venerdì 29 gennaio 2016

Don Antonio Fontana: il profugato e la nuova Chiesa

Nel periodo che va dal 1880 al 1930, il Paese di San Pietro in Val d Astico subì una trasformazione epocale. Sindaci lungimiranti, con opere pubbliche stradali ed edilizie, cercavano di arrestare il male che a poco a poco avrebbe dissanguato il Paese: l'emigrazione. 
Solo fra il 1878 ed il 1888 più di quaranta famiglie erano emigrate in Brasile! Participò a questa opera anche un modesto, ma intraprendente Sacerdote: 
DON ANTONIO FONTANA!


Abbiamo letto nel precedente racconto (vedere Blog 27 ottobre 2014) come, un giorno del lontano novembre 1895, Carlo Righele, incredulo, vede arrivare dalla strada di Pedescala, una persona, alquanto robusta, con un fagotto sulle spalle e vestito da prete. Era il nuovo Parroco di San Pietro.
Questa fu la ”solenne”'entrata” in paese di don Antonio Fontana, nato a Zugliano nel 1857, di gran lunga il miglior ed il più longevo Parroco che il Paese abbia mai avuto. Non solo ebbe cura della salute delle anime, ma cercò pure di portare un po' di benessere materiale ai più diseredati.
Già dall'inizio del suo apostolato, rivolse il suo sguardo verso i bambini, costruendo l'Asilo, ed includendo un piccolo Ricovero per gli anziani soli ed abbandonati. Costituì una Società Operaia del Mutuo Soccorso ed in contemporanea una Cooperativa di lavoro, e, per mezzo del Comune, una nuova e maestosa Canonica. Nell'anno 1900, sempre con l'aiuto della popolazione, edificò il magnifico Sacello della Gioia, (capitélo dela Joa) e nel 1902 la casa del Medico Condotto, all'entrata del Paese, poco distante delle Scuole Elementari, costruite dal Comune di Rotzo qualche anno prima.
Nel Settembre 1940, questa casa fu requisita per fare la sede del neonato Comune di Valdastico. Nel 1910 ci fu la realizzazione del Ricreatorio Santa Barbara per i giovani (ora cumulo di macerie.) Ma la cosa che più stava a cuore a don Antonio era la costruzione di una nuova chiesa. Quella costruita nel 1790 da don Bartolomeo Gianesini di San Pietro, per i quattrocento abitanti di allora, era incapace di contenere una popolazione cinque volte più numerosa. Questo sogno stava per realizzarsi concretamente all'inizio del secondo decennio del ventesimo secolo, ma il 24 maggio del 1915 il rombo del cannone risuonò sopra le teste degli abitanti sgomenti, ed echeggiò per tutta la Valle.
La prima guerra mondiale contro l'Austria era scoppiata!



