’ero piccolo. La quantità d’amore che abbiamo ricevuto è la nostra riserva di forza. Solo l’amore può salvarci. L’amore è come una vitamina senza la quale l’essere umano non può vivere, il sangue si coagula e il cuore cessa di battere…”. 

Fra le tante forme di amore, questa non l’avevamo mai considerata.
(fonte: Biblioteca di Rotzo)


titolo: Tempo di seconda mano
autrice: Svetlana Aleksievic
In biblioteca, naturalmente.

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