Da sinistra: una parte della frana e la diga del Vajont.
Un punto, questo, facilmente riconoscibile. Appena usciti dalle gallerie si ergono infatti una chiesa e una casetta in legno: la baita Moliesa. É il punto informativo, polo di riferimento per chiunque intenda visitare il luogo della frana del monte Tóc e camminare lungo la sommità della diga.
Lo potete vedere cliccando QUI.
Chi invece raggiunge l’area dalla direzione di Pordenone, dovrà superare il centro di Erto, procedendo in direzione Longarone-Belluno e la zona industriale Fraséign e, dopo una leggera e breve discesa, si troverà a destinazione.
Questo luogo è un "cimitero a cielo aperto", sacro per molti aspetti. A tutti i visitatori perciò consigliamo sempre di tenere un comportamento rispettoso.
Info Point e visite guidate.
Durante l’orario estivo invece è aperto dalle 10:00 alle 18:00, solo sabato e domenica e durante le festività da calendario. Nel mese di agosto l’apertura è quotidiana.
Le visite lungo il coronamento sono possibili solo durante gli orari di apertura.
Alla casetta Moliesa si possono ottenere tutte le informazioni desiderate e acquistare opuscoli e libri per approfondire la storia della tragedia del Vajont. Se richiesto si riceveranno anche ragguagli sui sentieri, sui i luoghi di interesse naturale del territorio e indicazioni riguardanti dove mangiare e dormire in paese.
Inoltre si possono prenotare le visite guidate alla diga del Vajont.
La visita è caratterizzata da un percorso condotto da una guida preparata ed esperta diviso in due parti. Nella prima parte, davanti alla piccola chiesa, verrà proposta un’introduzione al disastro del Vajont, la seconda invece è la vera e propria camminata lungo la sommità della chiusa, accompagnati e informati dall’operatore. Si tratta di una strada lunga 190 metri, appositamente attrezzata e messa in sicurezza. Durante il percorso consigliamo di fare molta attenzione alle indicazioni delle guide, di procedere con cautela lungo il percorso scendendo e salendo le scalette con accortezza, senza allontanarsi mai dal gruppo. Questo permetterà agli operatori di tenere sotto controllo il gruppo. Se si dovesse rimanere isolati basterà dirigersi verso l’entrata principale. È caldamente sconsigliato l’utilizzo di calzature non comode e sono vietati i tacchi a spillo. Una buona parte del camminamento è composto da pavimenti in rete di acciaio fra le cui trame il tacco si potrebbe incastrare causando inciampi e cadute. Durante il percorso non si fuma, non si abbandonano rifiuti né si lanciano oggetti. Come ultima nota avvisiamo che il tour non è adatto a chi soffre di vertigini e crisi di panico.
Si possono scegliere due diverse tipologie di ispezioni:
- Ordinarie, effettuate dagli operatori turistici del Parco Naturale Dolomiti Friulane: la loro durata è di mezz’ora. Il costo è di 5 euro, sono ammessi gruppi fino a 40 persone e si susseguono ogni 30 minuti circa. Gli orari sono dalle 10:00 alle 17:00.
- Approfondite, organizzate dall’Associazione Guide Dolomiti Friulane: durano circa tre ore e forniscono una panoramica delle vicende e delle dinamiche del disastro del Vajont maggiormente dettagliata, anche sotto il profilo naturalistico; sono a numero chiuso e perciò è necessaria la prenotazione. Costano 10 euro, per bambini sotto i 14 anni e per i gruppi il prezzo è di 5 euro. Iniziano alle 10:00 del mattino e ne viene effettuata una al giorno.
Per ogni altra necessità telefonare al (+39) 0427 87333.
In ogni caso nell'area sono affissi cartelli indicanti i diversi programmi e orari in corso e quelli in arrivo.
Parcheggi.
Il parcheggio dell’info point (numero 2 sulla mappa) si trova proprio a ridosso del centro informativo e costa 2 euro l’ora.
Il posteggio della falesia (numero 4 sulla mappa), completamente gratuito ma assai piccolo. In tutte le stagioni è la piazzetta “ufficiale” delle auto e dei furgoni degli scalatori che vengono a cimentarsi sui difficili strapiombi di Erto, famosi in tutto il mondo. È attrezzato anche con servizi pubblici.
Il terzo (numero 5 sulla mappa), sempre a pagamento (2 euro l’ora) è molto ampio e può ospitare anche i camper. Da questo spiazzo si può apprezzare un’incredibile colpo d’occhio: la grande pancia dello sbarramento verso monte che si erge per 50 metri, una porzione della frana del Vajont e, sulla destra, la falesia di arrampicata.
La frana.
L’impatto dell’onda scatenò forze così devastanti da cambiare il volto dell’intera area su cui oggi sorge il punto informativo. Il desolante panorama non lasciava speranza. Quella che fino a poche ore prima era una ridente vallata in via di sviluppo, dopo il disastro del Vajont sembrava un deserto quasi lunare. Enormi crateri si aprivano in diversi punti. Erano causati dalle differenze di densità del terreno franato che andava via via assestandosi.
Angelica de Damiani, una ragazza di Erto, cuoca per gli operatori agli impianti, si salvò perché, poche ore prima, le era stato cambiato turno di lavoro. Al posto suo venne impiegata un’altra cuoca: Dolores. Da allora Angelica portò per tutta la vita un fazzoletto in testa appartenuto a Dolores, in senso di rispetto e in sua memoria.
