In questa scheda tratteremo del primo Rettore autoctono
della Parrocchia di San Pietro in Val d’Astico:
della Parrocchia di San Pietro in Val d’Astico:
Zuanmaria de ser Isepo de Lorenzi
(Giovanni Maria di Giuseppe Lorenzi).
(Giovanni Maria di Giuseppe Lorenzi).
Correva l’anno 1580 e la parrocchia di San Pietro si trovava vacante e senza cura d’anime. Nel gelido sabato del 16 gennaio, nella chiesa parrocchiale di San Pietro «in pertinentiis ville Rotii Septem Communium..», si riuniscono una ventina di capifamiglia per eleggere un sacerdote che reggesse la parrocchia e ne officiasse i riti.
Questa è un’assemblea meno solenne di quella che neanche due anni prima
ratificò la fusione con Rotzo; si tratta di una vicinìa chiamata a dirimere una
questione certamente importante, ma di ambito più circoscritto. Notiamo infatti
che tra i convenuti ci sono capifamiglia che non erano presenti a quella
precedente, mentre altri mancano.
Dal documento appare che all’epoca il piccolo centro, formatosi intorno
all'antico ospizio, era già organizzato religiosamente e civilmente. Fino ad
allora s’erano succeduti nella collazione del beneficio parrocchiale una serie
di sacerdoti foresti (vedremo però in seguito in quale modo esercitassero il
loro ministero), mentre ora sembra che non vi sia alcuno disposto a prendersi
carico dell’amministrazione religiosa di questa piccola parrocchia situata sui
termini settentrionali della diocesi di Padova, che aveva una modesta rendita e
condizioni di vita sicuramente spartane.
A quel tempo la società era genericamente permeata dai principi
cristiani, ma la loro istruzione, anche da parte dei prelati esponenti
dall’aristocrazia e interessati più al governo secolare che alla pastorale,
lasciava parecchio a desiderare. Figuriamoci dunque quale potesse essere la
situazione della cura d’anime in territori marginali e poco appetibili come i
nostri. Il mercimonio delle prebende ecclesiastiche imperava anche qui come
altrove, con la conseguenza di lasciare spesso le piccole comunità periferiche
sprovviste di assistenza ecclesiastica.
Proviamo allora ad immaginare come fosse organizzata la pastorale del
nostro territorio all'epoca. Innanzitutto va considerato che il modello di
sacerdote era ben diverso da quello delineato poi dal Concilio di Trento.
Fu infatti questo XIX Concilio Ecumenico, che durò dal 1545 al 1563, che
pose le basi per una migliore selezione e istruzione dei preti diocesani,
attraverso i seminari, l’introduzione del messale e del catechismo romano, del
divieto di cumulare prebende, ecc. Venne stabilito l’obbligo di residenza e
della tenuta dei registri parrocchiali e tutta una serie di prescrizioni volte
ad assicurarne il rigore dottrinale e risollevare Chiesa Cattolica dallo stato
di simonìa e corruzione in cui l’aveva trovata e giustamente biasimata la Riforma
Luterana.
I libri di storia locale ci informano di come fossero un tempo diffusi
sul nostro territorio i preti ultramontani (tedeschi, ma non solo), a
significare che in tali paesi si parlasse il cimbro e che necessariamente il
prete doveva darsi da intendere in quella lingua*. Vediamo di approfondire
meglio questo fatto e di farne una lettura meno superficiale e
deterministica: le collazioni (nomina del titolare del beneficio) delle parrocchie venivano allora effettuate dal
Vescovo ad ecclesiastici che badavano più alle rendite dell’ufficio, fra
l'altro cumulabili, che al loro ministero e che spesso subappaltavano la cura
d’anime a terzi o non se ne curavano
affatto, lasciando a se stesse le comunità più povere e disagiate.
Né è prova eloquente lo stato della parrocchia di San Pietro precedente
a questa assemblea. Il beneficio parrocchiale [Il Parroccato, che rendeva
allora 80 ducati complessivi all'anno] era stato assegnato ad un tal don
Giuseppe Fontana di Vicenza, il quale aveva l’aveva subappaltato a suo cugino
don Giambattista Fontana per 10 ducati l’anno. Questo suo parente risiedeva
anch'egli a Vicenza e aveva affidato l’incombenza ad un cappellano sessantenne
di Canove, don Michele Sterchele*, che pagava con 16 stari di frumento, 6
mestéi di vino e 13 matapan (ducati d'argento) l’anno.
