sabato 9 aprile 2016

Don Nostran

In questa scheda tratteremo del primo Rettore autoctono 
della  Parrocchia di San Pietro in Val d’Astico: 
Zuanmaria de ser Isepo de Lorenzi  
(Giovanni Maria di Giuseppe Lorenzi).


Correva l’anno 1580 e la parrocchia di San Pietro si trovava vacante e senza cura d’anime. Nel gelido sabato del 16 gennaio, nella chiesa parrocchiale di San Pietro  «in pertinentiis ville Rotii Septem Communium..», si riuniscono una ventina di capifamiglia per eleggere un sacerdote che reggesse la parrocchia e ne officiasse i riti.

Questa è un’assemblea meno solenne di quella che neanche due anni prima ratificò la fusione con Rotzo; si tratta di una vicinìa chiamata a dirimere una questione certamente importante, ma di ambito più circoscritto. Notiamo infatti che tra i convenuti ci sono capifamiglia che non erano presenti a quella precedente, mentre altri mancano.
Dal documento appare che all’epoca il piccolo centro, formatosi intorno all'antico ospizio, era già organizzato religiosamente e civilmente. Fino ad allora s’erano succeduti nella collazione del beneficio parrocchiale una serie di sacerdoti foresti (vedremo però in seguito in quale modo esercitassero il loro ministero), mentre ora sembra che non vi sia alcuno disposto a prendersi carico dell’amministrazione religiosa di questa piccola parrocchia situata sui termini settentrionali della diocesi di Padova, che aveva una modesta rendita e condizioni di vita sicuramente spartane.

A quel tempo la società era genericamente permeata dai principi cristiani, ma la loro istruzione, anche da parte dei prelati esponenti dall’aristocrazia e interessati più al governo secolare che alla pastorale, lasciava parecchio a desiderare. Figuriamoci dunque quale potesse essere la situazione della cura d’anime in territori marginali e poco appetibili come i nostri. Il mercimonio delle prebende ecclesiastiche imperava anche qui come altrove, con la conseguenza di lasciare spesso le piccole comunità periferiche sprovviste di assistenza ecclesiastica.
Proviamo allora ad immaginare come fosse organizzata la pastorale del nostro territorio all'epoca. Innanzitutto va considerato che il modello di sacerdote era ben diverso da quello delineato poi dal Concilio di Trento.
Fu infatti questo XIX Concilio Ecumenico, che durò dal 1545 al 1563, che pose le basi per una migliore selezione e istruzione dei preti diocesani, attraverso i seminari, l’introduzione del messale e del catechismo romano, del divieto di cumulare prebende, ecc. Venne stabilito l’obbligo di residenza e della tenuta dei registri parrocchiali e tutta una serie di prescrizioni volte ad assicurarne il rigore dottrinale e risollevare Chiesa Cattolica dallo stato di simonìa e corruzione in cui l’aveva trovata e giustamente biasimata la Riforma Luterana.

I libri di storia locale ci informano di come fossero un tempo diffusi sul nostro territorio i preti ultramontani (tedeschi, ma non solo), a significare che in tali paesi si parlasse il cimbro e che necessariamente il prete doveva darsi da intendere in quella lingua*. Vediamo di approfondire meglio questo fatto e di farne una lettura meno superficiale e deterministica: le collazioni (nomina del titolare del beneficio) delle parrocchie venivano allora effettuate dal Vescovo ad ecclesiastici che badavano più alle rendite dell’ufficio, fra l'altro cumulabili, che al loro ministero e che spesso subappaltavano la cura d’anime a  terzi o non se ne curavano affatto, lasciando a se stesse le comunità più povere e disagiate.
Né è prova eloquente lo stato della parrocchia di San Pietro precedente a questa assemblea. Il beneficio parrocchiale [Il Parroccato, che rendeva allora 80 ducati complessivi all'anno] era stato assegnato ad un tal don Giuseppe Fontana di Vicenza, il quale aveva l’aveva subappaltato a suo cugino don Giambattista Fontana per 10 ducati l’anno. Questo suo parente risiedeva anch'egli a Vicenza e aveva affidato l’incombenza ad un cappellano sessantenne di Canove, don Michele Sterchele*, che pagava con 16 stari di frumento, 6 mestéi di   vino e 13 matapan  (ducati d'argento) l’anno.

