mercoledì 20 gennaio 2016

SAN PIETRO CENTRO (parte seconda)


In merito all’Ospizio, io sono un po’ scettico circa l’idea che esso sia stato promotore della colonizzazione del luogo e che i primi abitatori fossero servi di questa istituzione, come è stato ipotizzato da chi s’è occupato di queste cronache. 
L’Ospizio non era un monastero, infeudato di vasti territori e promotore della loro colonizzazione - come effettivamente furono gli insediamenti benedettini pionieri del medioevo - che diedero grande impulso allo sviluppo economico e sociale dell’Europa occidentale.  Gli ospizi erano strutture di accoglienza anguste e temporanee per viaggiatori in tempi in cui non c’erano alberghi né ostelli e si viaggiava a piedi, per lo più da pellegrini e dunque per devozione. Li gestivano dei conversi, cioè dei laici professi che si occupavano in prima persona dell’ospitalità, giacché proprio in quest’opera di misericordia consisteva la loro vocazione religiosa. 
Narrano le cronache che l’Ospizio di San Pietro fosse dotato di beni in quel di Chiuppano/Carrè per il suo sostentamento, oltre che delle elemosine dei potenti; indice che non poteva  svolgere il suo compito affidandosi alle risorse locali.  

La terra agricola di cui dispone il paese ai giorni nostri è il frutto del lavoro plurisecolare dei suoi abitanti. All’inizio credo non ci fosse granché di appetibile e coltivabile in questo posto, ma uno scoglio con sopra l’Ospizio, contornato da marogne variamente cespugliate e con i prati dell’Astico nella medesima condizione in cui vediamo oggi il letto del torrente fra Casotto e Scalzeri. L’Ospizio di San Pietro poté così trovarsi analogamente a come fu, fino in epoca moderna, quello gemello di Brancafora: un’istituzione di servizio in mezzo al nulla.


È da un po', infatti, che mi frulla in testa l’ipotesi che i primi abitatori non si accasarono qui come coloni dell'Ospizio, ma come rifugiati. Fuggivano da qualcosa e forse trovarono accanto all’ospizio un ricovero temporaneo che divenne poi definitivo facendo di necessità virtù e riducendo a coltivazione le sgrébane attorno per strapparne il necessario per vivere. 

Ma da dove provenivano quest primi abitatori e in che epoca? 
L’unica cosa certa, è che non lo sappiamo.

L’indizio più remoto ci viene da una supplica del 1576 dei nostri che chiedevano al Doge l’esenzione dalle imposte in virtù della loro povertà. In quella petizione scrivevano che tre secoli prima, cioè nella seconda metà del milleduecento, l’abitato consisteva in “4 o 5 silvestri et umilissimi tuguri” (sic) e di quanto appunto penasse quella misera popolazione nel trarre sostentamento da quel territorio sassoso. Fatta pure la tara del piagnisteo tendenzioso (è improbabile risalire di tre secoli addietro ai giorni nostri, figuriamoci con le informazioni di allora), questo ci dice nel XIII secolo erano stanziate a San Pietro non più 6-7 famiglie per un totale di neanche una trentina d’abitanti.
L’altro riferimento certo che abbiamo è la vicinìa del 1578 che sancì la fusione con Rotzo: qui contiamo 26 capifamiglia per una popolazione complessiva di circa 160 abitanti. 
Sull’origine di queste famiglie è purtroppo buio pesto. 
Ventilavo poc’anzi l’ipotesi che fossero dei rifugiati e non dei coloni in senso stretto. Vediamo dunque se ci sono state in zona circostanze storiche che siano compatibili con questo profilo. 
Direi di si, almeno un paio, vediamole:

1)      Cronache dell’Alta Valsugana, A.D. 1166
Gli abitanti di Pergine sono esasperati dall’oppressione del loro tirannico dinasta Gundebaldo. Per affrancarsi da questa situazione, nell’occasione di un’assenza del despota,  la città e i villaggi contermini si danno alla confinante Vicenza, che accetta di proteggerli inviando un contingente militare a presidiare il borgo. Non dura però a lungo; Vicenza è troppo distante e non riesce ad esercitare efficacemente la sua tutela in una zona così periferica e inquieta, permettendo così a Gundebaldo di riacquistarne facilmente la supremazia. Ciò provoca però l’esodo di numerose famiglie che ne temono le ritorsioni e le vendette. Vicenza le scioglie dalla promessa, ma le soccorre concedendo a questi profughi di insediarsi sulla sua corona di montagne.
Dove si stabilirono quei perginesi fuggiti in territorio vicentino? Quale fu la più ovvia e pratica via d’esilio? Quale fu la prima valle ad intercettarli? A chi poterono provvisoriamente rivolgersi?
2)      Cronache di Folgaria, A.D. 1440
Le vessatorie pretese dei feudatari imperiali per la giurisdizione sull’altopiano di Folgaria causarono l’esodo di alcune di quelle famiglie verso la Valle dell’Astico.

Sono due vicende similari, accadute in tempi diversi in territori a noi vicini e che si sono forse compenetrate con la nostra storia.