Paese di confine ed imminente fronte di guerra, gli abitanti della Valle ebbero a disposizione poche ore per abbandonare le loro case e partire profughi in luoghi più sicuri e tranquilli.
Possibile che nessuno non si sia mai allarmato nel vedere il via vai ingiustificato di soldati in assetto di guerra? Delle terribili macchine di distruzione che si stavano costruendo sopra le teste degli italiani?: i forti Corbin, Verena e Campolongo e di fronte, gli Austriaci, che facevano la stessa cosa edificando lo Spitz Virle, il Luserna e sopratutto, per il Paese, il micidiale Belvedere?
Chi con un fagotto sulle spalle, chi con la carriola, chi con carretti carichi di masserizie, in lunga colonna, i nuovi profughi cominciarono ad allontanarsi dall'amato Paese, verso l'ignoto.
I bambini frastornati, piangevano, le donne disperate correvano di qua e di là, gli uomini quasi tutti anziani, gridavano e bestemmiavano.
Iniziarono così quattro anni e più di tribolazioni e di esilio. Don Antonio partì profugo assieme alle persone del Ricovero, in un primo momento a Lugo e poi a Carrè. Prese con sè poche cose personali, i calici e qualche pianeta. Tutto l'Archivio e i Registri Canonici dal 1711 in poi ed i Registri civili dal 1816 al 1870, comprese le Memorie della Parrocchia, abbandonati, andarono distrutti, con grave danno per il paese. Con tre ore di tempo per sgomberare e con le bombe austriache che fischiavano sopra la testa non si poteva portare via di più. Pur in mezzo a tanti disagi e con venti persone del ricovero da assistere, il buon don Antonio trovava il tempo per fare il cappellano nella parrocchia del nuovo Paese che lo ospitava, ed andare a visitare i suoi parrocchiani profughi nei paesi circostanti.
Chi può immaginare le sofferenze, le privazioni, la vita grama, di queste povere famiglie catapultate di qua e di là, senza casa, senza protezione alcuna, trattate e giudicate come degli zingari e vivendo giorno per giorno, con la speranza di tornare alle loro case.
Avevano promesso loro che sarebbe stato SOLO per qualche giorno. Speravano di ritornare presto al Paese..., ma cinque lunghissimi anni durò la lunga attesa...
Chi riuscì a ritornare, e chi non avrebbe mai più rivisto il suo Paese natale.
Finalmente, con un grande sollievo per tutti, il 4 novembre del 1918 cessarono le ostilità e venne la pace, ma non il ritorno immediato nelle loro case distrutte.
Ai primi operai giunti a San Pietro, per la ricostruzione indetta dal Governo, uno spettacolo apocalittico si presentò ai loro occhi, erano increduli. Le case del centro del paese, colpite dalle bombe dei cannoni del forte Belvedere, erano semi distrutte; le altre, devastate, spogliate di tetti, pavimenti, serramenti. La Chiesa era ancora in piedi, ma, colpita da tre obici, presentava un largo squarcio su un muro ed era stata spogliata di tutto. Le campane erano state asportate dagli Austriaci per far cannoni, i terreni crivellati di bombe ed i boschi distrutti.
Don Antonio ritornò a San Pietro il 16 marzo del 1919 per rendersi conto dei danni subiti dal paese e dalla chiesa. Ne approfittò per intrattenersi con gli operai che lavoravano per la ricostruzione e celebrare, dopo cinque anni, la prima messa nella parrocchia, ma non potè rimanere per mancanza di alloggio. Il 23 aprile vi ritornò e visse provvisoriamente da solo per sette mesi, nella vecchia sagrestia riparata alla meglio. Nel novembre, con l'arrivo delle Suore, prese in affitto per la notte, una stanzetta all'asilo. Le prime elemosine che raccolse servirono a comperare una piccola campana in sostituzione di quelle rubate. Finalmente nel 1921 potè ritornare nella sua Canonica restaurata. Si concluse così, dopo sette lunghi anni, il suo peregrinare da profugo.
Cercò subito di realizzare il suo sogno: la costruzione della nuova chiesa.
Finiti i lavori del ripristino delle case danneggiate dalla guerra, nella primavera del 1922 si accese una nuova calcara. L'Impresa Giuseppe Stefani, con l'aiuto della popolazione tutta, iniziò il proseguimento dei lavori cominciati nel lontano 1910, conducendoli fino alla fine, con varie e comprensibili interruzioni data la mole di lavoro ed il prezzo.
L'erezione della chiesa costò più di 300.000 lire di allora.
Contribuì, con oltre 104.000 lire il governo, come danni di guerra per la vecchia chiesa. Il Comune di Rotzo, da cui dipendeva San Pietro come frazione a quell'epoca, diede un contributo in denaro di 20.000 lire ed il legname, il famoso “fabbisogno”.
Il rimanente dell'enorme somma fu poi il frutto delle offerte del Parroco, dei parrocchiani e degli altri molteplici benefattori ed in particolare con le rimesse della moltitudine di Emigranti, sparsi in tutto il mondo. Altre 100.000 lire costò la facciata monumentale eretta in memoria dei caduti in guerra.
Ed ecco apparire in tutto il suo splendore, baciato dal sole, il Sacro Tempio.
Con le sue dimensioni di 27 metri di lunghezza, 13 di larghezza e 16 di altezza, dava l'impressione di una nave ancorata su uno scoglio così da poter essere vista da qualsiasi lato della Valle. L'ampio sagrato e la vasta piazza, lasciata libera dalla demolizione della vecchia chiesa, mettevano ancor più in valore la sua bellezza e la sua la grandezza, considerato che prima non esisteva una vera e propria piazza.