Il baldo cugino s'intascava così allegramente la differenza standosene in città.  Questa fu la situazione che trovò il Visitatore Vescovile Mons. Girolamo Vielmo; per non parlare della chiesa <desolata e in tristissime condizioni>. Al parroco titolare fu quindi imposto, sotto pena di scomunica, di risiedere a San Pietro o di mantenervi stabilmente un prete. Piuttosto che farlo, il sacerdote rinunciò all'incarico, dopo ben 20 anni di questo furbesco andazzo.
Il rettore successivo, tal  Francesco de’ Priorati di Vicenza percepiva 24 ducati, ma di sicuro neppure lui presidiava di persona l’ufficio ecclesiastico di San Pietro. Infatti la casa canonica è detta <rotta e desolata> nelle cronache del tempo.

I preti  germanofoni erano riuniti in consorterie e gestivano sul territorio una sorta di monopolio, passandosi fra loro i benefici delle parrocchie e tenendosi informati sul giro di prebende che vi gravitava. Questi erano sacerdoti girovaghi, dall’incerta preparazione dottrinale e a volte anche dai costumi discutibili e dalla dubbia ordinazione, ma avevano almeno il pregio di risiedere in loco accontentandosi delle rendite meno appetite dal clero diocesano. In tempi in cui la lingua ecclesiastica era il latino, le funzioni prevalentemente rituali e  dove il prete esercitava meno quel ruolo sociale che assunse dopo il Concilio di Trento, il fatto che egli parlasse la lingua locale e risiedesse in loco, era un aspetto che interessava assai poco il Vescovo che dispensava gli incarichi. Prova ne sono le accorate interpellanze rivolte alle curie da alcune parrocchie della montagna vicentina affinché considerassero anche questo aspetto. Restando a San Pietro, sono persuaso che ben pochi dei preti titolari del beneficio elencati nei libri di storia paesana prima del Concilio Tridentino abbia messo piede in parrocchia, se non per riscuoterne le rendite o in occasione di qualche, peraltro rara, visita vescovile; in alcuni casi documentati nemmeno in quella.

È dunque su una situazione di grave disagio ed emarginazione che i Nostri sono chiamati a decidere in questa riunione, della quale trascrivo letteralmente il verbale rispettandone la sintassi di redazione:
«Essendo che il beneficio et chiesa de S. Piero di Val d'Astego al presente si trovi vacante et senza curato, et desiderando li infrascritti homini habitatori di detto loco di  S. Piero di provvedersi di uno sacerdote e habia da officiare, in vita sua, in detta chiesa et haver cura di amministare al detto populo et regere et gubernare detta chiesia et populo como buoni cristiani timorosi del Signor si chiede, et considerata la buona vita et costumi del prudente et religioso giovane mess.  Zuanmaria fiolo de ser I.po de Lorenzi, del detto loco de S. Piero, il quale desidera de farsi sacerdote, et havendo havuto anco li ordini quattro minori. Et havendo vuto piú volte ragionamento con detto Zuanmaria et con il detto suo padre circa le cose predette..., Zuanmaria et padre hanno promesso alli tutti homini che, quando esso Zuane potesse ottenire il beneficio predeto, saria buon rector et governatore et faria con ogni diligentia l'officio di buono et religioso sacerdote; non solamente in tenire regulata la detta eclesia et sue intrade...».

Approvano all’unanimità la scelta di Zuanmaria i seguenti capifamiglia di San Pietro:
«Lunardo q. Facin de Lorenzi, ser Marco q. Antonio dalla Costa, Francesco q. Baptista janexin, Zuane q. Barth. de Janexin et Zulian suo fratello, Francesco q. Zuane de Lorenzi, Zuanmaria q. Francesco Spagnolo, ser Baptista q. Cristoforo de Toldo, Toldo q. Lunardo de Toldo, Zuanmaria q. Cristoforo de Toldo, Girolamo q. Stefano de Gavexena, Antonio q. Baptista de Janexin et Piero suo fratello, Zuane q. Luca de Toldo, Baptista q. Barth. de Janexin, Domenego Lorenzo de Facin, Bernardo q. Zuanpaulo dalla Fontana, Lunardo q. Baptista de Facin et Baptista q. Mattio della Campagna».
Tutti i suddetti uomini:
«padri di famiglia, sustinenti li cargi et facion con detto colonello et facendo per sé et heredi suoi et per nome del colonello (di S. Pietro), 'de uno animo hanno laudato,.,»

