giovedì 21 settembre 2017

Il campanile della terza Gioa




"El Moro scarpàro, in realtà semplice ciabattino, per i giovani era un Personaggio "extra-ordinario".
A quei tempi là, privi di pubblici divertimenti e dove scuola e chiesa erano delle costrizioni non sempre piacevoli, esistevano delle Persone “diverse, rovérse”, si diceva... (vedi Trapùio, Gildo, Nane ciucia... ed altri) che con il loro fare o il loro dire, sapevano interessare quei giovani che cercavano qualcosa di differente che giocare “col sércio o con le baléte”.

Ed allora, per passare qualche ora divertente e che costava poco, si recavano... dove?... "in te la botéga del Moro".

Chi era Costui? Terzo figlio di una famiglia che sarà molto numerosa, nacque nel primo decennio del 1900. Alla tenera età dei suoi sei anni, nel 1915, scoppiò la prima guerra mondiale o ""LA GRANDE GUERRA" contro l'Austria. Gli abitanti di San Pietro, paese di confine, quella mattina del 24 Maggio, non ebbero che tre ore di tempo, sotto il sibilo delle bombe, amiche e nemiche, per abbandonare i propri beni e le proprie case, caricare qualche straccio sul "caretélo" e scappare. Senza sapere dove sarebbero andati a finire!

Possiamo noi al giorno d'oggi, abituati all'agiatezza, immaginare soltanto le grida dei bambini, il pianto delle madri, le bestemmie degli uomini.

Quanto strazio, quanto dolore soffrirono nell'anima e nel corpo quei poveri esseri, vagabondi lungo quelle strade dissestate e affollate già di militari, di camion e mezzi bellici, privi di tutto, senza meta, trattati e guardati come "Sìngani".

Dopo tante peripezie, la famiglia composta già da cinque figli, giunse a Lerino. In questo piccolo paesino, vicino a Torri di Quartesolo, vivevano delle famiglie di parenti e qui lavorava, di nascosto, come casàro, uno zio.

Aveva dovuto fuggire dall'Austria dove era impiegato al Ministero del Commercio, perchè italiano. Qui era ricercato per collaborazionismo con il nemico. In questa località vissero più male che bene i primi tre anni di guerra. Nel frattempo, ai cinque figli, se ne aggiunsero altri due. La madre, per quanto brava e severa, con tutto il lavoro che doveva compiere nella giornata, non poteva certo sorvegliare giorno e notte sette bambini da uno a dieci anni. Tanto più, le dicevano, qui non è come a San Piero "pien de sassi e de masiére, pien de pericoli, qua ze tuta pianura". 
Il più grande pericolo erano le "ròde", i "fossi" quando andavano a pescare le anguille.

Ed è saltando dentro un fosso che "el Moro", chiamato così per la sua folta capigliatura nera, le folte sopracciglia scure e la sua pelle bruciata dal sole, si punse con la punta "de un vecio reticolato" (filo spinato), il piede sinistro. Non ne parlò a nessuno! Quando se ne accorsero era troppo tardi: infezione, tetano, cancrena con conseguente amputazione, fino a sotto il ginocchio, della gamba sinistra. Dottori, ospedali pieni di soldati feriti, operazioni a non finire, dolori insopportabili, senza alcuna medicina di sollievo, senza alcun antidolorifico.

Gli atroci dolori erano tali che avrebbero ammazzato un cavallo, LUI no!

Passò da un Istituto all'altro. Finì a Venezia, dove fece saltuariamente qualche studio. Alla sua morte, fu trovata in una valigia "segreta", dei libri come La Divina Commedia, I Promessi Sposi, l'Iliade ed altre opere.

Quando rientrò a casa, dopo anni di dolori e sofferenze, come sola medicina di sollievo "la tintura di iodio", alla sorpresa di tutto il paese... camminava!!! Oh! Non certo bene, ma camminava... da solo.

