venerdì 13 dicembre 2013

La sgàlmara







Tirando drio ‘l capélo

a na moréja in càneva,

a go catà na sgàlmara

che la faséa puntélo.



El gera stà me fiòlo

che 'n giorno el la gà messa

de soto del vèdo

parchè ’l pissàsse in pressa.



Fata de piopa straca

co tante broche torno,

la pele zé de vaca

ma dura come 'n corno.



Sgàlmara de doménega,

sgàlmara da laòro,

col culo del caliéro

ghe dava on fià de moro.



E co la coa de mas-cio

mi la tegnéa ingrassà,

sgàlmara par l’inverno,

sgàlmara par l’istà.



Me par che sia stà jiri

che slissighéa sul giasso.

Primo dei canonieri,

'n gol par ogni sasso.



In stala ghea segnà

sìe quadri col carbòn:

saltando in quà e in là

zugavo a campanòn.



Scòla, dotrìna, Messa,

Messa, dotrìna e scòla,

par no fruàrle in pressa

me le metéa a tracòla.



Desso zé naltro vìvare,

ancò se marcia in fin

e al posto dele sgàlmare

mi porto el mocassìn.



No so se zé el vedélo,

no so se zé l’età,

ma, che sia bruto o belo,

go sempre i pìe giassà.



In giro par le stanse

go nòni, go savàte,

ma i pìe gà le buganse

che sempre me sconbate.



Me sposto come posso

par drito e par rovérso;

coi cali che gò in dosso

camìno par travérso.



Oh cara la me sgàlmara!

Desmentegà par casa,

dispersa par la càneva,

làsseme ca te basa.



La ciapo par na récia

e vedo, boja can...

che se gà fato vécia

la péle de la man.



La ciapo par el spago,

la taco tirar sù,

basàndola che dago

l’adio ala gioventù.



(Tita Palanca – Breganze)

20 commenti:

  1. Che bela 'sta poesia.... Lassa che te dighe: me vien 'na lacrimeta e sento al cor 'na streta.
    L'emigrante

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  2. E per non dimenticare......... Oggi festa di Santa Lucia. Auguri alla "nostra" Lucia Marangoni.
    Ti dobbiamo moltissimo, cara Lucia, continua a scrivere per noi tante cronache di vita vera, piacevoli ed istruttive.

    Il Passator Cortese

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  3. Grazie di cuore dell'augurio e dell'incitamento... ne ho bisogno!!Lucia

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  4. Bravo Tita e buona festa Lucia !

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  5. SANTA LUZIA SANTA LUZIA S'AVVIZINA
    MATELOTI MATELOTI ANDE' A DORMIR
    METE FORA METE FORA LA FARINA
    E NO STEVE E NO STEVE FAR SENTIR

    L'ACCOMPAGNA L'ACCOMPAGNA L'ASINELLO
    CHE EL GHE TIRA CHE EL GHE TIRA EL
    CARETIN

    LA GA' IN GAIA LA GA' IN GAIA A TANTE ROBE
    DA MAGNARE DA MAGNARE E DA VESTIR

    SANTA LUCIA PASSA
    PER CASA MIA MA SE LA
    MAMA NON LA GHIN METE
    RESTA VODE LE SCARSELETE
    MA COI SOLDI DEL PUPA' TUTO SEGIUSTERA' .

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  6. Manca le note, Don. Dopo se pode cantarla anca in ciesa...
    Schersi a parte, mai sentìa, da dove gienla?

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  7. E UNA FILASTROCCA TRENTINA

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  8. Lo go dito mi, chel Don el ven da là...

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  9. Proprio bella questa poesia, decisamente struggente per noi che le abbiamo usate. Mi associo ai complimenti a Tita e, in ritardo, agli auguri alla Lucia.

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  10. Philo, te fè massa el latitante!