Il campanile rimasto, purtroppo, con altezza divenuta ora inadeguata e vecchiotto, stona un po' con la modernità della contigua opera, anche se lo zoccolo in pietra ed il suo arco passante gli mantiene un certo aspetto originale.
Dopo varie inaugurazioni fatte durante l'avanzamento dei lavori, il 27 novembre del 1935 ci fu la solenne “Consacrazione” da parte del vescovo di Padova Mons. Carlo Agostini. A quella solenne cerimonia partecipai anch'io, seduto nei tavoloni degli inbianchini, ancora accatastati ai piedi dell'altare della Madonna.
Don Antonio Fontana era riuscito a realizzare il suo sogno.
Il giorno dopo si festeggiò il suo quarantesimo anno di permanenza nella parrocchia. Con le lacrime agli occhi, comosso, ringraziò, salutò e benedisse tutta l'Assemblea dei fedeli venuti per rendergli omaggio, nella nuova chiesa. Il compito che si era prefisso da giovane l'aveva eseguito.
Ora, vecchio ed ammalato, era costretto a delegare il suo lavoro ad un coadiutore, il giovane ed aitante Cappellano Don Giovanni Toldo da San Pietro, recentemente consacrato sacerdote, amatissimo dai suoi compaesani.
Era aiutato nella deambulazioni dal fedele Toni campanaro.
E suonò anche per lui la tromba del Giudizio ed una voce gridò: ”O GIUSTO, vieni nella patria dei Giusti, a ricevere la “giusta ricompensa.”
Le sue spoglie mortali riposano, come da lui desiderato, nella Cappella del Cimitero di San Pietro, che lui stesso aveva benedetto nel lontano 1908. Oggi riposano accanto a lui altre spoglie mortali di religiosi di San Pietro fra le quali quella del suo coadiutore Don Giovanni Toldo.
Lino Bonifaci

34 commenti:

  1. Ben valà Lino, qua biòn ca te fae i complimìnti ciò. Quando che prevale el to raméto DxA te rivi a combinare anca qualcossa de bon.

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  2. Grazie Lino di tutti i suoi interessanti raconti. Quando era bambina chiedevo alla nonna di raccontarmi sempre le storie de stiani erano sempre le stesse ma a me piacevano tanto.

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  3. Chi sono ancora i testimoni in paese che si prendono la briga di tramandare oralmente o come sta facendo Lino baise sul blog la storia o le varie storie minori del nostro paese? Nessuno! Dunque un applauso a Lino baise che alla sua veneranda età sta rendendo alla comunità un servizio veramente importante che forse lo aprezzeremo di più col tempo. Scrivi baise scrivi che qualcosa resterà. Tu nemmeno immagini quanto aspetto i tuoi scritti. Ti posso solo dire grazie ed incitarti a continuare perchè con altro non saprei come ricompensarti o forse sì, leggendoti con curiosità ed interesse. Ciao

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  4. Bravo Lino, condivido il commento di Claudio. Aver poi strappato un mezzo complimento a Sponcio, credimi, è come una mezza candidatura al Nobel. Ci sono persone, come don Antonio, che sanno interpretare e tirare fuori il meglio da una comunità. Per indole, intelligenza, capacità o altre ragioni più complesse. Anche il dott. Balsamo per altri versi fu una di queste. Oggi il paese avrebbe proprio estremo bisogno di persone così ed è importante ricordare, come appunto hai fatto, che esempi di questo tipo sono esisititi e possono essere di esempio anche in contesti così diversi come gli attuali.

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  5. Il coraggioso e buono Don Antonio Fontana merita di essere ricordato. Lino, grazie di averci pensato. I tuoi racconti sono sempre essenziali : danno vita al passato.
    Philo ha ragione quando dice che il paese avrebbe bisogno di persone come Don Antonio Fontana al giorno d'oggi, ma non soltanto Valdastico, ma il mondo intero.

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  6. Philo,credimi mi aspettavo che un giorno o l'altro il Multiforme ingegno,estraesse
    dal suo "sottocappello "una delle sue volutamente nascoste "virtu'": l'adulazione!!!
    Il mio desiderio sarebbe che altre persone di cultura superiore alla mia,scrivessero
    le vicende della nostra valle,anche per dare un po' di coraggio a questa gioventu'
    che mi sembra insoddisffata e disorientata.

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    1. Andaloche d'un Baise, invesse de fare el pressioso finto fabioco con quela iconeta da volpe da usta e fare interventi a dosi omeopatiche, biòn che te te miti pì in dugo.

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  7. Vedi,Sponcio, don Antonio guariva le anime dei suoi fedeli con l'acqua Santa. Non avrebbero
    potuto fare altrettanto i Baise per guarire il corpo agli operai che i batea broche,da freddo ,
    dentro par la Tora. Anca, perche' avevano provato,ma pur Santa che fusse l'acqua la se giasava
    lo stesso. Allora i ga inventà un'altra acqua piu' adatta al caso : l'acqua di "vite", che non si
    ghiacciava e che ,bevu' a cana,brusava si le buele,ma dava una forza de Ercole e faceva
    volare le masse ,le s-cione e le grape su ste pore" bore".E' vero che i piu' appassionati amatori
    della sacra bevanda vedevano salvanei e le leggiadre Anguane dapartuto Solo a coloro che
    bevevano il sacro nettare in abbondanza era data la grazia di vedere gli spiriti dei boschi.

    loro avevano la grazia di vedere gli spiriti.....

