Quando nel 1963 gli zii partirono per il viaggio di nozze su una nave
da crociera, erano dei privilegiati e a bordo il personale era tutto
italiano.
Alla base, siamo un Paese cattolico: per noi la felicità non è di
questa Terra e il Santo Patrono è il poverello di Assisi. Esultiamo sì
di gioia, per la nascita di un figlio. Ma la felicità che ci dà il
benessere (perché ce la dà) non la ostentiamo, la
teniamo per noi con uno spruzzo di senso di colpa. Il nostro ideale di
economia sociale non è creare e distribuire più ricchezza, ma livellare
ciò che abbiamo, per poco che sia: va bene essere poveri e ascetici,
corsia preferenziale per il Regno dei Cieli,
purché ci tolgano dalla vista chi non lo è. Se e quando accetteremo la
felicità come valore, andremo dai ricchi a farci spiegare come hanno
fatto.
Inoltre, siamo anche e da più generazioni intrisi di cultura marxista. Non ci definiamo più comunisti, ma nessuno si sogna di abiurare quei valori, che valgono sempre e comunque, nonostante la storia abbia sancito che producono povertà e non sviluppo. Che c'entra col low cost? C'entra. Se pensi che il tuo benessere, per quanto frugale, debba esserti garantito, se non hai mai accettato salario e lavoro quali variabili non indipendenti dal contesto economico, allora puoi credere che i prezzi bassi non siano collegati a retribuzioni modeste e alla perdita di posti di lavoro. La Capitale, che ha un debito di svariati miliardi e in crescita, chiama i suoi turisti «pellegrini» e, ovviamente, li tratta come tali, invece di promuovere servizi di lusso per intercettare i turisti più facoltosi e spendaccioni del mondo.
Infine, non abbiamo fatto i conti col villaggio globale. In un mondo dove 84 Paesi su 187 sono sotto i 10mila dollari di reddito pro-capite e 57 non arrivano a 5mila, l'Italia è oggettivamente un Paese ricco, con un reddito sopra i 35mila dollari e un patrimonio che consente a 8 famiglie su 10 di vivere in casa di proprietà. Serve un trattato di economia per capire se schierarci pro o contro il low cost? Grazie al low cost, le produzioni industriali migrano a Est e alcuni (ancora pochi, per fortuna) di quegli abitanti vengono da noi. Non per restare poveri, ma per diventare ricchi. È un concetto con cui dovrebbero familiarizzare molti radical-chic che, invece (in quanto «ricchi-senza darci-peso»), tuonano contro la colpa del nostro benessere. Addirittura, c'è chi teorizza che il nostro reddito debba fisiologicamente diminuire per bilanciare l'aumento di quello dei Paesi poveri. Come se il reddito fosse una risorsa data, finita, e non già il prodotto dell'ingegno (leggi tecnologia) e del lavoro. Certo, se uno cova il malcelato ideale di non lavorare o di farlo il meno possibile... Vogliamo accogliere i migranti? Bene, allora tocca alzarsi un'ora prima. Non parole, ma opere di bene. Opere, c'ha presente?
Puntare su prodotti e servizi al maggior valore aggiunto possibile, facendoli pagare il massimo. Solo così si potrà distribuire ricchezza. Certo, non è facile, richiede ingegno e olio di gomito, ma porta al benessere. Per aspera ad astra. Il low cost è in discesa, facile per chi sta in alto, ma alla fine c'è il fondo. La giustizia sociale non è l'elemosina, ma dare al povero una chance di arricchirsi. Mi pare che anche la parabola dei talenti trattasse il tema.
Oggi è già tanto se il maître è italiano, ma la crociera è alla
portata di molti sposini, e pazienza se la pagano i genitori perché loro
sono disoccupati, avendo ceduto il lavoro a bordo ai filippini. Il low
cost è una cosa furba, non intelligente. Internet
sta diffondendo il suo commercio facendo leva sul prezzo, ma acquistare
la sera di domenica da casa con consegna a domicilio, attingendo a un
grande assortimento, è un lusso fantastico, non mi serve pagare di meno.
La mania diffusa di pagare poco i beni e
i servizi è un virus che sta danneggiando le nostre fondamenta
socio-economiche. Con l'illusione di rendere accessibile tutto a tutti,
produce e distribuisce povertà. Ci preoccupiamo della xylella che
attacca gli ulivi e siamo contenti quando paghiamo un volo
meno del taxi per l'aeroporto. Perché facciamo fatica a capirlo?
Inoltre, siamo anche e da più generazioni intrisi di cultura marxista. Non ci definiamo più comunisti, ma nessuno si sogna di abiurare quei valori, che valgono sempre e comunque, nonostante la storia abbia sancito che producono povertà e non sviluppo. Che c'entra col low cost? C'entra. Se pensi che il tuo benessere, per quanto frugale, debba esserti garantito, se non hai mai accettato salario e lavoro quali variabili non indipendenti dal contesto economico, allora puoi credere che i prezzi bassi non siano collegati a retribuzioni modeste e alla perdita di posti di lavoro. La Capitale, che ha un debito di svariati miliardi e in crescita, chiama i suoi turisti «pellegrini» e, ovviamente, li tratta come tali, invece di promuovere servizi di lusso per intercettare i turisti più facoltosi e spendaccioni del mondo.
Infine, non abbiamo fatto i conti col villaggio globale. In un mondo dove 84 Paesi su 187 sono sotto i 10mila dollari di reddito pro-capite e 57 non arrivano a 5mila, l'Italia è oggettivamente un Paese ricco, con un reddito sopra i 35mila dollari e un patrimonio che consente a 8 famiglie su 10 di vivere in casa di proprietà. Serve un trattato di economia per capire se schierarci pro o contro il low cost? Grazie al low cost, le produzioni industriali migrano a Est e alcuni (ancora pochi, per fortuna) di quegli abitanti vengono da noi. Non per restare poveri, ma per diventare ricchi. È un concetto con cui dovrebbero familiarizzare molti radical-chic che, invece (in quanto «ricchi-senza darci-peso»), tuonano contro la colpa del nostro benessere. Addirittura, c'è chi teorizza che il nostro reddito debba fisiologicamente diminuire per bilanciare l'aumento di quello dei Paesi poveri. Come se il reddito fosse una risorsa data, finita, e non già il prodotto dell'ingegno (leggi tecnologia) e del lavoro. Certo, se uno cova il malcelato ideale di non lavorare o di farlo il meno possibile... Vogliamo accogliere i migranti? Bene, allora tocca alzarsi un'ora prima. Non parole, ma opere di bene. Opere, c'ha presente?
Puntare su prodotti e servizi al maggior valore aggiunto possibile, facendoli pagare il massimo. Solo così si potrà distribuire ricchezza. Certo, non è facile, richiede ingegno e olio di gomito, ma porta al benessere. Per aspera ad astra. Il low cost è in discesa, facile per chi sta in alto, ma alla fine c'è il fondo. La giustizia sociale non è l'elemosina, ma dare al povero una chance di arricchirsi. Mi pare che anche la parabola dei talenti trattasse il tema.
Rimango sorpreso.
RispondiEliminaMai avrei pensato di leggere un articolo così controcorrente su Bronsescoverte!
Vuoi vedere che qualcosa sta cambiando anche su per questa valle?