Notiamo che la sensazione di abbandono è talmente grave che questi uomini investono un chierico studente di appena 19 anni, che è professo ma non ancora sacerdote, affinché prometta di prendersi cura della parrocchia con dedizione ed onestà, chiamando a garantire il patto con i suoi compaesani pure suo padre Isepo, dato che Zuanmaria è ancora minorenne per la legge d’allora. Si riferiscono ad accordi precedentemente avuti con il giovane e suo padre circa l'argomento: «Et havendo vuto piú volte ragionamento con detto Zuanmaria et con il detto suo padre circa le cose predette,.,», a significare quanto stesse loro a cuore che fossero ben comprese ed interpretate le ragioni del "contratto" che stanno stipulando con il ragazzo e quante attese riponesse in lui la comunità tutta.

I Sanpieresi stanno infatti facendo un investimento sul loro futuro, appoggiandosi ad una famiglia di riguardo del paese (Isepo de’ Lorenzi è chiamato appunto “ser”) affinché un suo giovane esponente si faccia carico di una esigenza comunitaria sentita come irrinunciabile.
Si nota qui un primo riflesso delle nuove costituzioni del Concilio di Trento, terminato nel 1563, ma che comincerà ad aver effetti solo dal secolo successivo e che tanta parte ebbe nel rinnovamento della Chiesa Cattolica, sferzata a sangue dalla Riforma Protestante.
Fu anche per il pericolo della diffusione della Riforma che i Vescovi serrarono i ranghi e incoraggiarono l'adeguata formazione di un clero locale, sospettando che i chierici stranieri ne potessero essere tramite.
Zuanmaria venne in seguito ordinato sacerdote, assumendo il rettorato della parrocchia solo tre anni più tardi, nel 1583. Del suo parroccato, durato 17 anni,  sappiamo purtroppo poco, ma sicuramente tenne fede al suo impegno e dette lustro alla sua terra, alla sua famiglia e al suo ministero. Riuscì infatti a realizzare quello che a nessuno dei suoi predecessori fu possibile o forse passò mai per la mente, ovvero costruire una nuova chiesa dopo oltre seicento anni (La seconda Chiesa, del 1585). Qualche anno più tardi e certamente su suo impulso, venne ordinato sacerdote un altro chierico locale, Lunardo Toldo, che nel 1596 fu eletto parroco di Brancafora*.

Fu verosimilmente il corale appoggio della comunità che gli consentì di portare a termine l'edificazione della nuova chiesa, che per il paese dovette essere un evento di assoluto impegno e novita.
La chiesa precedente, che pare fosse ancora quella originaria, aveva l’abside rivolto a levante e con l’aspetto di una modesta cappella in stile romanico a due anditi. Dovette essere una costruzione  assai spartana e angusta, avendo una superficie al piano terra di soli 32 mq per un'altezza di appena due metri ed era detta priva di pavimento, con il fondo in terra battuta (batù o somasso). Disponeva stranamente anche di una cappella superiore, sostenuta da un pavimento a volto poggiante su tre colonne, probabile lascito della sua originaria funzione ospitaliera o forse, più tardivamente, monasteriale.

Zuanmaria Lorenzi costruì un tempio più grande, ma sempre con il coro rivolto ad est all’uso antico, che durò per i successivi due secoli. Inizialmente non era dotato di campanile, ma di un'edicola sulla sommità della facciata che conteneva tre piccole campane. Anche gli altari laterali, le decorazioni e gli arredi liturgici vennero poi aggiunti gradualmente secondo le possibilità della comunità.

Ci volle poi un altro prete locale, don Bartolomeo Gianesini, che dovette essere un tipo dai modi spicci ed energici, per riuscire addirittura a girare l'orientamento della chiesa portandone l'ingresso verso il paese: era il 1790 e si trattava della terza chiesa.