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    1. Lino, ..valà in leto. A no et vidi mìa che ora che xe?

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    2. E ti, te gà svejà la badanta, ghivito el panolon mojo?!

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    3. L'idraulica, caro mio, insieme al microprocessore, a xe fra le poche robe che le funsiona ancora egregiamente. Invesse a go idea che ti te ghìssi qualche problema col moro che urta, dato che ti si ancor su a ste ore a fare el salado.

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    4. Lu sior, credelo de essare l'unico coi problemi idraulici?

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  8. Va là,va là par mi no xe gnancora le oto de sera!!!!! a son drio adesso a scrivere de una
    desgazia che xe capità a montepian, tanti ani fa.......

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    1. brao Lino, faghe vedare... e sopratuttamente faghe savere de Montepian, lu che nol ghe sa gnente!

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    2. In Montepian i xe fora dal'euro. Vara chel Baise nol sa mia che quili i ién dal Ghelpach, noi xe mia DxA doc come chel crede elo, ma braconieri slapari scapà davanti ai dente dela forca.

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  9. Ad un personaggio di questo spessore, più che la biblioteca, sarebbe stato meglio forse dedicargli una via del paese.

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    1. Bona idea. Propongo de dedicarghe a Lino baise el parghegio novo dei Luca (ma messà che bion che spetè ancora un bel toco)

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  10. Don Antonio non ha paragoni, non ci sono dubbi. Andrebbe dedicata a lui la Piazza, ma evocherebbe tristemente Piazza Fontana e un momento buio della nostra storia. Fa pensare però che l'ignorare o l'essere leggeri abbia fatto pensare all'Amministrazione Comunale di togliere a lui perfino la dedicazione della Biblioteca Comunale..Questo bellissimo pezzo di Lino andrebbe perciò fatto leggere anzitutto ai nostri amministratori. L'anima di un Paese non si improvvisa, ed è di chi qui è residente o ci ha vissuto.

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    1. Anonimo delle 17,43 vedo che sei mal informato/a non è stato tolto proprio niente. La dedica della biblioteca è sempre di Don Antonio, mentre è stato intitolato l'aula di Internet Point alla maestra Ivana

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  11. Non so cosa dire ai due anonimi che mi precedono. Io ho letto articoli in cui si parla della Biblioteca e non di aula. Mi è stato poi detto che di Biblioteca il Sindaco ha parlato all'inaugurazione. Sarà anche vero che si tratta di Internet Point ma se così fosse un corso di comunicazione forse urge ai nostri amministratori a partire dal Sindaco. Rileggiamo tutti Thiene on line per rendersene conto. Poi se si vogliono anche documentare su chi è stato Don Antonio Fontana tanto meglio...

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  12. Ma chi ghe gera all'inaugurasion? El sindaco galo parlà de la Biblioteca o de na aula? Mi go leto Biblioteca. Ma Guglielmi salo chi che gera Don Antonio? Mejo farghe legere l'articolo de Baise.

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  13. Effettivamente alla presentazione il sindaco mi pare abbia parlato di biblioteca anche se poi sono andati a tagliare il nastro dall'altra parte e lo ho visto dopo dalle foto sul blog. L'inaugurazione è stata un pò penosa. Quando il sindaco parla in pubblico si vede che è in grande imbarazzo, non è la sua vocazione. Su la dedica, pur stimando la Ivana c'erano figure della scuola che hanno operato in paese molto più a lungo e con buon ricordo come il maestro Carlo, la Giuliana Casentini ecc. Pero' non so come è la storia se le dediche si possono fare anche ai vivi.

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  14. Visto che qui si parla di STORIA E PERSONAGGI della ns VALLE mi sembra il posto più adatto x segnalare che oggi ho assistito alla proiezione della "PELLICOLA " TORNERANNO I PRATI di ERMANNO OLMI girata sulle sulle ns montagne dalle parti di Cima Larici .Sono rimasto impressionato dalle scene e dal fragore delle bombe,dalle sofferenze e dal sangue versato da quei ragazzi che si chiedevano perché si trovavano li'. Ho pensato a mio nonno DALLA VIA GIOVANNI classe 1893 che queste scene le ha vissute in prima persona. TREMENDO. AGOS Il film finisce con una frase che in questi tempi deve farci molto riflettere.