Che i nostri possano discendere da qualche famiglia di perginesi fuggiaschi alla fine del XII secolo è una possibilità che ci può stare tutta, sia come epoca che come circostanze ambientali. Di quei tempi lontanissimi conosciamo solo i nomi dei decani dei villaggi valsuganotti che firmarono il patto con Vicenza, e nessuno di questi  pare riconducibile a qualche famiglia nostrana. Siamo però ancora in un’epoca in cui i cognomi sono ben al di là da venire. Non mi pare però un caso che l’antico patronimico dei Cerato: de Cerrus, de Cerro, lo si ritrovi poi fra i maggiorenti di Pergine nel trecento e anche la radice  Toldus/Toldi/Toldo non sia estranea a quell’area*. 


Le famiglie che fuggirono per evitare ritorsioni del ricomparso despota dovettero essere di (relativa) distinta condizione, non già degli sprovveduti popolani. Cerato e Toldo poi, furono sempre le famiglie più in vista rispettivamente di Forni e di San Pietro ed entrambe espressero funzionari notarili già nel primo quattrocento, segno di dignità tutt’altro che trascurabile per l’epoca e per la nostra zona. 


I Cerato ebbero poi modo di promuovere la loro condizione fino a raggiungere la nobiltà ed espandersi anche fuori della Valle, mentre i Toldo mantennero la loro presenza prevalentemente ancorata al nostro territorio. 
Eppure già nel 1425 una certa Dorothea, sorella del nodaro Facino Toldo di San Pietro, andò in sposa ad un esponente della potente famiglia comitale vicentina dei Trissino, 

L’ipotesi folgaraita appare invero un po’ tardiva, ma non è da escludere nella prospettiva che siano avvenute due iniziali stratificazioni. Come effettivamente potrebbe essere accaduto se pensiamo alla progressione dell’insediamento lungo l’asse paesano da sud (originario/più antico) a nord (più recente).

A complicare il quadro, nulla vieta di ritenere che gli iniziali insediamenti siano invece frutto di immigrazioni di genti dal nord, analogamente a quanto avvenuto per tutta la circostante montagna vicentina e veronese nel corso dei primi secoli del secondo millennio: la cosiddetta colonizzazione cimbra.  
Meno probabile, ancorché non escludibile a priori, riterrei una provenienza da sud, ovvero alla media Valle o dalla pianura Veneta. Questo per la semplice constatazione che il flusso migratorio s'è sempre orientato verso condizioni di minor disagio: dalla montagna alla valle -> dalla valle al piano -> dalla campagna alla città; quasi mai l'inverso, particolarmente nei secoli passati.     ..// continua...
Gianni Spagnolo
X.I.MMXVI

* Non ho potuto finora approfondire ulteriormente queste fonti, che immagino possano riservare qualche spunto interessante a chi avesse tempo ed interesse ad esplorarle. 

Bibliografia, annotazioni, avvertenze e diritti:
  • Matteo Thunn - Il ducato di Trento  nei secoli XI e XII - Ed. G.B.Monauni - Trento 1868;
  • F. Larcher - Folgaria Magnifica Comunità  - Publistampa 1995
  • Valdastico Ieri e Oggi - Mons. Antonio Toldo - Ed. La Galaverna - 1984;
  • E fatto divieto di riproduzione e ulteriore divulgazione in qualsiasi forma e modalità.

3 commenti:

  1. Gianni, devo dire che inizialmente ero perplesso su questo tuo modo di procedere con processi indiziari in materia storica. Ora riconosco che è un approccio utile a stimolare la riflessione e che può portare a esiti interessanti. In ogni caso apprezzo la tua coerenza metodologica e la determinazione a portare avanti da solo questo progetto nel vuoto pneumatico culturale in cui si trova il nostro paese. Mi sorgono alcune domande: perché gli ipotetici esuli perginesi non si sono fermati a Brancafora, che era più vicino? Perché sostieni che non fossero popolani? Perché dici che lo sviluppo del paese si è orientato da sud a nord?

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  2. Grazie mattiniero Philo, ogni tanto è gradito anche qualche incoraggiamento. Non essere però così pessimista sui paesani, dai, magari si tratta solo di innata riservatezza. Per rispondere alle tue domande: 1) Non è detto che non l’abbiano fatto, anche se non conosco le date di fondazione dei primi Masi di Pedemonte. Brancafora gravitava comunque nell’ambito dei feudi del ducato di Trento e forse non era troppo sicura. Erano certamente San Pietro e Forni i primi sicuri avamposti dei domini veneti e la Torra storico confine dei 7C, di Vicenza e della Serenissima poi. 2) Se fossero stati popolani/servi non avrebbero avuto niente da perdere o da temere dal cambio di signoria, dato che un padrone valeva l’altro. Non così invece chi aveva censo e proprietà, nonché rilevanza sociale. 3) Questo è un argomento che non si presta ad essere esaurito con un commento: vedrai che lo spiegherò nei prossimi post.

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    1. .. In più, Vicenza aveva tutto l’interesse a piazzare sui suoi confini settentrionali delle persone in rotta con i dominatori confinanti, così si garantiva fedeltà e presidio gratuito. I Cerato infatti curarono sempre questo incarico con fedeltà e determinazione sotto ogni signoria: Vicenza, Visconti , Scaligeri e Repubblica Veneta. Il perginese era inoltre terra di esperti canòpi e di miniere, proprio quello che serviva per sviluppare l’attività metallurgica in Valle, tipicamente ai Forni, ma anche in Brancafora e altri siti. Come vedi allora la gestione dei profughi era più accorta, utilitaristica e intelligente che non ai giorni nostri. ;-)

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