Il baldo cugino s'intascava così allegramente la differenza standosene
in città. Questa fu la situazione che
trovò il Visitatore Vescovile Mons. Girolamo Vielmo; per non parlare della
chiesa <desolata e in tristissime condizioni>. Al parroco titolare fu quindi
imposto, sotto pena di scomunica, di risiedere a San Pietro o di mantenervi
stabilmente un prete. Piuttosto che farlo, il sacerdote rinunciò
all'incarico, dopo ben 20 anni di questo furbesco andazzo.
Il rettore successivo, tal
Francesco de’ Priorati di Vicenza percepiva 24 ducati, ma di sicuro
neppure lui presidiava di persona l’ufficio ecclesiastico di San Pietro.
Infatti la casa canonica è detta <rotta e desolata> nelle cronache del
tempo.
I preti germanofoni erano riuniti
in consorterie e gestivano sul territorio una sorta di monopolio, passandosi
fra loro i benefici delle parrocchie e tenendosi informati sul giro di prebende
che vi gravitava. Questi erano sacerdoti girovaghi, dall’incerta preparazione
dottrinale e a volte anche dai costumi discutibili e dalla dubbia ordinazione,
ma avevano almeno il pregio di risiedere in loco accontentandosi delle rendite
meno appetite dal clero diocesano. In tempi in cui la lingua ecclesiastica era
il latino, le funzioni prevalentemente rituali e dove il prete esercitava meno quel ruolo
sociale che assunse dopo il Concilio di Trento, il fatto che egli parlasse la
lingua locale e risiedesse in loco, era un aspetto che interessava assai poco
il Vescovo che dispensava gli incarichi. Prova ne sono le accorate
interpellanze rivolte alle curie da alcune parrocchie della montagna vicentina
affinché considerassero anche questo aspetto. Restando a San Pietro, sono
persuaso che ben pochi dei preti titolari del beneficio elencati nei libri di
storia paesana prima del Concilio Tridentino abbia messo piede in parrocchia,
se non per riscuoterne le rendite o in occasione di qualche, peraltro rara,
visita vescovile; in alcuni casi documentati nemmeno in quella.
È dunque su una situazione di grave disagio ed emarginazione che i
Nostri sono chiamati a decidere in questa riunione, della quale trascrivo
letteralmente il verbale rispettandone la sintassi di redazione:
«Essendo che il beneficio et chiesa de S. Piero di Val d'Astego al
presente si trovi vacante et senza curato, et desiderando li infrascritti
homini habitatori di detto loco di S.
Piero di provvedersi di uno sacerdote e habia da officiare, in vita sua, in
detta chiesa et haver cura di amministare al detto populo et regere et
gubernare detta chiesia et populo como buoni cristiani timorosi del Signor si
chiede, et considerata la buona vita et costumi del prudente et religioso
giovane mess. Zuanmaria fiolo de ser I.po de Lorenzi, del detto loco de S. Piero, il quale desidera de farsi
sacerdote, et havendo havuto anco li ordini quattro minori. Et havendo vuto piú
volte ragionamento con detto Zuanmaria et con il detto suo padre circa le cose
predette..., Zuanmaria et padre hanno promesso alli tutti homini che, quando
esso Zuane potesse ottenire il beneficio predeto, saria buon rector et
governatore et faria con ogni diligentia l'officio di buono et religioso
sacerdote; non solamente in tenire regulata la detta eclesia et sue intrade...».
Approvano all’unanimità la scelta di Zuanmaria i seguenti
capifamiglia di San Pietro:
«Lunardo q. Facin de Lorenzi, ser Marco q. Antonio dalla Costa,
Francesco q. Baptista janexin, Zuane q. Barth. de Janexin et Zulian suo
fratello, Francesco q. Zuane de Lorenzi, Zuanmaria q. Francesco Spagnolo, ser
Baptista q. Cristoforo de Toldo, Toldo q. Lunardo de Toldo, Zuanmaria q.
Cristoforo de Toldo, Girolamo q. Stefano de Gavexena, Antonio q. Baptista de
Janexin et Piero suo fratello, Zuane q. Luca de Toldo, Baptista q. Barth. de
Janexin, Domenego Lorenzo de Facin, Bernardo q. Zuanpaulo dalla Fontana,
Lunardo q. Baptista de Facin et Baptista q. Mattio della Campagna».
