A quei tempi là, privi di
pubblici divertimenti e dove scuola e chiesa erano delle costrizioni
non sempre piacevoli, esistevano delle Persone “diverse, rovérse”, si diceva... (vedi Trapùio, Gildo, Nane ciucia... ed altri) che
con il loro fare o il loro dire, sapevano interessare quei giovani
che cercavano qualcosa di differente che giocare “col sércio o con
le baléte”.
Ed
allora, per passare qualche ora divertente e che costava poco, si
recavano... dove?... "in te la botéga del Moro".
Chi
era Costui? Terzo figlio di una famiglia che sarà molto
numerosa, nacque nel primo decennio del 1900. Alla tenera età dei
suoi sei anni, nel 1915, scoppiò la prima guerra mondiale o ""LA GRANDE GUERRA" contro l'Austria. Gli abitanti di San Pietro, paese
di confine, quella mattina del 24 Maggio, non ebbero che tre ore di
tempo, sotto il sibilo delle bombe, amiche e nemiche, per abbandonare
i propri beni e le proprie case, caricare qualche straccio sul "caretélo" e scappare. Senza sapere dove sarebbero
andati a finire!
Possiamo
noi al giorno d'oggi, abituati all'agiatezza, immaginare soltanto le
grida dei bambini, il pianto delle madri, le bestemmie degli uomini.
Quanto
strazio, quanto dolore soffrirono nell'anima e nel corpo quei poveri
esseri, vagabondi lungo quelle strade dissestate e affollate già di
militari, di camion e mezzi bellici, privi di tutto, senza meta,
trattati e guardati come "Sìngani".
Dopo
tante peripezie, la famiglia composta già da cinque figli, giunse a
Lerino. In questo piccolo paesino, vicino a Torri di Quartesolo, vivevano delle
famiglie di parenti e qui lavorava, di nascosto, come casàro, uno
zio.
Aveva
dovuto fuggire dall'Austria dove era impiegato al Ministero del
Commercio, perchè italiano. Qui era ricercato per collaborazionismo
con il nemico. In questa località vissero più male che bene i primi
tre anni di guerra. Nel frattempo, ai cinque figli, se ne aggiunsero altri due. La madre, per quanto brava e
severa, con tutto il lavoro che doveva compiere nella giornata, non
poteva certo sorvegliare giorno e notte sette bambini da uno a dieci
anni. Tanto più, le dicevano, qui non è come a San Piero "pien
de sassi e de masiére, pien de pericoli, qua ze tuta pianura".
Il
più grande pericolo erano le "ròde", i "fossi" quando
andavano a pescare le anguille.
Ed
è saltando dentro un fosso che "el Moro", chiamato così per la
sua folta capigliatura nera, le folte sopracciglia scure e la sua
pelle bruciata dal sole, si punse con la punta "de un vecio
reticolato" (filo spinato), il piede sinistro. Non ne parlò a
nessuno! Quando se ne accorsero era troppo tardi: infezione, tetano, cancrena con conseguente amputazione, fino a sotto il ginocchio,
della gamba sinistra. Dottori, ospedali pieni di soldati feriti,
operazioni a non finire, dolori insopportabili, senza alcuna
medicina di sollievo, senza alcun antidolorifico.
Gli
atroci dolori erano tali che avrebbero ammazzato un cavallo, LUI
no!
Passò
da un Istituto all'altro. Finì a Venezia, dove fece saltuariamente qualche
studio. Alla sua morte, fu trovata in una valigia "segreta", dei
libri come La Divina Commedia, I Promessi Sposi, l'Iliade ed altre
opere.
Quando
rientrò a casa, dopo anni di dolori e sofferenze, come sola
medicina di sollievo "la tintura di iodio", alla sorpresa di tutto
il paese... camminava!!! Oh! Non certo bene, ma camminava... da solo.
Gli
avevano costruito una gamba completa con la scarpa. Lo scheletro in
ferro era imbottito di cuoio, con delle cinghie che si allacciavano
sulla coscia e ne assicuravano la stabilità. Anche se di un peso
rilevante, era una trovata d'avanguardia per quel tempo!