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    1. Cosa vuoi. C'è chi latita e chi imperversa, chi entra in punta di piedi e con con le pattine ai piedi e chi con le sgalmare chiodate sul parquet. Questione di stile. Auguri di un sereno e santo Natale a tutti gli amici del blog, ivi compreso l'innominato.

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    2. Auguri sinceri di buone feste natalizie Philo !

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  11. Fhilo,no contar bale,ti no te ghe mai portà le sgalmare.Gnanca mi setu.Fursi i tui.....E SPONCIO?????.
    A meno che no te ghissi fato el vacaro,ma fursi alora me ricordaria.....Gente che portava i "soculi" si'..
    Serto che a noialtri, de una serta età, sta poesia che conta tochi della nostra giovinezza,ne rabalta su.......
    Stupenda,genuina,stazziante.......

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  12. No caro Lino, ho fatto in tempo a portarle con le pesse da pie. La tua famiglia aveva più mezzi della mia e quanto al vacaro, ho fatto saltuariamente anche quello. Sono più antico di quanto pensi.

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  13. Ecco che svansa fora anche il Philo sgalmaròn. Hai visto caromio? I Baise nascevano già con i vibram ai piedi. Lui non ha mai slissegato sul giasso con le sgalmare rivestite di banda, mai ciappato crìuni perché perdeva le broche, mai bio la soddisfazione di fare il tatuaggio indelebile con una pedata al compagno tacaissa. Eh Lino, sei nato proprio nel bombaso tu. Ciò Lino, cambiando discorso, hai visto che adesso scrivo in cìcara? Così mi capiscono anche i terzomedisti e i quintaelementaristi e ci mollano di dire che sono incatiiato. Sarà meglio lasciare la Odette a frollare sotto la gneve e riprendere le nostre sane discussioni. Ultimamente ti ho visto un po' latitante, dove sei stato di bello? Alle terme?

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    1. etimologia della parola "cicara" : Cicara o Cìchira (dallo spagnolo “xìcara”, mutuato dall’atzeco) = guscio di un frutto tropicale, da cui tazzina da caffè.

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    2. Mi no me ricordo delle sgalmare ma me poro pupa' MILIO el ghea un bel ricordo infatti na volta el se salta' sul giasso con le brocche nove el se ga' impianta'el se na so'col muso come un pandolo el se ga' rotto el naso .Quando che el melo contava a se sganassavinu dal ridare.

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  14. Qualcuno puo dirci come facevano le sgalmere ? Philo parla di "pesse da pie" Kesaco ?

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  15. la suola era di legno duro conformata un po' come gli zoccoli ma senza svasatura e con tacco basso. La tomaia di cuoio, spesso riciclato, era fissata al legno con chiodi lungo il bordo esterno. Poteva essere chiodata con le brocche da scarponi per evitarne l'usura, oppure rinforzata in alcuni punti con l'applicazione di pezzi di lamiera. Con questo plantare rigido il piede era impossibilitato a flettersi e l'attrito con la tomaia era ben maggiore che una scarpa moderna con conseguenti vesciche e abrasioni. Le pezze da piedi, oltre che per tenerlo caldo, riparavano il piede da questi problemi. Erano degli stracci di tessuto riciclato nei quali veniva avvolto il piede. Rispetto alle calze tendevano a disfarsi creando spesso più problemi di quelli che risolvevano. Le pezze da piedi equipaggiarono il regio esercito fino alla seconda guerra mondiale abbinate alle fasce mollettiere. Le calze e successivamente la suola in vibram erano privilegio degli ufficiali.

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  16. Grazie Philo. Questo modo di fare valeva per la sgalmara di lavoro o quella di domenica ? Imagino i giovanotti che andavano a Luserna o Lavarone, calzati con questo tipo di scarpe, con l'idea di trovare, secondo una vecchia espressione francese : "chaussure à son pied" (scarpa per il loro piede) metafora che significava trovare l'uomo o la donna che poteva convenire per creare una famiglia....
    L'espressione ha un senso più largo adesso.

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