Davanti allo sbarramento del Vajont si era formato un lago residuo che si prosciugò pochi mesi dopo la catastrofe e, da allora, a parte la vegetazione ricresciuta, il terreno è rimasto lo stesso, immutato. I visitatori guardano e seguono le storie raccontate dalle guide camminando sull’immenso distacco del monte Tóc.
Chiesetta e albero dei nomi.
Al suo interno si può ammirare un Cristo protettore intagliato dal virtuoso scultore bellunese Franco Fiabane, artista scomparso nel settembre 2015.
Nell'autunno del 1959 le parti architettoniche del precedente sacrario che si potevano riutilizzare per la costruzione di quello nuovo venenro staccate. Alcune di esse, come la statua del santo e la piccola campana, sono state sistemate nella chiesa di Casso.
La chiesetta originale, prima dell'invaso.
Stavano per iniziare i lavori quando la tragedia del 9 ottobre 1963 divorò tutto, comprese le parti recuperate.
Continuando a seguire la strada sterrata di fronte invece, si giunge a un piccolo slargo su cui è stata innalzata un'istallazione di funicelle tirate su un alto traliccio a cui sono affisse bandierine colorate. È l'albero dei nomi: ogni bandierina porta il nome di una delle 1910 vittime del disastro.
La stessa iniziativa, in forma diversa, è stata posta sulla staccionata del centro informazioni. Vi sono applicate tante bandierine quanti sono stati i bambini portati via dall'onda. 487 per l'esattezza, e ogni drappetto porta un nome e relativa età.
La chiesa nuova. In primo piano le
bandierine colorate deicati ai bimbi scomparsi durante il disastro.
Ognuna riporta i nomi e l'età.
Forse non tutti sanno che...
Nell’area, d’estate, il via vai automobilistico è continuo. Il traffico delle auto in entrata e in uscita dalle gallerie è regolato perciò da un semaforo della durata di sette minuti, calcolati per assicurare il senso unico alternato; un accorgimento forse noioso per l’automobilista di fretta ma che, di fatto, previene imbottigliamenti pericolosi di mezzi pesanti e automobili. Invitiamo tutti coloro che intendono incamminarsi nelle gallerie a fare attenzione alle auto in arrivo e di segnalarsi adeguatamente agli automobilisti con giubbotti rifrangenti, se possibile.
Seguendo la strada sterrata che porta all'albero dei nomi, si può accedere a un largo camminamento in discesa che, diventando a un certo punto un sentiero che taglia un boschetto assai intricato, raggiunge in pochi minuti il basamento a monte della diga del Vajont.
Raggiunto il fondovalle si può toccare con mano il cemento dell'imponente muratura, un'enorme schiena convessa alta cinquanta metri e lunga più di centonovanta. Questo punto, prima del disastro del Vajont, era sommerso dalle acque del lago.
In questo luogo lo sbarramento è raggiungibile perché la valle è stata riempita quasi interamente dalla frana. Per cercare di immaginare l'immensa quantità di materiale precipitato basterà sapere che la val Vajont qui scendeva per oltre duecento metri. Solo una piccola porzione della diga fuoriesce oggi.
L'impressionate vista dalle gallerie a sinistra e a destra una suggestiva immagine del doppio arco della diga.
Il Cristo opera dello scultore Franco Fiabane.
L'albero dei nomi
ertoecasso.it
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Dico la mia: la nuova chiesetta in cemento armato che richiama la diga, non mi sembra il massimo. Un po' di rispetto.
RispondiElimina... invece tanti hanno la memoria corta. A monte di Casotto i due soliti avevano proposto un lago artificiale, ricavandolo escavando ulteriori 700.000 metricubi di sabbia, per ripinguare le casse vuote del Comune di Pedemonte e soddisfare la voglia di guadagno del cavatore. Per fortuna la popolazione di Casotto ha manifestato parere contrario, ritenendolo troppo pericoloso per Casotto basso e per le altre contrade sottostanti.
RispondiEliminaChi si recherà a Erto, resterà estasiato dalla bellezza di questo paese. Da tutte queste case in sasso, con queste stradine che si intersecano, un'opera d'arte della civiltà rurale. Si può recarsi al bar "gallo cedrone", dove si respira l'aria antica delle vecchie osterie di una volta, o alla nuova, ma ristrutturata con gusto, enoteca, dove si può bere un buon bicchiere di vino accompagnato da un buon piatto di affettati. Però basta recarsi pochi metri più su per vedere lo scempio dell'uomo moderno. La ricostruzione del paese fatta quasi per la maggior parte in cemento, quasi o totalmente assente il legno, parte viva del vecchio paese.Ma il bello da vedere è il negozio di scultura del tanto declamato autore di tanti libri contro la modernizzazione, lo sfruttamento del suolo, ecc. che si trova in questi edifici cementati
RispondiEliminaHai ragione Frattone, beata la coerenza, ma sai per il Dio denaro questo e altro, basta che qualcuno compri i suoi libri
RispondiEliminaMa un po'di sano realismo, no??
RispondiEliminaEssere coerenti al 100% con le proprie idee è molto difficile, a maggior ragione quando si professa una strada difficile come il ritorno alla civiltà rurale.
Per me è sufficiente una coerenza "diciamo" al 90%, poi l'uomo è una bestia complessa, ed ognuno ha il proprio lato oscuro.