Per la quarta e attuale bisognerà invece aspettare il primo dopoguerra e un altro prete senza paura, don Antonio Fontana di Zugliano; foresto questi, ma che lasciò il segno.
Gianni Spagnolo
II-IV-MMXVI

* Il cappellano da Canove del 1563, parlava sicuramente il cimbro, come pure il suo collega da Lusiana o il Raus da Vallarsa e altri che officiarono a San Pietro nel tempo come supplenti dei rettori titolari indicati negli archivi diocesani. I cugini sacerdoti Fontana o don de' Priorati da Vicenza certamente non ciauscavano affatto, ma a quanto pare nemmeno bramavano di dialogare con il gregge loro affidato. Questo per dire che certe deduzioni semplicistiche che spesso sono state tratte e scritte basandosi su un'interpretazione frettolosa degli elenchi curiali, andrebbero forse meglio motivate. [n.d.r.]

Bibliografia:
  • San Pietro Valdastico  - Storia del paese - Don Giovanni Toldo - 1936;
  • Valdastico Ieri e Oggi - Mons. Antonio Toldo - Ed. La Galaverna - 1984;
  • Gaetano Maccà - Storia del Territorio Vicentino (Tomo XIV) - 1816 - G.B. Menegatti;
  • Archivio Storico Diocesano di  Padova;
  • Illustrazioni e foto non diversamente specificate  sono tratte da Google Immagini.

12 commenti:

  1. Grazie Gianni per questa pagine di grande interesse storico e culturale.
    Hai fatto un lavoro straordinario di ricerca, che denota un grande amore
    per la tua valle, la tua gente, la tua famiglia. Ed hai doti di brillante scrittore.
    Spero che un giorno vedremo pubblicate le tue ricerche e le tue riflessioni.

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  2. Davvero molto interessante questo spaccato di vita antica che mostra aspetti che non conoscevo del nostro paese. Io non avevo mai letto di questa antica assemblea che non mi pare di averla letta nei libri di storia di don Giovanni e don Antonio che erano anche preti.

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    1. Grazie, sono argomenti che penso interessino pochi, ma fa comunque piacere che alcuni apprezzino il tentativo di appropriarci un po’ più approfonditamente della nostra storia. I fratelli Toldo fecero, a distanza di quasi mezzo secolo fra di loro, un’opera preziosa ed encomiabile per il paese, fissandone le memorie con i mezzi allora a disposizione. In quanto sacerdoti, avevano probabilmente più dimestichezza con gli archivi curiali diocesani, dove le informazioni sono piuttosto schematiche e catalogate per parrocchie, rispetto ad altre fonti, come gli archivi notarili, dove bisogna vagliare una gran numero di documenti, spesso inutili, e incrociarne i dati. Il verbale di questa vicinìa, pur trattando di un argomento ecclesiastico, non è stato registrato in Curia, ma fra i residui atti civili del tempo.

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  3. Complimenti per questo scritto molto interessante.Bravissimo!

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  4. Andaloche, Giani, .. che stomegada! Co go leto el titolo suito a pensavo che te me ghissi dedicà un post.

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    1. Purtroppamente no caro Don, ma non mi pareva che fossi troppo nostrano, ti facevo da qualche baito su per la DxA. Poi non saprei come impostarlo; magari potresti proporcelo tu da Te Medesimo Stesso, che ne dici?

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    2. Ostregheta , che se possa ancora dire che non ghe xe pi i preti dena volta. Bravo Gianni per la scrupolosa ricerca.

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    3. Elora? .... Con tuto el to spirito ecumenico valivo, no te considererè mia foresto uno solo parché no l'è nato al'ombra del sojo, vero? Da MMS pò no fasso proprio gnente, a si valtri ca ghi da onrarme comesideve.

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    4. Occhei, Don, touché! Per il post però devi darci qualche informazione su di te, devi abbassare un po' la mascherina...

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  5. bravissimo Gianni e ancora grazie per questo sapere che metti a disposizione di tutti

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  6. Sarebbe interessante sapere quale seminario vescovile ha frequentato Don Sponcio.

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    1. Oh, mio caro discepolo, quale rovellante curiosità ti tormenta... Purtuttaviamente, giacché t’interessi del vecchio e povero Don, posso darti qualche indizio per illuminare la tua notte: fu nelle avite terre del nobiluomo Alidosio che dei pennivendoli lariani fissarono la loro augusta dimora, che indi passò ad albioniche dame per poi ospitare un pivellissimo e disorientato sponcino. Ivi trascorse il tapino alcuni anni di studio matto, disperatissimo e, ahinoi, improduttivissimo al precipuo scopo che colà lo condusse.

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