Se
ne servì, sempre la stessa gamba in ferro, per oltre
“settantacinque” anni!!! Tutti i giovedì pomeriggio, inverno,
estate, bello o brutto tempo, si recava, con una vecchia bicicletta
rifatta con pezzi di recupero, ad Arsiero, da Vicentini a
rifornirsi di cuoio. Ritornava a casa a tutte le ore della notte.
Nessuno sapeva dove passava le ore notturne. Indipendente!
Dopo
aver imparato il mestiere di calzolaio su dai "Toi" a S.
Sebastiano e passato qualche anno alle dipendenze da "Meneghéto"
si mise in proprio. Prese in affitto due anguste stanzette alla
Campagna, nella rotonda Stefani, con vista sulle scalette della
Pontara.
In
poco tempo questo poco spazio divenne il ritrovo di tutta la
gioventù bruciata dei dintorni. Vista la bonomia e la giovialità
del "Paròn"... anche dieci, dodici dìscoli si asserragliavano
attorno al banchetto di lavoro.
Si
discuteva e si sparlava a vanvera di tutto e di più. Gli
“intellettuali” si interessavano all'Intrepido, al Corriere dei
Piccoli, ed a tutti i "fumetti" che circolavano attorno. I
fanatici si interessavano alle varie squadre di calcio.
Lui
stesso fece parte, nel primo periodo, della direzione del "Valdastico".
Le
discussioni si trasformavano spesso in una vera guerriglia verbale.
I "criùri", le urla, si udivano "fin dò in tei prè
dell'Astego”!!!
Nel
momento di "métare la schedina della Sisal", silenzio di tomba.
Ognuno compilava la sua, di nascosto da occhi curiosi. Anche se in
realtà pochi
di loro aveva i mezzi per giocarla.
Il
più assiduo frequentatore del luogo era Renzo. Abitava a due passi.
Era
dotato di una intelligenza "superiore", era autididatta.
Sprigionava tutto
il suo sapere quando erano in pochi.
Ascoltava
volentieri i racconti a volte seri, a volte faceti, del Moro, perchè
si era accorto che aveva studiato ed aveva vissuto anni difficili e
crudeli.
Parlava
loro dei disastri della prima guerra mondiale a San Piero: del
difficile lavoro dei boscaioli nelle “condotte” nella Torra:
dell'incalcolabile numero di Emigrati del Paese sparsi per il mondo:
delle "anguane e dei salvanei"...
Come
quella volta che raccontò a lui ed ad i suoi amici dai Lucca, di un
suo zio, pure lui un "personaggio", che lavorando per il Comune
di Rotzo (San Piero
allora ne era una frazione), gli fu imposto di salire alla terza
Gioa ed attaccare con delle catene un campanile di roccia
pericolante.
---Ma
Moro... zelo vero??? ---
Beh... pagà, le sta pagà, a go visto le
boléte ---
--- Alòra
némo a védare ---
Come camosci si arrampicarono sù per le rocce, fino
alla cresta, visitando ogni angolo...
Nessuna traccia né dei resti
del campanile, né di catene, né di passaggio di essere umano.
--- "El ne la gà fata anca stavolta!!!"
E non fu
l'ultima...
Lino Bonifaci
Un ricordo del Moro
RispondiEliminaRiparava la camera d'aria dei palloni da calcio e poi li sapeva cucire cucire bene in modo che restavano rotondi senza rigonfiamenti.
Altra cosa che faceva prima di andare ad Arsiero passava sempre a ritirare le schedine compilate dell'Enalotto e Sisal che preparava il maestro Toldo e poi gliele giocava ad Arsiero
Ricordo bene il Moro che ogni giorno scendeva dai Lucca a piedi per recarsi al suo laboratorio e passando ci salutava dalla strada, era come un rito che segnava l'inizio della giornata!!!!!
RispondiEliminaE quando in bici pedalava a mezzo giro? E aveva scarponi che il suo passo si sentiva eccome quando passava.
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