L’aria era fresca e
odorava di muschio, l’attesa della messa di mezzanotte era
palpabile, ma mancava qualcosa, forse la neve.
Esco da via S.Barbara
e guardo compiaciuto il grande abete natalizio della piazza, le
semplici lampadine colorate di rosso lo rendevano importante e il suo
profumo si sentiva per tutto il centro del paese. Quando Emo e
Armando Ninato lo vestirono a festa io ero lì e guardavo stupito
tutte le mosse che i due dedicavano a lui; inebriato dal suo
profumo intenso di resina, toccandogli gli aghi, sentivo ancora il
lungo addio che aveva gridato al suo bosco, lassù in montagna al
momento del taglio.
Finito di tirare i fili elettrici della lampadine, Emo guardandomi diceva sempre la solita frase: ”stasera vignì qua e
spaché le lampadine che ve tàjo le man”... tassativamente al plurale, visto che non eravano pochi quelli che bazzicavano la piassa.
Ricordo
che qualche boccia di neve ogni tanto faceva esplodere qualche
lampadina, ma era raro, in qualche modo tutti rispettavano il grande
albero di natale e poi in quei giorni eravamo tutti vestiti bene e
sporcarsi di resina era un suicidio.
Verso le nove c’era carosello,
andavo spesso dai Lussi in fondo alla via, loro avevano da poco il
televisore; calimero non fece in tempo a dire che era piccolo e nero
che entrò in casa la Orsola: ”ma cossa feu qua che fora zé drio
nevegàre!" Via fuori, sotto la fioca luce stradale, di corsa verso
la piazza, ma non vedevo nessun fiocco di neve, forse era una presa
in giro e ritornai da carosello. "Valà Orsola... cossa ghetu visto, dove zé che névega?” La buona Orsola si girò e convinta disse: ”la
vaca in stala se gà butà e vol dire che riva la neve”...
Dopo la
previsione ritornai sotto il tavolo a gustarmi gli ultimi
caroselli.
La sera proseguì regolare, il nostro albero si dondolava
cullato da un leggero vento freddo e le sue luci tintinnavano come un
richiamo, da sotto le coperte lo pensavo ricoperto dalla neve che
Orsola aveva previsto.
I passi leggeri della mamma che salivano le
scale, il cigolìo di qualche scalino in legno e il silenzio totale
che proveniva da fuori, fu il risveglio di quel giorno di Natale. “Ghe zé la neve, te sarè contento”...
Bastò questa frase e con un tempo
da record ero già fuori sulla via, il cielo era azzurro chiaro e a
terra non c’era tanta neve, quasi niente, la piazza era leggermente
tinta di bianco solo dalle parti, ma il mio albero era coperto di
neve, tutti gli alberi erano coperti di neve, solo loro, dai larici
sotto la prima Giòa ai pini sotto il Sojo, era, come un dono
speciale, solo per loro, per quella mattina di Natale di tanti anni
fa.
Piero Lorenzi
Non bruciare mai il sogno che vive dentro di te e fa volare la tua mente. Non lasciare che il vento spenga quel fuoco che illumina la notte e riscalda il tuo cuore affinchè l'amore sia sempre quella fiamma che non muore. (Antonella Riviello)
RispondiEliminabellissima sembra una favola
RispondiEliminaGrazie Piero x avermi fatto ritornare una di quelle banbine che bazzicavano la piazza
RispondiEliminae che erano felici quando arrivava l'albero...era quasi Natale.