Tutti i suddetti uomini:
«padri di famiglia, sustinenti li cargi et facion con detto colonello et
facendo per sé et heredi suoi et per nome del colonello (di S. Pietro), 'de uno
animo hanno laudato,.,»
Notiamo che la sensazione di abbandono è talmente grave che questi
uomini investono un chierico studente di appena 19 anni, che è professo ma non
ancora sacerdote, affinché prometta di prendersi cura della parrocchia con
dedizione ed onestà, chiamando a garantire il patto con i suoi compaesani pure
suo padre Isepo, dato che Zuanmaria è ancora minorenne per la legge d’allora. Si riferiscono ad accordi precedentemente avuti con il giovane e suo padre circa l'argomento: «Et havendo vuto piú volte ragionamento con detto Zuanmaria et con il detto suo padre circa le cose predette,.,», a significare quanto stesse loro a cuore che fossero ben comprese ed interpretate le ragioni del "contratto" che stanno stipulando con il ragazzo e quante attese riponesse in lui la comunità tutta.
I Sanpieresi stanno infatti facendo un investimento sul loro futuro,
appoggiandosi ad una famiglia di riguardo del paese (Isepo de’ Lorenzi è
chiamato appunto “ser”) affinché un suo giovane esponente si faccia carico di
una esigenza comunitaria sentita come irrinunciabile.
Si nota qui un primo riflesso delle nuove costituzioni del Concilio di
Trento, terminato nel 1563, ma che comincerà ad aver effetti solo dal secolo
successivo e che tanta parte ebbe nel rinnovamento della Chiesa Cattolica,
sferzata a sangue dalla Riforma Protestante.
Fu anche per il pericolo della diffusione della Riforma che i Vescovi
serrarono i ranghi e incoraggiarono l'adeguata formazione di un clero locale,
sospettando che i chierici stranieri ne potessero essere tramite.
Zuanmaria venne in seguito ordinato sacerdote, assumendo il rettorato
della parrocchia solo tre anni più tardi, nel 1583. Del suo parroccato, durato
17 anni, sappiamo purtroppo poco, ma
sicuramente tenne fede al suo impegno e dette lustro alla sua terra, alla sua
famiglia e al suo ministero. Riuscì infatti a realizzare quello che a nessuno
dei suoi predecessori fu possibile o forse passò mai per la mente, ovvero
costruire una nuova chiesa dopo oltre seicento anni (La seconda Chiesa, del
1585). Qualche anno più tardi e certamente su suo impulso, venne ordinato sacerdote
un altro chierico locale, Lunardo Toldo, che nel 1596 fu eletto parroco di
Brancafora*.
Fu verosimilmente il corale appoggio della comunità che gli consentì di
portare a termine l'edificazione della nuova chiesa, che per il paese dovette essere un evento di assoluto impegno e novita.
La chiesa precedente, che pare fosse ancora quella originaria, aveva
l’abside rivolto a levante e con l’aspetto di una modesta cappella in stile
romanico a due anditi. Dovette essere una costruzione assai spartana e angusta, avendo una
superficie al piano terra di soli 32 mq per un'altezza di appena due metri ed
era detta priva di pavimento, con il fondo in terra battuta (batù o somasso).
Disponeva stranamente anche di una cappella superiore, sostenuta da un pavimento
a volto poggiante su tre colonne, probabile lascito della sua originaria
funzione ospitaliera o forse, più tardivamente, monasteriale.
Zuanmaria Lorenzi costruì un tempio più grande, ma sempre con il coro
rivolto ad est all’uso antico, che durò per i successivi due secoli.
Inizialmente non era dotato di campanile, ma di un'edicola sulla sommità della
facciata che conteneva tre piccole campane. Anche gli altari laterali, le
decorazioni e gli arredi liturgici vennero poi aggiunti gradualmente secondo le possibilità
della comunità.
Ci volle poi un altro prete locale, don Bartolomeo Gianesini, che dovette essere un tipo
dai modi spicci ed energici, per riuscire addirittura a girare l'orientamento
della chiesa portandone l'ingresso verso il paese: era il 1790 e si trattava della
terza chiesa.
Per la quarta e attuale bisognerà invece aspettare il primo dopoguerra e
un altro prete senza paura, don Antonio Fontana di Zugliano; foresto questi, ma
che lasciò il segno.
