martedì 18 giugno 2019

Mammatus


Gianni Spagnolo © 190611
Dicono che qui da noi sia un fenomeno raro l’osservare nuvole mammatus ben definite ed anche decisamente scenografiche come quelle che ho potuto ammirare martedì scorso, 11 giugno sull’altopiano di Luserna. Effettivamente non le avevo mai viste prima, almeno non così evidenti, e mi hanno incuriosito. 
Leggo dunque in rete che una condizione necessaria per la formazione delle nuvole mammatus sia la presenza di un temporale: infatti è necessario che arrivi una gran quantità d’acqua negli strati più alti della troposfera, in modo che questa possa trasformarsi da vapore in cristalli di ghiaccio, per via delle temperature sotto zero. Non appena il temporale inizia ad esaurirsi, sulla sua incudine, ovvero lo strato di nubi alte che si estende verso l’esterno dalla colonna dove si genera il temporale stesso, i piccoli cristalli di ghiaccio che si sono formati iniziano a precipitare verso il basso a causa del loro peso. Da qui la forma mammellosa che caratterizza queste nubi.
Non ero preparato a quello spettacolo, anche perché il tempo era stato sostanzialmente bello fino ad allora, o almeno così mi sembrava. Stavo facendo con una amico il mio annuale giro ad anello: Capitello della Torra-Lucca-Singéla-Camporosà-Bisele-Luserna-Belfiore-Casotto-Sléche-Capitello della Torra, che di solito percorrevo prima, al tempo dei crochi (CAI 621-621b-605). Spuntino a Camporosà, dirimpetto alla devastazione che il ciclone Vaia ha causato sul colle giusto dietro la malga, scandito dai rintocchi dei campanacci delle vacche placidamente raccolte lì attorno. Sono ormai abituato ai sentieri ostruiti dagli alberi abbattuti da quell'evento, che incontro spesso nelle mie escursioni, ma non all'intricata giungla di piante schiantate che mi aspettava nel raccordo fra il campìgolo di Camporosà ed il Bìsele. Quello è solitamente un sentiero tranquillo che si percorre d'un fiato; ora invece s'è trasformato in un percorso ad ostacoli che richiede un defatigante saliscendi per scavalcare la miriade di abeti di traverso sul sentiero. Sembra quasi che un salbanèlo dispettoso abbia guidato l'uragano per ostacolare gli umani nel suo territorio, abbattendo gli alberi proprio lungo la traccia. Mica però degli alberelli qualunque, da scavalcare in scioltezza, bensì dei lunghi e irsuti settantenni con tanto di spuntoni e intrico di rami che bisogna aggirare a monte o a valle decuplicando il dislivello da percorrere, oppure tentare di strisciarci sotto come in una labirinto verde dall'esito mai scontato. Mi vengono in mente i racconti di mio padre, che da ragazzo era proprio in questi luoghi a fare da bocia ai boscaioli. Allora il legname era merce ambita e preziosa, soggetto pure ad una sorta di  bracconaggio notturno di sopravvivenza. Cosa avrebbe pensato di fronte a tanta dissipazione? 
Arrivati finalmente alla Busa del Bìsele, sembrava cosa fatta. Invece, pur se in misura minore e non continuativa, anche la tratta carreggiabile che attraversa la Val Morta sul ponte di Rossato e conduce poi a Luserna era sporadicamente ingombra di alberi caduti sul tracciato. Vabbé, a me i diversivi piacciono e poi l'inebriante afrore di resina e sottobosco che permeava le narici dovendoci letteralmente strisciarci dentro come dei vermi, compensava lo sforzo e il sudore della giornata stranamente afosa anche in quota. Ecco però che alla curva della calcara comincia qualche timida goccia di pioggia, mentre, uscendo all'aperto nell'ampio slargo che guarda il Cornetto e il Cherle, si stagliano nel cielo quelle nuvole strane e mai viste di cui dicevo in apertura. Vero è che siamo sul Sentiero dell'immaginario, vigilato da un enigmatico lupo ligneo e da altre strane presenze qui e là, per cui possiamo dire che arriviamo già un po' preparati. Uno spettacolo caratteristico ed insolito, però: non c'è che dire!
A pensarci bene già l'umidità fastidiosa ed eccessiva faceva presagire il temporale, ma non c'era il tempo per occuparsi del cielo, avendo già i nostro bel da fare con la terra. Poi, in brevissimo tempo, quella pesante coltre mammellosa e chiaroscura venne trasportata velocemente verso la valle dell'Adige e Trento dai venti di quota, lasciandosi dietro un cielo più piatto e consueto. 
Dopo una meritata birra a Luserna, siamo scesi a Casotto per il sentiero N. 605 che supera la testata della Val Grossa, passa sotto le Nore e poi giù per il maso Cogola e Belfiore. Questo è un tracciato che m'è sempre piaciuto, fin da ragazzo. Attraversa scenari diversi e a tratti selvaggi e maestosi, con improvvisi scorci panoramici, adattandosi   intelligentemente alla conformazione della montagna. L'hanno percorso innumerevoli generazioni e, a suo tempo, dovette essere un gran bel sentiero che permetteva il transito a soma. Il tenue tracciato odierno è infatti solo un pallido residuo di come fu in passato: lo si apprezza in alcuni tratti in cui lascia intravedere la ben più larga e definita impronta originaria. Mia madre ricorda ancora le donne di Luserna che scendevano a provvedere dai Polàchi
Raggiunta Belfiore, luogo d'origine della mia bisnonna paterna, mi siedo sulla panca sotto la croce ad ammirare la valle da uno dei migliori punti di osservazione del nostro territorio. Una visita alla vicina chiesetta mi getta però nello sconforto: dal tetto sconnesso le intemperie si stanno mangiando la muratura e gli scarni sopravvissuti arredi. Sono passati solo quarant'anni da quando venne inaugurata issando su questo antico pianoro perfino l'allora vescovo Mons. Onisto. I segni dell'amore e della cura con cui sono state ristrutturate alcune abitazioni e la costante insidia della natura che inesorabilmente le assedia, inducono amare riflessioni sulla caducità delle cose, l'inesorabilità del tempo e il mutare delle condizioni di vita. Non serve scomodare Eraclito per constatare che tutto scorre e nulla permane.

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