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aprile 2016 il sole 24 ore
I duemila dipendenti della Chobani,la fabbrica dello yogurt che va
per la maggiore a New York, sono entrati ieri come tutti i giorni al
lavoro e qualche ora dopo ne sono usciti trasformati in milionari. Il
loro datore di lavoro, l’immigrato curdo Hamdi Ulukaya,
ha deciso di restituire a loro, in buona parte scelti nelle fila dei
migranti senza lavoro, parte della ricchezza che ha costruito in dieci
anni: ieri li ha convocati per annunciargli che gli regalava il dieci
per cento della sua creatura, la Chobani.
Dopo aver realizzato che non si trattava di un sogno, ciascuno dei dipendenti deve aver fatto due rapidi conti: la società vende yogurt per la bellezza di 1,6 miliardi di dollari l’anno e ha una valutazione che oscilla tra i 3 e i 5 miliardi di dollari. Il che vuol dire che ognuno di loro si è ritrovato di colpo in mano un valore pari a 150.000 dollari, nella stima più prudenziale. Che però potrebbero diventare 250.000 secondo la valutazione più alta, ma anche lievitare fino a un miliardo nel caso in cui, come è già nelle intenzioni, la società fosse quotata a Wall Street.
«Il mio sogno di una vita è diventato realtà: condividere Chobani con
le 2mila persone che hanno contribuito a crearla», ha affermato Ulukaya
su Twitter. E ai suoi dipendenti ha spiegato: «Non si tratta di un
dono. È una mutua promessa di lavorare insieme
per uno scopo e con una responsabilità comuni. Per proseguire a creare
qualcosa di speciale e con un valore duraturo».
Nel ’94 il 23enne Ulukaya era sbarcato a New York, stufo di vivere da pastore sulle montagne della Turchia orientale, scoprendo ben presto che non era semplice per un immigrato costruirsi una vita. E per di più il formaggio e lo yogurt americani non avevano alcun sapore. Iniziò a sbarcare il lunario importando feta prodotta dalla sua famiglia a un distributore armeno, per poi avviare una piccola produzione locale per la quale arrivava a lavorare tutta la notte.
La svolta arrivò nel 2005 quando si trovò per sbaglio nella casella una mail di un’agenzia immobiliare che avvisava della vendita di un impianto di produzione di yogurt dismesso dalla Kraft, vicino a New Berlin, nella parte centrale dello stato di New York. Memore di quando faceva lo yogurt con il latte delle sue pecore, si lanciò nell’avventura grazie a un prestito da 800mila dollari della Small Business Administration.
Ci vollero due anni per mettere a punto la giusta cremosità e un gusto equilibrato dando vita al marchio Chobani, derivato dal termine turco che indica il gregge. Lo yogurt andava a ruba negli store di New York e in cinque anni l’azienda raggiunse il miliardo di fatturato.
Senza dimenticare le sue origini Ulukaya amava scegliere i suoi dipendenti tra gli immigrati senza lavoro, quelli che per la sua stessa esperienza mostravano maggior dedizione e senso del riscatto. Oggi li ha ricompensati a dovere.
I maligni sostengono che la decisione del giovane imprenditore curdo abbia un’altra origine. L’annuncio è arrivato poco prima che Tpg Capital, che aveva garantito il prestito iniziale, riscattasse una quota del 20% del suo capitale. Questa quota sarà ora calcolata sul 90%, diluito dopo l’ingresso dei dipendenti, riducendo il potere di Tpg. Ma già prima Ulukaya aveva firmato il “Giving pledge” promosso da Warren Buffet e Bill Gates, promettendo di alienare metà della sua fortuna personale. Che oggi Forbes stima in 1,82 miliardi di dollari.
Dopo aver realizzato che non si trattava di un sogno, ciascuno dei dipendenti deve aver fatto due rapidi conti: la società vende yogurt per la bellezza di 1,6 miliardi di dollari l’anno e ha una valutazione che oscilla tra i 3 e i 5 miliardi di dollari. Il che vuol dire che ognuno di loro si è ritrovato di colpo in mano un valore pari a 150.000 dollari, nella stima più prudenziale. Che però potrebbero diventare 250.000 secondo la valutazione più alta, ma anche lievitare fino a un miliardo nel caso in cui, come è già nelle intenzioni, la società fosse quotata a Wall Street.
Nel ’94 il 23enne Ulukaya era sbarcato a New York, stufo di vivere da pastore sulle montagne della Turchia orientale, scoprendo ben presto che non era semplice per un immigrato costruirsi una vita. E per di più il formaggio e lo yogurt americani non avevano alcun sapore. Iniziò a sbarcare il lunario importando feta prodotta dalla sua famiglia a un distributore armeno, per poi avviare una piccola produzione locale per la quale arrivava a lavorare tutta la notte.
La svolta arrivò nel 2005 quando si trovò per sbaglio nella casella una mail di un’agenzia immobiliare che avvisava della vendita di un impianto di produzione di yogurt dismesso dalla Kraft, vicino a New Berlin, nella parte centrale dello stato di New York. Memore di quando faceva lo yogurt con il latte delle sue pecore, si lanciò nell’avventura grazie a un prestito da 800mila dollari della Small Business Administration.
Ci vollero due anni per mettere a punto la giusta cremosità e un gusto equilibrato dando vita al marchio Chobani, derivato dal termine turco che indica il gregge. Lo yogurt andava a ruba negli store di New York e in cinque anni l’azienda raggiunse il miliardo di fatturato.
Senza dimenticare le sue origini Ulukaya amava scegliere i suoi dipendenti tra gli immigrati senza lavoro, quelli che per la sua stessa esperienza mostravano maggior dedizione e senso del riscatto. Oggi li ha ricompensati a dovere.
I maligni sostengono che la decisione del giovane imprenditore curdo abbia un’altra origine. L’annuncio è arrivato poco prima che Tpg Capital, che aveva garantito il prestito iniziale, riscattasse una quota del 20% del suo capitale. Questa quota sarà ora calcolata sul 90%, diluito dopo l’ingresso dei dipendenti, riducendo il potere di Tpg. Ma già prima Ulukaya aveva firmato il “Giving pledge” promosso da Warren Buffet e Bill Gates, promettendo di alienare metà della sua fortuna personale. Che oggi Forbes stima in 1,82 miliardi di dollari.
speriamo venga letto da qualche politico con pensione d oro e RIFLETTA.....
RispondiEliminaSe sono andati in politica e' per rubare non per distribuire se non fosse così si starebbe meglio CIAO
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