Gli avevano costruito una gamba completa con la scarpa. Lo scheletro in ferro era imbottito di cuoio, con delle cinghie che si allacciavano sulla coscia e ne assicuravano la stabilità. Anche se di un peso rilevante, era una trovata d'avanguardia per quel tempo!

Se ne servì, sempre la stessa gamba in ferro, per oltre “settantacinque” anni!!! Tutti i giovedì pomeriggio, inverno, estate, bello o brutto tempo, si recava, con una vecchia bicicletta rifatta con pezzi di recupero, ad Arsiero, da Vicentini a rifornirsi di cuoio. Ritornava a casa a tutte le ore della notte. Nessuno sapeva dove passava le ore notturne. Indipendente!

Dopo aver imparato il mestiere di calzolaio su dai "Toi" a S. Sebastiano e passato qualche anno alle dipendenze da "Meneghéto" si mise in proprio. Prese in affitto due anguste stanzette alla Campagna, nella rotonda Stefani, con vista sulle scalette della Pontara.

In poco tempo questo poco spazio divenne il ritrovo di tutta la gioventù bruciata dei dintorni. Vista la bonomia e la giovialità del "Paròn"... anche dieci, dodici dìscoli si asserragliavano attorno al banchetto di lavoro.

Si discuteva e si sparlava a vanvera di tutto e di più. Gli “intellettuali” si interessavano all'Intrepido, al Corriere dei Piccoli, ed a tutti i "fumetti" che circolavano attorno. I fanatici si interessavano alle varie squadre di calcio.

Lui stesso fece parte, nel primo periodo, della direzione del "Valdastico".

Le discussioni si trasformavano spesso in una vera guerriglia verbale.

I "criùri", le urla, si udivano "fin dò in tei prè dell'Astego”!!!

Nel momento di "métare la schedina della Sisal", silenzio di tomba. Ognuno compilava la sua, di nascosto da occhi curiosi. Anche se in realtà pochi di loro aveva i mezzi per giocarla.

Il più assiduo frequentatore del luogo era Renzo. Abitava a due passi.

Era dotato di una intelligenza "superiore", era autididatta. Sprigionava tutto il suo sapere quando erano in pochi.

Ascoltava volentieri i racconti a volte seri, a volte faceti, del Moro, perchè si era accorto che aveva studiato ed aveva vissuto anni difficili e crudeli.

Parlava loro dei disastri della prima guerra mondiale a San Piero: del difficile lavoro dei boscaioli nelle “condotte” nella Torra: dell'incalcolabile numero di Emigrati del Paese sparsi per il mondo: delle "anguane e dei salvanei"...

Come quella volta che raccontò a lui ed ad i suoi amici dai Lucca, di un suo zio, pure lui un "personaggio", che lavorando per il Comune di Rotzo (San Piero allora ne era una frazione), gli fu imposto di salire alla terza Gioa ed attaccare con delle catene un campanile di roccia pericolante.

---Ma Moro... zelo vero??? --- 
Beh... pagà, le sta pagà, a go visto le boléte ---

--- Alòra némo a védare --- 
Come camosci si arrampicarono sù per le rocce, fino alla cresta, visitando ogni angolo...
Nessuna traccia né dei resti del campanile, né di catene, né di passaggio di essere umano.
--- "El ne la gà fata anca stavolta!!!"
E non fu l'ultima...
Lino Bonifaci

3 commenti:

  1. Un ricordo del Moro
    Riparava la camera d'aria dei palloni da calcio e poi li sapeva cucire cucire bene in modo che restavano rotondi senza rigonfiamenti.
    Altra cosa che faceva prima di andare ad Arsiero passava sempre a ritirare le schedine compilate dell'Enalotto e Sisal che preparava il maestro Toldo e poi gliele giocava ad Arsiero

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  2. Ricordo bene il Moro che ogni giorno scendeva dai Lucca a piedi per recarsi al suo laboratorio e passando ci salutava dalla strada, era come un rito che segnava l'inizio della giornata!!!!!

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  3. E quando in bici pedalava a mezzo giro? E aveva scarponi che il suo passo si sentiva eccome quando passava.

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