Gianni Spagnolo
II-IV-MMXVI
* Il cappellano da Canove del 1563, parlava sicuramente il cimbro, come
pure il suo collega da Lusiana o il Raus da Vallarsa e altri che officiarono a
San Pietro nel tempo come supplenti dei rettori titolari indicati negli archivi
diocesani. I cugini sacerdoti Fontana o don de' Priorati da Vicenza certamente
non ciauscavano affatto, ma a quanto pare nemmeno bramavano di dialogare con il gregge loro affidato. Questo per dire che certe deduzioni
semplicistiche che spesso sono state tratte e scritte basandosi su
un'interpretazione frettolosa degli elenchi curiali, andrebbero forse meglio motivate. [n.d.r.]
Bibliografia:
- San Pietro Valdastico - Storia del paese - Don Giovanni Toldo - 1936;
- Valdastico Ieri e Oggi - Mons. Antonio Toldo - Ed. La Galaverna - 1984;
- Gaetano Maccà - Storia del Territorio Vicentino (Tomo XIV) - 1816 - G.B. Menegatti;
- Archivio Storico Diocesano di Padova;
- Illustrazioni e foto non diversamente specificate sono tratte da Google Immagini.
Grazie Gianni per questa pagine di grande interesse storico e culturale.
RispondiEliminaHai fatto un lavoro straordinario di ricerca, che denota un grande amore
per la tua valle, la tua gente, la tua famiglia. Ed hai doti di brillante scrittore.
Spero che un giorno vedremo pubblicate le tue ricerche e le tue riflessioni.
Davvero molto interessante questo spaccato di vita antica che mostra aspetti che non conoscevo del nostro paese. Io non avevo mai letto di questa antica assemblea che non mi pare di averla letta nei libri di storia di don Giovanni e don Antonio che erano anche preti.
RispondiEliminaGrazie, sono argomenti che penso interessino pochi, ma fa comunque piacere che alcuni apprezzino il tentativo di appropriarci un po’ più approfonditamente della nostra storia. I fratelli Toldo fecero, a distanza di quasi mezzo secolo fra di loro, un’opera preziosa ed encomiabile per il paese, fissandone le memorie con i mezzi allora a disposizione. In quanto sacerdoti, avevano probabilmente più dimestichezza con gli archivi curiali diocesani, dove le informazioni sono piuttosto schematiche e catalogate per parrocchie, rispetto ad altre fonti, come gli archivi notarili, dove bisogna vagliare una gran numero di documenti, spesso inutili, e incrociarne i dati. Il verbale di questa vicinìa, pur trattando di un argomento ecclesiastico, non è stato registrato in Curia, ma fra i residui atti civili del tempo.
EliminaComplimenti per questo scritto molto interessante.Bravissimo!
RispondiEliminaAndaloche, Giani, .. che stomegada! Co go leto el titolo suito a pensavo che te me ghissi dedicà un post.
RispondiEliminaPurtroppamente no caro Don, ma non mi pareva che fossi troppo nostrano, ti facevo da qualche baito su per la DxA. Poi non saprei come impostarlo; magari potresti proporcelo tu da Te Medesimo Stesso, che ne dici?
EliminaOstregheta , che se possa ancora dire che non ghe xe pi i preti dena volta. Bravo Gianni per la scrupolosa ricerca.
EliminaElora? .... Con tuto el to spirito ecumenico valivo, no te considererè mia foresto uno solo parché no l'è nato al'ombra del sojo, vero? Da MMS pò no fasso proprio gnente, a si valtri ca ghi da onrarme comesideve.
EliminaOcchei, Don, touché! Per il post però devi darci qualche informazione su di te, devi abbassare un po' la mascherina...
Eliminabravissimo Gianni e ancora grazie per questo sapere che metti a disposizione di tutti
RispondiEliminaSarebbe interessante sapere quale seminario vescovile ha frequentato Don Sponcio.
RispondiEliminaOh, mio caro discepolo, quale rovellante curiosità ti tormenta... Purtuttaviamente, giacché t’interessi del vecchio e povero Don, posso darti qualche indizio per illuminare la tua notte: fu nelle avite terre del nobiluomo Alidosio che dei pennivendoli lariani fissarono la loro augusta dimora, che indi passò ad albioniche dame per poi ospitare un pivellissimo e disorientato sponcino. Ivi trascorse il tapino alcuni anni di studio matto, disperatissimo e, ahinoi, improduttivissimo al precipuo scopo che colà lo condusse.
Elimina