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  15. Ciao Agos, come stai? L'ho visto anch'io questo film di Olmi e devo dire che non mi ha particolarmente entusiasmato. Forse quella del bombardamento è stata effettivamente la resa più efficace. La vita di trincea è realistica, ma l'atmosfera d'insieme mi pare troppo onirica, soffusa e amorfa per una prima linea (inutile precisare che io in trincea non ci sono fortunatamente mai stato). Avevo parecchie aspettative su questa opera, ma ne sono rimasto deluso. In effetti un film sulla guerra dalle nostre parti che non abbia tesi da dimostrare e rappresenti semplicemente uno spaccato realistico di quegli eventi mi pare che non sia stato ancora girato.

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    1. CIAO GIANNI tutto ok grazie .Condivido quello che dici sul film;infatti ho usato la parola" impressionato" .Io sono abbastanza emotivo quindi pensando a quelle sofferenze vissute dai ns nonni sono rimasto un po' scosso.X il resto la penso come te. Un salutone AGOS

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  16. Anche in valle TORNERANNO I PRATI. Tempo al tempo e senza far guere, tarè! Pì fassile magari che torne russe e visùni, ma no se pol mìa ver tuto. Se non s'è potuto fare il museo del centenario della PGM, si potrà recuperare il prossimo secolo con quello dei ruderi della valle, tipo Pompei. per voi sampierotti sarà un tantino arduo far capire ai posteri certi ruderi pseudopalladiani in mezzo ai prati, quelli di un pseudocastello bastionato con ridotte e forse segrete, certe avveniristiche piste di atterraggio per navicelle di turisti alieni, el campanile pi basso dela cesa, el castròn rudine chel ve lassarà Bortolo, ecc, ecc.

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  17. Cosa fetu su asta ora va in letto che te fa male a star su, ti che no te si abituà.No sta fare
    come ca fao mi,che te te rui i oci. A meno che.... a serte ore......

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  18. linus raccontaci quando bazzicavi per i corridoi del seminario, orsù, qualcosa di allegro ne verrà fuori

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  19. Ho letto tutti questi post e mi sono chiesto
    cosa avranno capito i brasiliani....

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  20. Anonimous delle 13,57.Forse parli cosi' perchè non ci sei mai stato. Io ci sono stato ed ho visto
    e sentito.Ci sono una miriadi di radio private che sono nelle mani di discendenti italiani,e trasmettono
    regolarmente,delle ore intere in "Talian"; un misto di vecchio dialetto veneto, trentino ,lombardo.
    C'è un paese Serafina Correa,dove una settimana all'anno si parla--Solo-- in Talian.
    Sarebbe necessario far conoscere laggiu' il blog.Ma credo che la Carla compierà anche questo
    miracolo.........

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    1. Abbiamo provveduto da tempo Lino!

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    2. grazie lino io non ti conosco ma questo e un grande regalo x la mia famiglia,questo don antonio era zio di mio padre anche lui nato a zugliano nel 1911 venuto amancare nel 2005,certo sarebbe stato bello se anche lui avesse fatto in tempo a leggere queste meravigliose pagine.lui ci raccontava quando da ragazzi con il fratello andavano in bici da zugliano x trovare lo zio don antonio.grazie ancora spero un giorno di conoscerti di persona.

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  21. Non mi é stato difficile, Bruno, anche se scrittore non sono,
    scrivere quelle poche righe, su Don Antonio. Un grosso volume
    non sarebbe sufficiente per descrivere le opere materiali e
    spirituali compiute da questo grandissimo uomo e sacerdote,carico
    di amore cristiano verso i bambini ed i piu' deboli.
    Sacrifico' tutta la sua vita e tutto cio' che possedeva per
    alleviare le sofferenze di una popolazione misera e numerosa.
    Dall'inizio fino alla fine della vita volle restare vicino
    alla sua gente insieme alla quale attraverso',l'epidemie
    il profugato,la grande guerra e con coraggio la ricostruzione
    del paese.Tutto aveva donato,e volle restare anche dopo la morte.
    Vederci per conoscerci??? Alla mia età....l'uomo dispone.....
    ma.... é Dio che dispone....

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  22. grazie ancora,non conosco la tua eta ma deduco che se eri presente all inaugurazione della chiesa hai qualche anno piu di me,comunque niente e inpossibile,io abito in provincia di verona e conosco bene la vostra valle,alcuni dei tuoi paesani mi conoscono,renato dal bianco,cognatoluciano carotta, e molti altri.p.s. non perderti d animo io ho una zia che l ultima volta ha compiuto 107 anni ci sentiamo grazie.

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